Tra gli oltre mille partecipanti di questa edizione, Edson Luli, dopo un voto plebiscitario, si aggiudica la terza edizione di exibart prize. Per la cronaca è doveroso ricordare che Edson è stato presente nella classifica finale fin dalla prima edizione, essendosi già posizionato al terzo e al quinto posto nelle precedenti tornate. Il premio fondato da exibart continua nel suo percorso di posizionamento dei migliori artisti presenti nel panorama nazionale.
La giuria di questa edizione, composta da Elsa Barbieri (curatrice), Nicoletta Castellaneta (direttrice accademia Aldo Galli Ied Network), Uros Gorgone (dg exibart), Marco Mattioli (Fondazione Archivio Afro), Simone Menegoi (direttore artistico Arte Fiera Bologna), Ida Pisani (gallerista Prometeo Gallery) Luca Staccioli (artista) Andrea Lesina e Paolo Ziotti (collezionisti), esprime come di consueto l’elenco delle prime 10 posizioni
2. Greg Jager 2. Arianna Ellero
3. Mattia Sugamiele
4. Luisa Turuani 4. Jingge Dong
5. Francesca Piovesan
6. Elena Ketra 6. Stefan Milosavljevic
7. Bekim Hasaj
8. Plurale
9. Lisha Liang 9. Salvatore Mauro
10. Erika Godino 10. Fulvio Morella
Di seguito i profili di tutti i 15 artisti:
Attraverso la sua pratica, Luli invita gli spettatori a partecipare a un processo di esplorazione e osservazione, sondando i confini di ciò che significa pensare e percepire in un mondo complesso e in rapida evoluzione.
Una delle preoccupazioni principali del lavoro di Luli è la questione di come valutiamo la vita interiore degli altri. Attraverso una serie di mezzi di comunicazione, tra cui la stampa, la fotografia, il video e l’installazione, Luli cerca di creare nuovi modi di rappresentare e interagire con la realtà, invitando gli spettatori a confrontarsi con i propri valori e le proprie percezioni per creare uno spazio di esplorazione e interrogazione profonda.
La ricerca di Greg Jager si articola mediante dispositivi interdisciplinari basati sulla costante ricerca teorica, che sollevano domande sulla società contemporanea, le sue contraddizioni e il suo patrimonio, con l’obiettivo di attivare la costruzione partecipativa di nuovi ecosistemi attraverso l’esperienza artistica.
Il suo lavoro non si vincola alla riconoscibilità formale e si configura attraverso la progettualità, che intercetta il graffitismo, l’installazione, la performance, la pittura, progetti editoriali, il confronto collettivo, che con un approccio relazionale e antropologico indagano possibili relazioni tra diverse forme di intelligenza e la collaborazione tra esse.
Sono una vagabonda, ricercatrice e spirito libero. Attraverso la pittura e la performance esploro le possibilità e le potenzialità dell’essere umano, indago il concetto di suono, ricercando la consapevolezza e la riconnessione con ciò che siamo: Pensiero, Natura, Creazione
Un viaggio influenzato nel tempo con uno sguardo diretto verso la pittura nella sua essenzialità, il dialogo con lo spazio attraverso il segno e il colore, la necessità del bianco sulla tela, sempre alla ricerca di un linguaggio nuovo, oltre la dialettica della figurazione. Nella musica esistono gli spazi musicali, così il bianco sulla tela per me rappresenta il suono del vuoto. Il silenzio che anticipa l’evento.
Mi interessa la trasformazione dell’immagine, che muta, fino a scomparire, spesso privata del sistema di segni che essa era in grado di evocare, creando un vuoto in cui la tecnologia trova il suo spazio.
La mia ricerca si interroga sull’interazione tra l’uomo, insieme alle sue memorie, azioni, desideri, speranze e l’evoluzione della sfera tecnologica che plasma il nostro contemporaneo.
Luisa Turuani indaga la natura umana per mezzo dei desideri che l’uomo investe sugli oggetti. Dopo aver completato gli studi in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera nel 2017, inizia a sperimentare le sue prime azioni performative nella dimensione urbana a contatto con il pubblico, spesso ignaro di essere parte fondamentale delle opere dell’artista. Nata negli anni ’90, a cavallo tra l’era pre-digitale e quella dell’iperconnessione, l’artista concepisce i propri lavori fondendo l’aspetto materico a quello digitale, dando vita ad opere in continua trasformazione.
Le opere di Jingge Dong sembrano scoprire la nostra coscienza tra la veglia e il sonno, quando un sogno mina la realtà. Il presente, frammenti di ricordi e fantasie, sono allo stesso tempo spettrali e distinti. Questa dualità segna una certa tendenza, più grande del linguaggio immaginifico di un singolo artista.
La distinzione tra pittura figurativa e astratta sta diventando sempre meno rilevante. Le figure perdono i loro contorni, trasformandosi in macchie di colore – gli elementi della composizione; l’astrazione prende in prestito la plasticità dalle forme biologiche, dagli oggetti quotidiani, dai fenomeni naturali e dagli effetti ottici.
