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Qual è stato il tuo percorso artistico?
Ho una formazione artistica e sono da sempre ossessionata dall’arte, anche se sono diventata architetto, mi sono specializzata e ho un dottorato in progettazione architettonica. Ho proseguito questo percorso aprendo la sede romana dello studio Archea dedicando diversi anni alla ricerca architettonica e alla progettazione. Il mio interesse principale è stato il rapporto arte-architettura approfondito nel mio dottorato nella definizione di nuove tipologie architettoniche, un mix di architetture-suolo-natura e gesto artistico. Con la convinzione che sia necessario sconfinare tra le differenti discipline del sapere, da quelle umanistiche a quelle scientifiche e tecniche .
Per alimentare una necessità interiore e di approfondimento verso le pratiche artistiche mi sono diplomata in pittura e specializzata in tecnologia della Carta all’accademia di belle arti di Roma.
L’inizio del lavoro in accademia coincide con lo sviluppo del mio lavoro artistico. E’ difficile scegliere una direzione, ti ritrovi a tracciare dei percorsi che solo volgendo lo sguardo puoi provare a definire. Per quanto la natura del lavoro in sé non sia quella di trovare definizioni ma di sfuggirgli, di sottrarsi.
Certamente la passione per la carta, la sperimentazione, un certo rigore nel lavoro, la progettualità hanno fatto da ponte con le mie esperienze precedenti.
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Attraverso la reazione tra colori vegetali autoprodotti e ossidi creavo delle sinergie simili a quanto accade nelle formazioni cosmologiche in cui dopo collusioni ed esplosioni prendono forma nebulose e galassie e buchi neri.
Ai paesaggi celesti e terrestri, alle cartografie si sono affiancate considerazioni e interessi verso dissoluzioni, sparizioni di cosa e nature ovvero pensieri circolari tra vita e morte, tempo e memoria, testimonianza e catalogazione, utilizzando mezzi espressivi sempre diversi.
Dai colori estratti da materie vegetali, alle carte autoprodotte, al lavoro con il digitale, alla fotografia, alla stampa, alle riprese con lo scanner, al video. A volte il mezzo tecnico è lo strumento che scelgo in funzione di un preciso progetto, altre volte è lui che mi porta da qualche parte e che definisce il lavoro.
La carta ha un valore speciale ed è sempre presente, la definisco, materia viva e sensibile capace di registrare qualunque movimento delle mani e del corpo, la utilizzo come supporto o come materia. I fogli sono realizzati secondo tecniche tradizionali occidentali e soprattutto orientali, giapponese e coreana, utilizzando fibre di gelso. Un aspetto che certamente mi affascina di questa materia è la dose di rischio che hai mentre lavori, non puoi sbagliare, non puoi correggere, differentemente da una tela.
Come accennavo, in alcune mie pratiche artistiche che definisco di testimonianza e memoria ho realizzato delle catalogazioni, archivi intesi come dispositivi poetici. Ho raccolto sul campo oggetti e cose, pezzi di natura, trasformate in immagini o stampe catalogate come oggetti preziosi. Questi elenchi infiniti, che come affermava Eco danno un’idea di indicibile, di cui non si può parlare, aprono all’immaginazione. Anche Bourrioud paragona il loro essere infinito, al lontano metafisico di un tempo, un’equivalente dell’ aura di Benjamin.
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
Prima di rispondere agli effetti dell’arte nella società, mi piacerebbe provare a definire che cosa è l’arte. Veicolo di conoscenza, comprensione della realtà, mezzo per suscitare emozioni, senso del mistero, spazio che consente l’emissione- ricezione di segnali, spazio relazionale?
Non ho le idee chiare in tal senso, forse un pò di tutto questo, forse dipende dalle situazioni, dai contesti storici e temporali, dagli artisti e dalle modalità e dai luoghi in cui si lavora.
Ovviamente una relazione con la società si verifica nel momento stesso in cui l’opera, tra l’altro sempre più liquida, entra in contatto con la persona e il contrario. Sempre di più assistiamo a innumerevoli esempi di pratiche artistiche in cui il pubblico diventa protagonista attivo e non più semplice fruitore.
I piani però possono essere differenti, da vere e proprie denunce politiche, a sollecitazioni che si riferiscono a questioni sociali come quelle ambientali, dei diritti, a situazioni in cui si toccano sfere più intime e personali in cui ciò che conta, come affermava Einstein per la grande arte e la grande scienza, è l’apertura verso il senso del mistero.
Per quanto mi riguarda credo che l’arte debba parlare del presente, pur affrontando storie e vicissitudini personali, l’eco è quello della realtà del mondo in cui siamo immersi, che coinvolge l’umanità e le grandi problematiche che ci assillano.
In questo momento storico particolare, così difficile e pericoloso, davanti alle catastrofi imminenti, da quella ambientale a quella atomica, alle grandi migrazioni, l’arte necessariamente si deve misurare con tutto ciò.
Ovviamente in un contesto autentico un’opera crea una scintilla emotiva, bouleversement, come diceva Barthes per la fotografia, il punctum, quel particolare segno di una foto che lascia una ferita.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Continuare ad imparare, studiare, apprendere, magari attraverso master, o residenze, magari una laurea in filosofia. Condivido l’affermazione di Socrate So di non sapere. Comunque avrò sempre un libro da sfogliare o un nuovo materiale da scoprire.
Un’ esperienza che mi piacerebbe realizzare è quella di progettare un lavoro con un laboratorio scientifico, anche se nell’immediato continuerò ad approfondire le filigrane di testi in carta Hanji,.
Vorrei inoltre ampliare il mio lavoro in relazione allo spazio, sviluppando come ho già fatto in qualche occasione, l’utilizzo del suono.
Inoltre sto realizzando un lavoro collettivo, con delle artiste di varie nazionalità e un musicista, sperando di riuscire a concretizzare esperienze del genere sempre più di frequente. D’altro canto come un progetto di architettura si realizza pienamente da una sinergia di studi e competenze diverse, anche quello artistico può trovare un suo compimento attraverso contributi che derivino da ricerche di più persone con esperienze e vissuti differenti.
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Sarebbe importante avere spazi a disposizione, con finanziamenti a supporto dell’attività e affitti ridotti per gli studi, come avviene a Berlino, soprattutto per gli artisti e curatori emergenti.
Le istituzioni potrebbero incentivare finanziamenti per progetti di arte pubblica, garantendo commissioni e anche i primi lavori, prendendosi così cura degli artisti, curatori e della loro ricerca.
Si dovrebbe inoltre cercare di dare un’identità all’arte contemporanea prodotta in Italia, cominciando a finanziare ricerche e pubblicazioni che traccino storie degli anni recenti, privilegiando delle narrazioni che diano agli artisti italiani una riconoscibilità anche all’estero.
Per concludere, il ruolo dell’artista dovrebbe essere riconosciuto e avere un proprio statuto.
Forse, ma qui entro in un miraggio, come diceva sia Latham che Beyus, sarebbe interessante se questa figura avesse dei ruoli all’interno delle stesse strutture istituzionali, per effettivamente proporre punti di vista completamente diversi, che agiscano effettivamente sul reale.