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exibart prize incontra Giulia Osella

di - 7 Ottobre 2024

Come hai scoperto la tua passione per l’arte? Ci sono stati momenti o persone particolari che hanno influenzato il tuo percorso?

La mia passione per l’arte è nata attraverso una serie di eventi apparentemente casuali ma profondamente significativi. In un momento di introspezione, mi sono immersa nella lettura di “Il Codice dell’Anima” di James Hillman. Questo testo ha rivelato nuove dimensioni del concetto di vocazione innata e di “Daimon”, risuonando profondamente con la mia esperienza personale.

Un sogno particolarmente evocativo ha poi rafforzato questa intuizione, come se fosse una manifestazione simbolica. In retrospettiva, è stato come se una serie di sincronicita’ e connessioni invisibili mi avessero guidato verso questo ambito creativo. L’arte, così, è emersa come un mezzo attraverso cui esplorare e articolare le mie riflessioni più intime e complesse, in una sintesi tra esperienza persona e ricerca estetica.

Ci sono temi o concetti ricorrenti che esplori attraverso la tua arte? Cosa ti ispira maggiormente?

Nella mia pratica artistica, indago il concetto di autenticità individuale come un percorso di continua rivelazione e affermazione del sé. Attraverso un linguaggio visivo che combina astrazione geometrica e simbolismo filosofico, esploro la tensione tra l’identità personale e le forze esterne che ne modulano l’espressione. Al centro della mia ricerca vi è la figura del ‘Daimon’, ispirata dalle teorie di James Hillman, che incarna quella spinta interiore che guida l’individuo verso la piena manifestazione della propria essenza. Mi affascina il dialogo tra dimensione individuale e collettiva, e il modo in cui l’affermazione autentica del sé può innescare trasformazioni culturali e sociali più ampie.

Come pensi che il contesto culturale e sociale in cui vivi influenzi il tuo lavoro artistico?

Il contesto culturale e sociale in cui opero influisce profondamente sulla mia pratica artistica, poiché rappresenta il palcoscenico delle tensioni tra l’individuo e le pressioni collettive. In una società segnata da rapidi cambiamenti e profonde disuguaglianze, le aspettative sociali e il conformismo possono ostacolare l’accettazione e l’espressione dell’individualità, rendendo arduo il riconoscimento di percorsi di vita autentici. Questo mi porta a riflettere sull’arte come mezzo di resistenza e introspezione, uno spazio in cui l’identità può emergere al di fuori delle convenzioni sociali. La mia ricerca si alimenta di queste dinamiche e intende sollevare interrogativi critici sulla complessità contemporanea, stimolando una riflessione collettiva sulla necessità di superare le limitazioni imposte dal conformismo per favorire una società più empatica e inclusiva.

Puoi raccontarci di un progetto o di un’opera a cui tieni particolarmente e spiegarci il motivo?

Una delle opere a cui sono particolarmente legata è “00:11”, un’opera che ha acquisito un forte significato già durante la fase di ideazione e stesura. Fin dai primi momenti, ho percepito una connessione profonda con questa creazione, tanto che, una volta terminata, è stata immediatamente selezionata per la rassegna “Under Raffaello” curata da Camillo Langone nell’ambito del Premio Marche 2023, presso la Galleria Albani di Urbino. Questo riconoscimento è stato solo l’inizio di un percorso espositivo importante.

Appena rientrata in studio, l’opera è stata poi selezionata tra le 10 finaliste del bando “Artefici del Nostro Tempo”, indetto dal Comune di Venezia in concomitanza con la Biennale. Attualmente, “00:11” è esposta al Padiglione 29 di Forte Marghera di Mestre, dove rimarrà in mostra fino al 31 dicembre 2024.

“00:11” è un’opera che per me rappresenta un momento di sintesi tra una ricerca concettuale intensa e un’esecuzione in cui ho trovato un equilibrio formale e simbolico. La sua traiettoria espositiva, in contesti curatoriali così prestigiosi, ha ulteriormente consolidato il suo valore, ma è la sua capacità di evocare riflessioni intime e universali che la rende particolarmente significativa per il mio percorso.

In che modo l’interazione con il pubblico influisce sulla tua pratica artistica? Ti capita di modificare il tuo lavoro in risposta ai feedback che ricevi?

L’interazione con il pubblico è un aspetto fondamentale del mio percorso artistico, ma non nel senso tradizionale di adattare o modificare il mio lavoro in risposta ai feedback. Piuttosto, considero il pubblico come co-creatore di significato. Le interpretazioni e le reazioni che emergono da chi osserva le mie opere arricchiscono il dialogo tra l’artista e l’opera stessa. Tuttavia, mantengo sempre una linea chiara tra l’integrità della mia visione e le aspettative esterne. Il feedback può certamente stimolare nuove riflessioni, ma la mia pratica rimane profondamente radicata in una ricerca personale, autonoma, e in una necessità di espressione che non si piega facilmente alle influenze esterne. Trovo che la vera potenza dell’arte risieda proprio nella sua capacità di creare un dialogo aperto senza necessariamente cercare di compiacere o accontentare il pubblico.

Cosa pensi della commercializzazione dell’arte contemporanea? Pensi che possa compromettere l’integrità dell’opera o la sua funzione critica?

La commercializzazione dell’arte contemporanea è una dinamica complessa, ma non necessariamente negativa. Da un lato, fornisce una piattaforma che consente agli artisti di raggiungere un pubblico più ampio e di finanziare la propria pratica, il che può essere vitale per la continuità della ricerca creativa. Tuttavia, l’arte non può e non deve essere ridotta a una semplice merce. Credo fermamente che l’integrità dell’opera risieda nella sua capacità di mantenere una visione autentica e indipendente, anche quando si confronta con le logiche di mercato.

La vera sfida, per un artista, è navigare tra queste pressioni senza compromettere la propria voce interiore. Quando l’opera diventa un mezzo per esplorare questioni profonde e stimolare un dibattito critico, il mercato, pur essendo parte del sistema, non può intaccarne il valore intrinseco. Ritengo che l’arte autentica possa coesistere con la commercializzazione, a patto che l’artista non perda di vista la propria responsabilità di sfidare, provocare e far riflettere. In questo senso, l’opera mantiene la sua funzione critica, diventando un baluardo di pensiero indipendente anche in un contesto fortemente mercificato.

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