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exibart prize incontra Fabrizio Stenti
exibart.prize
di redazione
Qual è stato il tuo percorso artistico?
Avendo entrambi genitori architetti, sono cresciuto in luoghi armonici e misurati e accompagnato da oggetti di design. L’attenzione per l’estetica è stata perciò l’incipit.
Durante gli anni di crescita sono stati poi approfonditi gli aspetti di rigore e regola, scoprendoli come elementi determinanti per il risultato. Nel frattempo il contesto esterno di una città dalla vivibilità intraprendente e sregolata ha accesso un confronto.
Napoli avente una cultura devota a regole deformate e interpretate dal bisogno, una terra di creatività e ingegno infinito, di una potenza energetica esuberante e con una abilità nell’adattamento per non essere sottomessa dalla storia.
Nel frattempo la maturità artistica ed una laurea in architettura, hanno consentito di approfondire la ricerca di entrambi gli aspetti. Parte della città “apparente” ed un’altra “esigente”. Chi vive di contesti disegnati e puliti e chi vive in contesti arrangiati e
rotti. L’abbondanza di materiale rovesciato per le strade è veramente insensato sé paragonato alla continua ed eccessiva produzione di altro ed inutile materiale.
Così essendo Il disegno già consenziente a fantasia e alterazione della realtà oggettiva. Il luogo personale dove poter cambiare le regole si era già formato da bambino. Quindi bastava ampliarlo e renderlo più comodo. L’osservazione dei processi di causa – effetto riguardo i sistemi di scarto, i cicli di recupero materiali e la sovrapproduzione con le conseguenze inquinanti. Hanno definitivamente spinto a concentrarmi verso aspetti sociali ed educativi, con il desiderio di escogitare un metodo che potesse sfruttare lo scarto per creare qualcosa di “nuovo”, riattivando un ciclo di vita degli stessi materiali eliminati.
E allora perché non lavorare proprio su questa coesistenza degli opposti?
Creare la perfezione dall’imperfezione
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Durante gli studi universitari, l’interesse per il recupero dei materiali nel campo dell’edilizia mi ha spinto verso lo studio degli scarti, il loro ciclo, la loro provenienza, le loro proprietà materiali e le loro potenzialità di riutilizzo.
Essendo circondato da materiali provenienti da una società consumistica, ho pensato: perché dover spendere soldi per comprare nuovi materiali quando ce ne sono già molti inutilizzati e disponibili gratuitamente per le strade? Perciò ho conformato e adattato la ricerca di uno stile personale non conforme alle convenzioni e schiavitù economiche. Giro per le strade recuperando legni rotti, fondi dei mobili e giornali abbandonati. Non esistono costi del materiale se non quelli per un barattolo di colla vinilica non inquinante e che dura per più di un anno. Pazienza e perseveranza sono devoti alla filosofia estetica giapponese del Wabi Sabi. Filosofia persistente in entrambi i processi: costruttivo delle tele e rappresentativo dei soggetti disegnati. Una presenza minimale ed essiccata dell’esistenza attraverso l’uso di pochi elementi in equilibrio tra di loro tra artificio e natura. Armonia, silenzio, pace, imperfezione, asimmetria, errori, situazioni costruttivamente illogiche, fanno parte del panorama ricercato.
Non esistono formule magiche nascoste, descrizioni mistiche della vita, messaggi segreti o subliminali e particolari interpretazioni.
È tutto molto schietto e cinico.
Sono quello che sono e niente di più, e alle persone la sincerità non piace perché mette a disagio, e si trova spiazzata perché grazie ad una tecnica raffinata dal tempo, non è più sfacciata la provenienza dei materiali che compongono le opere, ovvero da loro stessi.
Un cerchio che fa trasparire polemicamente la stupidità di un sistema di società consumistica che non vuole la responsabilità delle proprie azioni.
E’ più facile e meno rischioso essere schiavi e passivi.
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
Avendo un po’ studiato credo che si potrebbe dire che fino agli anni ‘70, l’arte era più testimone nel rappresentante disparità sociali del suo tempo, mantenendo alto questo aspetto di espressione culturale della parità esistenziale in tutti i suoi campi. Ma da Duchamp in poi e con lo stesso DADA ismo, il divario è incrementato e oggi l’individualismo ha sempre più valore. Più l’opera è vuota di contenuto e più si arricchisce di giustificazioni mentali deviate dall’intelletto.
Questo crea distacco con chi non è “intellettuale” perché non ha con sé gli strumenti per interpretarla o capirla, e quindi la rifiuta perché impossibilitato nella sua fruizione.
