Come hai scoperto la tua passione per l’arte? Ci sono stati momenti o persone particolari che hanno influenzato il tuo percorso?
Sin da piccola ho avuto un’attrazione fortissima per le immagini riprodotte e pittoriche. Attraverso di esse vedevo l’accesso a un mondo immaginifico in cui poter immergermi ed entrare in una dimensione Altra. Quindi direi che la passione si è manifestata nella fascinazione che queste immagini suscitavano in me in maniera molto intensa. Ho poi seguito una formazione artistica e nei primi anni di Accademia ho iniziato a lavorare in uno studio in maniera individuale cercando di favorire la mia introspezione in relazione alla ricerca di una tecnica pittorica personale. In quel periodo ho amato molto Kandinkij e Munch. Ad essi poi ne sono seguiti molti altri fino ad oggi e continuamente le varie forme d’arte mi stimolano e mi accompagnano nel lavoro artistico.
Ci sono temi o concetti ricorrenti che esplori attraverso la tua arte? Cosa ti ispira maggiormente?
Il mio lavoro esplora le questioni della femminilità, dell’identità e dell’appartenenza attraverso il ritratto e l’autoritratto. Il mio percorso si sviluppa indagando la connessione fra uomo e natura sia in senso introspettivo che antropologico e simbolico.
Negli ultimi mesi sto dedicando molta attenzione alla natura e in particolar modo ad alcune piante autoctone, selvatiche e resilienti. Queste si affiancano a figure, soprattutto femminili, in un tentativo che mi porta a riflettere su una fusione di elementi e una riconciliazione con il mondo naturale che possa pacificare e ricondurre ad una autenticità spirituale primigenia, destrutturando così tutti i condizionamenti sociali che ci hanno allontanato da noi stessi e dal senso profondo dell’esistere. Così mi trovo a comporre opere generate in una spazialità fluttuante di elementi che emergono dal fondo grezzo della tela e che trovano un equilibrio al suo interno fra pieni e vuoti, fra presenze e assenze che si alternano a matericità pittoriche e trasparenze in uno spazio della memoria dal sapore metafisico e post-apocalittico. L’elemento fuoco è un soggetto molto presente portando con sé la simbologia legata alla luce-illuminazione, al calore-pathos, ma anche alla distruzione e la purificazione che come una Fenice si autorigenera per perpetuare una ciclicità eterna di rinnovamento. Anche l’elemento acqua è presente indirettamente nella liquidità del trattamento di alcune campiture di colore che lascio fluire sulla tela con non-controllo sulla materia, a testimoniare “l’incombenza del caso” ma anche l’instabilità che avverto nella contemporaneità e soprattutto nella precarietà delle relazioni umane che possono subire repentini cambiamenti.
Le mie opere partono così da ricordi di avvenimenti vissuti, sensazioni o immagini della memoria, oppure da oggetti o da piante che dal vero manifestano la loro irruente bellezza e io prendo nota di questo fissando sulla tela un elemento, che poi per associazione di immagini e di comune sentire richiama altri elementi a comporre l’opera pittorica e raccontare una precisa storia.
Quindi la cosa che mi ispira maggiormente e accomuna tutta la mia pratica è la ricerca della Bellezza intesa in senso classico, sia esistente nella realtà fisica che interiorizzata nella memoria.
Come pensi che il contesto culturale e sociale in cui vivi influenzi il tuo lavoro artistico?
Il contesto culturale e sociale influenza tantissimo il mio lavoro soprattutto psichicamente. Un’artista è sempre testimone e portavoce della realtà in cui vive e che percepisce e la sue creazioni sono la risposta a quel contesto assorbito. Per me l’atto creativo assume una valenza simbolica e rituale che grazie alla pratica mi immerge in una realtà profonda che mi permette di filtrare e restituire una risposta elaborata sotto forma di immagini; queste forme vanno così ad assumere e costituire una specifica iconografia che è anche risposta al contesto socio-culturale.
Puoi raccontarci di un progetto o di un’opera a cui tieni particolarmente e spiegarci il motivo?
Ogni progetto rappresenta un periodo di vita e la testimonianza di riflessioni su di esso. Ogni opera è una storia di questa fase. Ultimamente ho lavorato su una struttura di legno rotonda trovata almeno 10 anni fa, abbandonata in una strada in un non-luogo di campagna. Non so chi l’avesse dimenticata o a cosa servisse, ma ne sono stata attratta e l’ho raccolta. L’ho tenuta con me tutto questo tempo, nei vari traslochi e nell’ingombro anche fastidioso di alcuni momenti. Ma il fatto che sia rimasta latente ad aspettare il suo tempo ha costituito un valore per me. Ultimamente l’ho utilizzata tirando una tela di cotone su di essa che poi ho preparato e sulla quale ho dipinto l’opera “Florilegium” che è diventata un po’ l’icona della mia ultima serie pittorica attualmente esposta nella mostra “Florilegium Cruentum” presso il Museo di Fraternita di Arezzo. Qui le figure umane tentano una relazione rappresentata dalla loro vicinanza, ma una diversità costituente le mantiene separate, la natura floreale intorno accompagna questa storia suggellandola in un’eco bucolico e minaccioso al contempo.
In che modo l’interazione con il pubblico influisce sulla tua pratica artistica? Ti capita di modificare il tuo lavoro in risposta ai feedback che ricevi?
Sono molto attenta e grata alle persone che esprimono un parere o una riflessione in risposta alle mie opere. Tengo sempre in grande considerazione tutti i pareri, soprattutto quelli negativi. Questi non modificano nell’immediato le mie opere, poiché quando il pubblico interagisce con esse, queste sono già compiute e rappresentano una cosa già costituita. L’interazione arriva fuori sincrono rispetto al momento creativo ed è giusto così perché si mantiene intatta la libertà che è importantissima per tenere stretto il legame con l’autenticità e l’onestà personali. Ma tutti i pareri come dicevo sono tenuti in grande considerazione per le opere che io andrò a fare dopo aver raccolto queste opinioni. Questo tempo è fondamentale, costituisce un distacco che io rispetto perché è necessario alla riflessione e nelle opere successive avviene una sorta di risposta, un “dialogo muto” che continua nella pittura e si manifesta nella creazione delle opere che verranno.
Cosa pensi della commercializzazione dell’arte contemporanea? Pensi che possa compromettere l’integrità dell’opera o la sua funzione critica?
La creazione e la commercializzazione sono due cose molto importanti per un’artista e per questo devono essere trattate distintamente. Con questo voglio dire che il mercato non deve influenzare la ricerca artistica, ma che l’artista è tenuto a prenderlo in considerazione. Non è facile trovare un equilibrio ma il compito principale di un artista è quello di fare ricerca e di mantenere un’autenticità con il proprio sentire, poi viene il resto. Non si può trasformare l’arte in un mestiere poiché non può essere paragonato ad altri lavori basati su leggi di mercato di domanda-offerta e quando questo avviene i suoi parametri sono sempre forzati o riadattati. Non è facile per un’artista gestire la commercializzazione della propria arte e al contempo mantenersi autentico nella ricerca, ma è una cosa necessaria che va affrontata seriamente e con sensibilità.
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