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exibart prize incontra Francesco Biondo

di - 5 Novembre 2024

Come hai scoperto la tua passione per l’arte? Ci sono stati momenti o persone particolari che hanno influenzato il tuo percorso?

La scoperta è stata un po’ casuale; mi piace pensare quasi a mia insaputa. Durante il periodo universitario mi sono trovato coinvolto in quella che negli anni del ’77 era definita l’area creativa del movimento studentesco, quando la sperimentazione espressiva e creativa, insieme ad una componente dissacrante, era una prassi praticata in tutti gli ambiti della comunicazione. A Palermo ho avuto pertanto l’occasione di praticare esperienze nel campo della grafica, del fumetto, della pittura, ma anche interventi in ambito urbano quali murales o happening. Compreso un laboratorio di teatro No, giapponese. In quel momento le influenze arrivavano prevalentemente dai “compagni di strada”… Come stimoli di altra natura posso comunque citare la dirompenza dei futuristi e Samuel Beckett con il suo teatro dell’assurdo.
La pratica vera e propria è invece arrivata qualche anno dopo, a Milano, dove ho frequentato la Domus Academy, ed ho avuto l’occasione di partecipare a vari progetti ed eventi espositivi. Incontri particolarmente significativi quello con Alessandro Mendini e quello con Pierre Restany. Sotto altri aspetti sono poi stati particolarmente importanti i momenti in cui ho “scoperto” prima l’acrilico e poi la spatola, materiali e strumenti che mi hanno consentito di intraprendere un processo di tipo “liberatorio”. Altro elemento importante è stato il “fascino” originato dalla gran quantità di elementi/frammenti materici raccolti spesso nelle spiagge di Sicilia – ma non solo – che continuo ad inserire, spesso, nei miei lavori.

Ci sono temi o concetti ricorrenti che esplori attraverso la tua arte? Cosa ti ispira maggiormente?

Più che gli stati d’animo e le emozioni, credo che siano i concetti e le idee a stimolarmi maggiormente. Temi a me particolarmente cari sono quelli del recupero e della salvaguardia della memoria. In merito agli inserimenti materici, di recupero, mi piace usare sia frammenti di elementi naturali che frammenti di manufatti originati da processi produttivi. Trovo infatti che i materiali presentino una fortissima connotazione visiva, emotiva e culturale che va ben oltre la semplice rappresentazione di se stessi. Ogni frammento è inoltre portatore di storie e di vissuti che arricchiscono in maniera diretta la stessa opera. Da non trascurare poi l’intento che va nella direzione della sostenibilità ambientale e della critica sociale. Rispetto alle influenze sicuramente il dadaismo da una parte e l’arte povera dall’altra hanno giocato un ruolo importante nel mio percorso artistico.
La memoria poi mi permette di reinterpretare, trasmettere e conservare esperienze non solo personali (come nella serie “Storie di Famiglia”), ma anche collettive e storiche (come nella serie “La Storia Dipinta”).
Difficile individuare specifiche fonti di ispirazione dal momento che le stesse sono talmente diversificate che andrebbero prese in considerazione ed analizzate separatamente, di volta in volta, rispetto ai singoli lavori o ai singoli progetti. Più spesso sono comunque legate ad un’idea o ad un tema, di tipo culturale o di tipo esperienziale. Altre volte invece si tratta di ispirazioni molto circoscritte: una forma, una sfumatura di colore, un oggetto, un materiale, una data, un episodio, una struttura compositiva. A volte anche una visione…

Come pensi che il contesto culturale e sociale in cui vivi influenzi il tuo lavoro artistico?

Mi sembra scontato affermare che qualsiasi opera è sempre, in qualche modo, influenzata dal contesto culturale, sociale e politico. Non solo in merito alle idee che stanno dietro ogni singolo lavoro o progetto, ma anche rispetto alle riflessioni e agli stimoli a cui vengono sollecitati i fruitori delle opere. Allo stesso modo anche le tecniche utilizzate, i materiali e le procedure di lavoro sono figlie del loro tempo. La pressoché infinita libertà espressiva che libera il linguaggio da parametri e codici rigidi che potrebbero esercitare un eccessivo rigore sintattico mi da, infatti, sempre, l’occasione di riflettere e di sperimentare ulteriormente. Ugualmente fatti ed episodi mi danno spunto per riflettere sui cambiamenti nei valori e nelle ideologie. Tutto il mio lavoro è quindi certamente un riflesso del mio tempo, ma è contemporaneamente anche una risposta.