È difficoltoso anche per me capire gran parte delle opere che osservo e ad uno spettatore “ignorante” serve un manoscritto/guida di 10 pagine o più, dove però può leggere solo l’artista che riflette sé stesso.
Ma questa non vuole essere una critica sul percorso della ricerca e l’espressione individuale, che restano fattori necessariamente liberi e tali devono restare, intoccabili.
Ma sé c’è l’intento di riavvicinamento del fruitore comune, è dovere di chi promuove e diffonde la stessa arte di mantenere un criterio legato a dei contenuti riconoscibili anche da quello spettatore che non appartiene al “Club” degli accademici del venerdì sera. Pretendere che una persona comune che non ha studiato, (deviando il proprio gusto attraverso citazioni mitologiche) abbia un livello tale da capire che un chiodo nel muro voglia trasmettere la ricerca oppressa e disagiata riguardo la deformazione antropologica dell’uomo nei confronti della macchina, ovvero, società post atomica dal dopoguerra ad oggi.
È esattamente una chiara volontà di restringere la nicchia dei partecipanti che si auto applaudono.
E secondo quale ragionamento dovrebbe piacergli una banana attaccata
al muro con lo scotch?
Oppure intuire da una scopa ed una paletta appoggiati in un angolo, che rappresenta, la lettura in chiave moderna dell’archetipo della donna di quella società arcaica perseguita da un sistema costruito e basato dallo schiavismo prima della guerra di indipendenza nei paesi dell’entroterra tra Nord e Sud America.
Eppure.
Se prendiamo una persona di classe povera, che non ha studiato ma sempre lavorato, non istituzionalizzato ed ignorante nel senso buono ed innocente del termine, e lo portiamo a vedere il David di Michelangelo oppure al Cristo Velato e senza avere né arte né parte, resta estasiato e senza parole.
Allora, forse la soluzione è incentivare la creazione di emozioni, un’educazione al bello integrata con aspetti comuni e riconoscibili.
I riferimenti sono importanti perché servono a non perdersi e spesso anche a mantenere le proprie radici di appartenenza.
Oppure il divario diventa sempre più ampio e il valore intrinseco di un’opera svanisce totalmente diventando tutto intellettuale, virtuale e nullo, perché senza più riferimenti.
Non è per svilire il lavoro di qualsiasi artista, ma un carretto arrugginito con sopra un microscopio sé continua ad essere elogiato, allora vuol dire che il mio lavoro perde di valore nel caso di un confronto.
“In una società decadente, l’arte se veritiera deve anch’essa riflettere il declino. E a meno che non voglia tradire la propria funzione sociale, deve mostrare un mondo in grado di cambiare e aiutare a cambiarlo”.
L’arte è necessaria, Ernst Fisher, 1968
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Sicuramente concentrarmi nel raffinare la tecnica, produrre di meno ma con più qualità.
Riprendere le esposizioni in spazi personali e creare delle residenze per artisti in uno spazio privato, dove proporre e continuare a promuovere i laboratori creativi da anni già in corso.
Allargare le possibilità per i laboratori dedicati ai bambini, proponendoli per esempio nelle scuole e viaggiando renderli più itineranti.
Incrementarli per insegnare l’importanza della scelta dei materiali utilizzati, educare al recupero e far riconoscere il potenziale di uno scarto, il valore di un materiale come ad esempio il legno e i suoi derivati.
Educare nel rispetto dell’ambiente, aiutare a vedere il potenziale negli stessi materiali scartati, far cambiare il punto di vista e sensibilizzare i bambini verso la responsabilità di un’azione e le sue conseguenze.
Sperando che i bambini possano poi educare gli adulti
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Per esempio incrementando la presenza delle ore di arte e materie artistiche anche in ambiti che non appartengono allo stesso campo attitudinale.
Concedere ai bambini, dalle prime scuole, di poter giocare e costruire con le materie plastiche come la creta, facendo odorare i materiali i colori e farli sporcare; e non solo in orari extra scolastici.
Oppure aumentando la partecipazione da parte di persone esterne al gruppo didattico, chiamando persone del campo interessato che siano in grado di incentivare, grazie alle loro esperienze dirette e concrete attraverso lezioni o brevi seminari, concedendo magari dei crediti a gli studenti successivamente ad un prodotto sviluppato.
Oppure aumentare la partecipazione degli studenti non solo attraverso lezioni teoriche ma intervallarle con quelle pratiche per aumentarne l’attenzione.
E’ più facile per il sistema nervoso memorizzare un’esperienza pratica perché rilascia un’emozione.
E quindi qui si torna, all’unica cosa che non mente.
Le emozioni.
Create emozioni, non descrizioni.
Le parole le uccidono le emozioni.