Qual è stato il tuo percorso artistico?
Il mio percorso è stato diretto e senza ripensamenti in merito alla scelta, ma non per questo facile. Dagli studi compiuti al Liceo artistico a Manduria (Ta), al mio trasferimento a Milano all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove oggi insegno. Qui iniziai un’esperienza nel campo del restauro, spinta dal desiderio incessante di conoscere più possibile. A questa devo il rigore, la disciplina nel lavoro, la conoscenza approfondita dei supporti e delle tecniche; un bagaglio che mi porto dietro e che torna utile ancora oggi. Il desiderio di creare era più forte e lasciai il restauro per la pittura. Sin da subito iniziai con le prime mostre attraverso concorsi e premi. Da quando ho iniziato non ho mai abbandonato. Nel mio percorso artistico vi è un altro percorso parallelo, che precede quello dell’insegnamento ed è fatto di esperienze lavorative in ambiti differenti dall’arte, marginali, umili. A distanza di tempo le rivedo come la parte più interessante della formazione, degna dello stesso rispetto e attenzione. Devo tanto della persona che sono oggi soprattutto a questo.
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
L’elemento principale del mio lavoro è il pensiero, che veicola attraverso mezzi, linguaggi e forme differenti; talvolta sfidando l’equilibrio, soppesando il vuoto (Il peso del vuoto, 2018), altre volte setacciando e sedimentando buchi con la terra (Buco d’acqua), estrudendo il canto delle cicale in volume (Cicàdidi 2018-21), riverberando la luce (Light Pillars 2019) e in altre ancora, impiegando il tempo senza nominarlo (Il sole è nuovo ogni giorno, 2021). I materiali sono la traccia concreta della variabilità, di un dinamismo operativo determinato spesso dal rapporto con il contesto e dall’ imprevedibilità dei diversi fattori presenti nell’ambiente. Lavorando su materiali culturali e tematiche universali che hanno attinenza anche con l’antropologia dell’arte, concepisco ogni opera all’interno di una dimensione circolare, dove non c’è una struttura cronologica narrativa, ne un inizio e una fine, ma bensì una continuità e un ritorno.
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
Abbandonando l’egocentrismo e facendo spazio all’alterità che siamo, per riflettere realmente sulle urgenze del pianeta, assumendoci soprattutto la responsabilità di ciò che comunichiamo. Al contempo credo che l’arte non possa essere unidirezionale, perché snaturerebbe la sua precipua ambiguità.
«L’arte è una menzogna che ci avvicina alla verità».
In quest’affermazione di Picasso risiede il potenziale dell’arte di essere strumento di riflessione, interazione con la società, e al contempo il presupposto originario di artificio e finzione; un simulacro che tenta il suo stesso superamento. L’arte è una metafora potente che si realizza solo quando l’artista abbandona la sua soggettività facendosi interprete delle metafore della follia dell’umanità.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
I miei programmi sono sempre sogni di realizzare progetti d’arte.
In questo periodo sto lavorando alla stesura di diversi progetti che vedo oggetto di mostre personali future. Uno di questi è rivolto alle nuove tecnologie e alla memoria che incontra ambiti diversi dall’arte, e richiede la collaborazione con altri settori. Ho in cantiere un progetto di realizzazione di un’opera a quattro mani con la natura. Da tempo desidero realizzare l’installazione su commissione “Il peso del vuoto” e “Cavalletto a dondolo” in grande scala, in materiale ferroso e ottone, per poi collocarle nel paesaggio urbano e rurale. In ultimo vorrei partire per un progetto di residenza.
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Tenendosi aperte all’incontro con l’arte, alle possibilità reciproche che essa può offrire; guardando al contemporaneo non come a qualcosa da cui difendersi ma riconoscendone il vero valore culturale. Interessandosi concretamente alla ricerca, coltivandola, dimostrando il coraggio di scegliere, invece di rifugiarsi o ripiegare nella promozione di innumerevoli eventi, sempre più inconsistenti. Occorre un dialogo attivo e leale tra il mondo economico volto a produrre i profitti e il mondo culturale che dovrebbe produrre i contenuti. È una vecchia storia dove quasi sempre uno rincorre l’altro e si finisce con la mercificazione.
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