Puoi raccontarci di un progetto o di un’opera a cui tieni particolarmente e spiegarci il motivo?

Il progetto a cui sono particolarmente legato è quello del già citato “La Storia Dipinta”. Un primo nucleo – a cui ho dato il titolo “Gli indignati” – nasce quasi vent’anni fa, nel 2005, a seguito delle assoluzioni giudiziarie per tutti i coinvolti a vario titolo nelle grandi stragi “di stato”, prime tra tutte Ustica e Piazza Fontana. A contorno gli scandali che hanno coinvolto alti organi dello stato, depistaggi e insabbiamenti. Tutti i lavori risultano sempre associati ad una precisa data.
A far da contrappunto la condanna dei gerarchi nazisti a Norimberga: il 16 ottobre del 46. O la mancata incriminazione di Bush come criminale di guerra: il 1°maggio del 2003, quando “Bush, a bordo della corazzata Abraham Lincoln, dichiara conclusa la seconda guerra del Golfo, con la piena vittoria delle truppe americane. Peccato che invece passeranno ancora 8 anni, con 76.000 vittime”.
A quegli episodi si sono poi via via aggiunte una serie di altre date, di altri eventi. Tra le infinite date possibili di preferenza scelgo quelle in cui la collettività si esprime, prende posizione. Il potere giudiziario emette sentenze; il potere politico promulga leggi, decreti; il potere della cultura assegna premi, riconoscimenti; la società civile afferma diritti, mette in crisi pregiudizi. Oppure l’esatto opposto: episodi in cui diritti vengono negati, cancellati.
I calpestati accordi di Oslo sulla questione palestinese; l’assoluzione di Erri De Luca dall’accusa di sabotaggio della tav; il riconoscimento del diritto d’asilo per motivi di orientamento sessuale; il premio Nobel a Dario Fo; la scorta a Roberto Saviano.
Il progetto, il cui intento prevalente è quello di svolgere una funzione di critica sociale e di denuncia, vuole pertanto essere un esercizio di memoria collettiva.

In che modo l’interazione con il pubblico influisce sulla tua pratica artistica? Ti capita di modificare il tuo lavoro in risposta ai feedback che ricevi?

Non ho mai considerato il feedback del pubblico un elemento determinante e condizionante per la mia attività artistica, è tuttavia innegabile che in alcune specifiche situazioni alcune interazioni hanno interferito nella definizione dei contenuti di qualche opera, oppure ne hanno modificato l’intento. Solo per fare qualche esempio sono state sollecitazioni esterne a spingermi a provare ad ingrandire il formato dei lavori o a far interagire tridimensionalmente gli inserimenti materici. Lavorando più spesso con l’astratto/informale sento spesso la necessità di utilizzare degli “indizi” che suggeriscano chiavi di lettura dell’opera, che vadano nella direzione del mio intento comunicativo. Anche in questo caso succede, a volte, a seguito di feedback, di ritrovarmi a modificare e/o integrare qualche indizio. In ogni caso credo, comunque, di mantenere sempre una mia autonomia creativa.
Inoltre, la diffusione dei social media come strumento di promozione e divulgazione di opere artistiche ed eventi ha trasformato il modo di interagire con il pubblico, rendendo questa interazione più immediata e accessibile.

Cosa pensi della commercializzazione dell’arte contemporanea? Pensi che possa compromettere l’integrità dell’opera o la sua funzione critica?

Condivido la visione che supera l’idea romantica dell’arte come mera espressione libera e creatività incontaminata dell’artista. Ritengo, infatti, che la commercializzazione dell’arte sia divenuta un aspetto collaterale del fare artistico, ormai acquisendo una rilevanza esponenziale. Questo fenomeno, oltre a essere di grande importanza, deve essere considerato, in una certa misura, una necessità inevitabile.
È innegabile che il riconoscimento del pubblico e della critica, così come quello finanziario, abbiano un ruolo fondamentale. La promozione e il sostegno dell’arte passano attraverso le attività di gallerie, collezionisti, fiere, case d’asta e tutti i meccanismi del mercato in generale. Tuttavia, se da un lato il compromesso è una realtà intrinseca, dall’altro esiste anche una componente di rischio che non va sottovalutata.
Per questo motivo, è auspicabile — e direi imprescindibile — che l’integrità artistica, sia nel suo valore culturale che estetico, mantenga sempre una priorità rispetto alle logiche di mercato.

STORIE DI FAMIGLIA (pala d’altare laico)

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