24 ottobre 2022

exibart prize incontra Elisa Bertaglia

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La tematica centrale nel mio lavoro riguarda il concetto di simbolo come soglia, uno spazio fisico reale dove significato e significante si uniscono aprendosi ad interpretazioni non univoche.

 

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Mi sono formata all’Accademia di Belle Arti di Venezia, presso la cattedra di pittura del professor Di Raco, prima con il percorso quadriennale e poi conseguendo nel 2009 la laurea di secondo livello in pittura. In Accademia ho trascorso anni molto belli, che sono stati fondamentali per la mia formazione.
L’anno successivo alla laurea ho vinto una borsa di studio annuale per collaborazione didattica presso la medesima istituzione.
Dal 2010 ho iniziato il mio percorso di artista collaborando con diverse gallerie e curatori sia in Italia che all’estero e partecipando anche alle prime residenze d’artista.
Nel 2011 ho preso parte al Padiglione Accademie alla 54ma Biennale di Venezia esponendo all’Arsenale.
Al 2012 e 2014 risalgono le mie partecipazioni a Dolomiti Contemporanee e Progetto Borca, mentre nel 2016 ho vinto una residenza d’artista negli USA, presso la Fondazione ESKFF al Mana Contemporary di Jersey City.
Negli ultimi anni ho consolidato sempre di più i rapporti lavorativi con gli Stati Uniti, in settembre 2021 ho realizzato la mia prima personale a New York, dove poi mi sono trasferita definitivamente lo scorso gennaio.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

La tematica centrale nel mio lavoro riguarda il concetto di simbolo come soglia, uno spazio fisico reale dove significato e significante si uniscono aprendosi ad interpretazioni non univoche.
Partendo da questo concept, nel corso degli anni mi sono interessata alle diverse sfumature e sotto-tracce concettuali ad esso collegate. Elaborando sempre di più metodologie e tecniche ed esplorando anche  linguaggi tridimensionali e installativi, nelle serie “Brutal Imagination” e “Hic sunt Dracones” ho investigato il margine tra il sogno e la realtà. Mi sono interessata poi alla soglia spirituale nel confine tra la vita e la morte nelle serie “The Dragon and I” e “Dance Macabre”. Recentemente la mia ricerca – influenzata dalla filosofia orientale – si è focalizzata sul concetto di simbolo e i suoi mutamenti attraverso la storia ed aree geografiche lontane. Da qui nasce la mia opera più recente, cui sono molto legata: “Du bist die Sonne”. Un’installazione in cui le lettere che i miei nonni si sono scambiati nei quasi tre anni di prigionia nel lager di Oschatz durante la Seconda Guerra Mondiale sono state trascritte sagomando la forma di una croce uncinata, simbolo dell’orrore nazista nel ‘900, ma molto prima simbolo di rinascita e spiritualità nelle culture orientali.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

A parer mio l’arte è per definizione uno strumento di indagine sul mondo che ci circonda. Nelle sue varie forme e chiavi di lettura, l’arte non fornisce (almeno non lo dovrebbe fare secondo me) risposte ai problemi della contemporaneità; bensì stimolare nuove e più profonde domande. Le domande che sa porre l’arte sono preziose indicazioni sulla direzione che stiamo prendendo come cittadini, come società, una direzione che alle volte necessita di una visione più trasversale per rivelarsi.
L’arte semina pensiero, fa germogliare riflessioni. Non è un caso se già nei primi mesi del 2020 è ricomparsa in un gran numero di opere di artisti contemporanei – affermati e non – l’iconografia del teschio o dello scheletro.
L’arduo compito di far interagire l’arte con la società sta a tre categorie: i curatori, i musei e le gallerie. Il loro ruolo è fondamentale nel proporre alla società queste riflessioni attraverso mostre che vadano al di là della pubblica accettazione, ma che siano in grado di scardinare le certezze comuni. L’interazione dell’arte con la società sta tutta dentro questo rapporto imprescindibile.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Da poco mi sono trasferita stabilmente a New York, al momento ho in corso una collettiva presso la galleria SARAHCROWN a Tribeca, che a novembre presenterà il mio lavoro per la prima volta ad Untitled Art Fair a Miami. Sono molto entusiasta di questo progetto, che significa un grosso passo avanti nella mia carriera d’artista.
Inoltre sono stata selezionata da Residency Unlimited, una delle più prestigiose residenze d’artista di New York, e a febbraio inizierò un nuovo progetto sperimentale che durerà sei mesi, da febbraio a luglio, in cui produrrò un nuovo ciclo di lavori ibridi tra pittura, installazione e scrittura. Il progetto sarà in dialogo con un’opera conservata al Brooklyn Museum e offrirà un terreno di riflessione sul concetto di rielaborazione del lutto.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Da poco mi sono trasferita stabilmente a New York, al momento ho in corso una collettiva presso la galleria SARAHCROWN a Tribeca, che a novembre presenterà il mio lavoro per la prima volta ad Untitled Art Fair a Miami. Sono molto entusiasta di questo progetto, che significa un grosso passo avanti nella mia carriera d’artista.
Inoltre sono stata selezionata da Residency Unlimited, una delle più prestigiose residenze d’artista di New York, e a febbraio inizierò un nuovo progetto sperimentale che durerà sei mesi, da febbraio a luglio, in cui produrrò un nuovo ciclo di lavori ibridi tra pittura, installazione e scrittura. Il progetto sarà in dialogo con un’opera conservata al Brooklyn Museum e offrirà un terreno di riflessione sul concetto di rielaborazione del lutto.

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