La prassi dell’arte come il costituirsi delle religioni e dei miti, è comune a tutti gli esseri umani e presente in ogni cultura fin dagli albori dell’umanità . Attraverso la sua ricerca, Federica Zianni cerca di riflettere come l’arte, intesa come pratica, sia il punto di incontro, la terra franca in cui contrastare le paure suscitate da problematiche attuali come l’identità , il retaggio culturale e la migrazione, in modo diretto e dimostrativo, attraverso istallazioni e performance.
Lavora su supporti come carta, tela, inchiostro, utilizzando fotografie smarrite e ri-trovate nei mercati, cotone e spesso oggetti molto piccoli e non convenzionali. Il suo lavoro a volte proviene da uno spazio interiore e molto personale intriso di esperienze vissute personalmente dall’artista, come nelle serie MA(ta)SSE o Happy Family.  La sua ricerca oggi si muove nella relazione con la natura e si intreccia con i temi a lei cari che approfondisce in una nuova chiave di lettura: la famiglia, i rapporti e le relazioni con le loro memorie e la dimensione dello spazio “sacro”.
Ho studiato scultura ma il processo creativo si rappresenta anche attraverso diverse espressioni artistiche: dall’installazione all’abito, dalla pittura al video, dalla scultura alla performance. In base al progetto scelgo il materiale più adatto per il suo sviluppo ma ho una particolare predilezione per il filo (il cotone e i centrini) e la terra (la ceramica), due elementi archetipici che esprimono un sentire femminile di pazienza e lavorazione.
Morbidezza e durezza, delicatezza e forza sono elementi che si alternano, si sfiorano e formano un contrasto che esprime l’essenza di ogni essere umano. I fili di cotone che attraversano le superfici (la ceramica, il foglio o la tela) muovono il pensiero, da un capo all’altro, facendo riflettere sui legami tra le cose e tra le persone.
Parlo della morte. Parlo del disfacimento delle memorie, dell’inutilità dell’accumulo, degli antenati che si dissolvono. Parlo della malinconia a cui siamo destinati, del deterioramento delle nostre individualità e della nostra personale storia (così importante per ciascuno di noi ma così inutile nell’economia dell’universo).
Parlo dei disturbi di personalità , delle patologie psichiatriche, di famiglie nevrotiche e anaffettive, di attacchi di panico, di solitudine. Della fobia sociale che priva della parola e che ti scafandra nella vergogna e nell’imbarazzo. Della necessità di riordinare e ordinare il caos, di disciplinarsi, di pianificare, di organizzare in forma ossessiva.
Nell’illusione di una società contemporanea in cui tutto è accessibile, esistono presenze sfuggenti e “immateriali”, ridotte a una dimensione impercettibile. La mia ricerca consiste nell’individuare i punti d’accesso a questa dimensione, cercando di mettere in luce nuove percezioni possibili del reale. L’interesse per lo spazio e il dialogo con l’ambiente, ha diretto il mio lavoro perlopiù verso la realizzazione di installazioni site specific, utilizzando vari mezzi espressivi, dalle sculture al video.
La pratica artistica di Medda si snoda tra l’immagine, la performance e l’intervento/installazione, situandosi al confine labile che delimita pubblico e privato, corpo e architettura, città e appartenenza sociale. Poiche’ il suo lavoro e’ interdisciplinare e il suo processo artistico e’ performativo, i suoi progetti trovano spazio sia all’interno degli ambienti di arte visiva che di Festival di performance art, tra questi il Festival di Santarcangelo in Romagna, l’AUAWIRLEBEN di Berna -CH, e l’OPENBARE WERKEN di Gent -BE, Danza Urbana a Bologna.
La ricerca è un percorso che si evolve su tele di medio e grande formato a partire dal tema autobiografico, che ha caratterizzato gli anni accademici, per poi coniugarsi alla rappresentazione di spazi interni, stanze, arredi stantii. Il cono visivo dell’artista si restringe su angoli interni, focalizzandosi sugli oggetti, quasi mai sul corpo, salvo laddove se ne scorgano tracce. Dell’essere umano restano citazioni, busti romani, suppellettili che come metafisici feticci si stagliano dentro cornici circoscritte.
Tatiana Villani porta avanti una ricerca sulla relazione dell’uomo con se stesso e con l’ambiente, lavora su territori di confine tra i linguaggi visivi e varie aree di intervento, siano esse artistiche, sociali o pedagogiche. I progetti si sviluppano in modo rizomatico, sia individualmente che in collettivo. L’attività spazia dalle arti visive al teatro, fino alla terapia artistica applicata a varie aree del sociale.
La mia ricerca artistica si basa sul creare un forte impatto visivo verso l’interlocutore. Creare una connessione tra lavoro e uomo. Trasmettere attraverso il segno ed il colore una sollecitazione emotiva tale, da disorientare chi sta di fronte a ciò. Distorsione della realtà attraverso il mio inconscio. La mia tematica è incentrata sul vuoto. Il vuoto inteso non come solitudine e abbandono, ma il vuoto che ognuno di noi dovrebbe cercare all’interno di se stessi.
Definito dalla critica: “un cantastorie moderno che unisce sensibilità ed ironia, nascosta da una facciata di rigida serietà ”, pratica l’arte come necessità , utilizzando mente e medium fotografico per esprimere la propria poetica: raccoglie e mette in scena, per disvelare e bonificare, i malesseri, i vuoti e le ansie della società , ammantandoli di un humor salvifico, piuttosto nero.
Il lavoro di Lucchesi è da sempre animato dal tentativo di tradurre visivamente le riflessioni scaturite dall’indagine della psiche, degli stati emotivi del singolo individuo in relazione con sè stesso, con gli altri e con ciò che lo circonda. Attraverso metafore visive attinte da linguaggi universali che nascono da una ricerca artistica e spirituale, le emozioni prendono forma e colore.
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