30 aprile 2023

exibart prize incontra Francesca Ginnasi

di

Ago, sempre lo stesso, filo, in ogni sua sfumatura e molta immaginazione.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Mi sono iscritta al Politecnico di Milano, per seguire le orme familiari, ma anche perché ero affascinata da quello che la mente umana, unita all’immaginazione, potesse creare. In questo percorso ho imparato, assorbito e fatte mie tante visioni che sicuramente si sono stratificate nel mio subconscio. Dopo la laurea in Disegno Industriale, ho iniziato a lavorare nel mondo della moda, un approccio diverso quanto stimolante, una forma d’arte differente, una vera e propria magia che prende forma e si trasforma. Poi un giorno mi sono fermata, ho avuto bisogno di prendere fiato e capire dove ero arrivata, ristabilire le priorità e trovare quello che realmente mi dava soddisfazione e serenità. Ho respirato fin dall’infanzia l’arte del ricamo, la nonna e la mamma hanno ricamato con passione tessuti che diventavano tovaglie e lenzuola variegate.
Le stratificazioni del mio subconscio hanno fatto il resto, ho iniziato a ricamare con una tecnica e un immaginario non convenzionale, influenzata dall’architettura e dalla geometria.
L’arte di improvvisare mi ha regalato uno spazio libero e creativo, ed è da qui che nascono i miei quadri, minuziosi lavori che convivono in un ordine disordinato, ma bilanciato.
I vuoti si riempiono con linee e intrecci che rappresentano la mia visione della quotidianità.
Quello che mi piacerebbe è che il ricamo si emancipasse dall’immaginario collettivo diventando espressione contemporanea e moderna.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Ago, sempre lo stesso, filo, in ogni sua sfumatura e molta immaginazione.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte dovrebbe essere percepita come la pillola della felicità, un’opera dovrebbe essere in grado di emozionare, toccare le corde più profonde dell’io e allo stesso tempo mostrare ciò che l’occhio non vuole vedere. L’arte ci crea l’opportunità di riflettere su noi stessi e sul mondo che ci circonda.
Il periodo storico attuale porta a un’estremizzazione del desiderio dell’apparire piuttosto che dell’essere. Ma il pubblico va nutrito, va educato ed indirizzato nel capire e nel conoscere il bello. Ognuno di noi è artefice di qualcosa e rendere l’arte il mezzo per arrivare a un obiettivo renderebbe il mondo meno effimero. Sarebbe utile presentare con chiarezza il significato dell’arte, appassionare il consumatore finale, coinvolgendolo in modo che un’opera complessa diventi comprensibile e desiderabile.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Mi sono appena approcciata a questo mondo, quello che vorrei è di trasmettere anche solo un centesimo della serenità che io traggo nel creare le mie opere.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Creando sistema, comunicando in maniera chiara e comprensibile il concetto arte, appassionando l’interlocutore rendendolo partecipe di un cambiamento.
Dal mio punto di vista mancano delle sinergie importanti, perché se guardiamo al passato, o al periodo del Futurismo c’era un filo conduttore e di sinergie ben evidente; gli inizi del Novecento hanno visto una rivoluzione artistica epocale, la letteratura, il teatro, l’arte, l’architettura e anche la gastronomia avevano un unico “tema” e tutti erano coinvolti nell’evoluzione del Paese. Ancora oggi le mostre sul Futurismo richiamano migliaia di estimatori e questo succede perché il messaggio è stato talmente potente e ben comunicato che vive ancora. Le Istituzioni sicuramente possono aiutare, ma a monte le diverse realtà dovrebbero iniziare a collaborare in modo da diventare grandi insieme.

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