Francesca Piovesan è nata ad Aviano nel 1981; lavora tra Aviano e Venezia. Dopo essersi diplomata nel 2004 in Restauro di Dipinti Murali allo UIA di Venezia, si diploma nel 2014 in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 2015 vince la 3° edizione del Premio Cramum, nel 2018 viene selezionata per la Biennale BIAS di Palermo e nel 2021 viene selezionata per rappresentare l’Italia alla Biennale del Vetro (Bornholm Art Museum) in Danimarca.
Elena frequenta l’accademia d’arte a Venezia alla ricerca delle parole necessarie per scrivere la sua realtà alternativa. Che non è neanche il femminismo. Perché anche quella storia, quella parola precisa, le sembra un recinto dove qualcun altro le vorrebbe confinate: un’altra Barbie. Perché non si tratta di donne e di uomini, di bianchi e di neri, di poveri e ricchi. Si tratta di parità, di pari opportunità. E ogni passo verso quella direzione è un passo collettivo. Deve esserlo. Altrimenti non si farebbe altro che costruire un altro privilegio. Una nuova disparità.
Il mio lavoro si basa principalmente sulla relazione tra le necessità dell’essere umano e la natura. Sono interessato nella mutazione forzata di elementi naturali in relazione ai desideri umani e di come questi cambiamenti permanenti siano connessi alla politica, ricchezza, generi, ruoli sociali e identità, dove gli strati della storia sono determinati da tendenze estetiche. Sono affascinato da elementi quotidiani abbandonati di design, decorazione e varie utilità che un tempo sono stati costruiti a partire da un grande desiderio e poi lasciati in balia del loro destino.
Uno dei temi principali che affronto è la morte e il tempo infinito che ne deriva.
La mia ricerca artistica, mettendo in discussione la rappresentazione del contenuto e accantonando il figurativo, si concentra sugli elementi fondamentali e costitutivi di un’opera pittorica: colori, forme, gesti, spazio e supporto. Il processo del ‘fare’ ricopre una parte fondamentale nel procedimento e creazione del lavoro. Come viene trattata e usata la materia, cambiata e impressa in uno spazio che diviene quasi scultoreo, guidato dall’improvvisazione e intuito.
plurale è una forma collettiva di presenza nel mondo che si manifesta come insieme aperto. Da giugno 2020 a marzo 2022 si è esposto con il nome di Collettivo Plurale, dopodiché non ha più sentito l’esigenza di presentarsi come autore, con un nome e un cognome, perché plurale, prima di essere un collettivo artistico, è una reazione, una forma di pensiero e dunque un modo di agire. plurale è frutto della necessità di sentirsi parte dello stesso essere-ambiente, per questo guarda lì dove è presente una divisione e tenta di suturare.
La pratica di Liang si concentra su questioni sociali attraverso un approccio interdisciplinare che fonde performance, scultura, installazioni interattive e attive, video, fotografia, pittura e altro ancora. Attraverso il suo lavoro, l’artista mette in luce i pregiudizi e le imperfezioni della complessa società odierna: le pressioni affrontate dal pubblico per conformarsi a standard irraggiungibili e l’impossibilità di una definizione solida dell’identità di un individuo all’interno della propria comunità.
Per la migliore acquisizione significativa del lavoro proposto da Salvatore Mauro, citerei senza titubanze alcune forme espressive che hanno origine negli anni ’60, in particolare quella tipologia di lavori oggettuali ad alto contenuto tecnologico come nel concettuale di Joseph Kosuth, Dan Flavin, Maurizio Nannucci, ma con un taglio processuale vicino a Merz e un’idea neofuturista alla Marco Lodola, rimando che individua una radice linguistica mediterranea. Ma vi è anche la traslitterazione ipermoderna degli oggetti in un linguaggio che vuole diventare assemblage di segni e di comunicazione dotta alla maniera degli anni 2000, relazionando pubblico e interventi dell’artista
Domenico Scudero
La mia ricerca artistica si basa sul creare un forte impatto visivo verso l’interlocutore. Creare una connessione tra lavoro e uomo. Trasmettere attraverso il segno ed il colore una sollecitazione emotiva tale, da disorientare chi sta di fronte a ciò. Distorsione della realtà attraverso il mio inconscio. La mia tematica è incentrata sul vuoto. Il vuoto inteso non come solitudine e abbandono, ma il vuoto che ognuno di noi dovrebbe cercare all’interno di se stessi.
La ricerca artistica di Fulvio Morella è la conseguenza di una continua ricerca – artistica e tecnica – sulla materia lignea e sull’interazione tra il legno e gli altri materiali. Negli anni la scelta materica è sempre più diventata una questione di contenuto: la materia diventa concetto per l’artista che unisce sempre nei suoi lavori l’armonia delle forme e dei colori a un concetto che permea il senso del lavoro, al di là della sola apparente astrazione. Forme geometriche, curve prive di eccessi e di fronzoli sono invece i segni distintivi della sua ricerca visiva.
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