17 ottobre 2022

exibart prize incontra Domenico Ruccia

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La mia ricerca è un processo di approfondimento di un preciso periodo storico, ovvero il trentennio 60’-70’-80’.

 

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Il mio percorso artistico è stato abbastanza complesso e lento: ho iniziato a disegnare e dipingere sin da piccolo, cosa che ho continuato sempre a fare, ma nel frattempo ho svolto studi diversi: dopo la laurea in giurisprudenza ho iniziato la professione legale, lavorando come avvocato a Bari, mia città d’origine. Ad un certo punto ho deciso di dedicarmi completamente alla pittura, abbandonando l’attività forense ed iscrivendomi in Accademia. Dopo qualche anno ho completato gli studi accademici a Brera e sono quindi rimasto a Milano, dove tuttora vivo e ho studio.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Lavoro principalmente con il disegno e la pittura; la mia ricerca è un processo di approfondimento di un preciso periodo storico, ovvero il trentennio 60’-70’-80’. I miei dipinti propongono la rilettura, spesso in chiave parodistica e a tratti erotica, del mondo dello spettacolo italiano e straniero di quegli anni.
Ho accumulato negli anni un mio archivio, un atlas dove colleziono immagini di cinema, moda e musica vintage, ed i miei lavori si basano proprio sulla rielaborazione di quell’estetica attraverso il filtro della rappresentazione pittorica.
Con i miei dipinti cerco di paragonare due realtà diverse come il mondo dell’intrattenimento popolare nostrano e quello straniero, in particolar modo americano ed orientale, e credo che rielaborare quegli anni e quel tipo di estetica sia essenziale per poter poi comprendere meglio ciò che sta cambiando e le origini delle nuove tendenze.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte rappresenta sicuramente il termometro dell’epoca in cui è prodotta: risente di ciò che gli sta intorno, e propone dei messaggi e delle riflessioni che spesso non potrebbero essere sollevate in nessun altro contesto. Proprio questa qualità pone secondo me l’artista in una condizione privilegiata: da un lato osservare la società in cui siamo, dall’altro porre degli interrogativi o dei semplici spunti che siano un indicatore della direzione che stiamo prendendo.
Nel mio caso cerco di evidenziare come il linguaggio pittorico sia ancora lo strumento ideale per far dialogare il passato con il futuro: credo che la riproposizione in chiave contemporanea di modelli estetici che ci hanno preceduto, specialmente quelli di costume e popolari, possa farci comprendere meglio ciò che c’è ora.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

In primis l’obiettivo è quello di continuare la mia ricerca pittorica, implementando il mio atlas e completando alcune tele di grandi dimensioni alle quali sto lavorando.
Allo stesso tempo sto approfondendo il mio lavoro con il collage: recentemente ho acquistato molte riviste di costume italiane e straniere degli anni 70’ ed 80’, e l’idea è quella di realizzare un’installazione partendo dai ritagli di questi giornali.
Infine c’è il progetto di realizzare una serie di video, partendo da alcuni spot pubblicitari e spezzoni di pellicole vintage, elaborando il tutto su diversi canali: sono nella fase di raccolta del materiale, è un’esperienza nuova per me e devo dire che mi affascina molto.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Credo non sia facile rispondere a questa domanda, nonostante sia evidente che nel nostro paese le istituzioni abbiano supportato poco la ricerca artistica, soprattutto nell’incentivare le nuove generazioni.
Sicuramente l’emergenza degli ultimi anni non ha favorito questo processo, ma bisognerebbe collocare l’attività culturale nelle priorità, agendo probabilmente con azioni concrete: ad esempio immagino più finanziamenti alle accademie, ai musei e più in generale a tutti gli enti che si occupano di arte contemporanea.

 

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