04 dicembre 2024

exibart prize incontra Marilena Ramadori

di

Mi piace definire il mio lavoro artistico come una sorta di viaggio urbano dove l’iconografia architettonica diventa il centro del mio interesse.

Marilena Ramadori

Come hai scoperto la tua passione per l’arte? Ci sono stati momenti o persone particolari che hanno influenzato il tuo percorso?

Sono sempre stata affascinata dall’arte e soprattutto dal disegno. Ciò che ha mosso qualcosa dentro di me, sin da quando ero piccola, è stato mio padre. La sua attitudine per il disegno, le tavole tecniche che correggeva, l’abilità delle sue mani sopra righe e squadre, quando il computer era ancora lontano, hanno sicuramente stimolato la mia curiosità. I suoi disegni a mano libera, capaci di riprodurre come per magia qualsiasi soggetto, sono stati sicuramente, ai miei occhi di bambina, le prime opere d’arte che ho scoperto e che mi hanno fatto appassionare all’arte. La scelta del mio percorso formativo e in particolare alcuni corsi alla Facoltà di Architettura di Roma, dove mi sono laureata, hanno stimolato ancora di più i miei interessi verso l’arte. È con l’Architettura Disegnata, con le teorizzazioni sull’autonomia del segno e del disegno in architettura che scopro e allargo i miei orizzonti. Tra gli interpreti Aldo Rossi, Arduino Cantafora, Massimo Scolari a Milano e a Roma Franco Purini e Carlo Aymonino che ho avuto la fortuna di avere come docenti, fondamentali alla mia crescita e alla mia formazione. Scopro così il forte legame tra Disegno, Architettura e Arte.

 

Ci sono temi o concetti ricorrenti che esplori attraverso la tua arte? Cosa ti ispira maggiormente?

Al centro della mia ricerca c’è l’architettura. Gli edifici accompagnano da sempre l’umanità e indagare sul loro linguaggio espressivo diventa per me un’esigenza alla quale non voglio rinunciare. Osservare la città, il costruito e il rapporto tra progetto architettonico e linguaggio artistico diventano i temi ricorrenti e fondamentali che esploro attraverso la mia arte. L’architettura diventa così non solo costruzione, utilità e funzione, ma anche espressione di arte e di libertà. Osservando la città e i mutamenti che la stessa ha subito cerco di annotare, nel mio taccuino, dove l’opera architettonica ha inciso significativamente sullo skyline e/o sul volto della città stessa. Le architetture urbane che catturano la mia attenzione diventano così gli oggetti o meglio i soggetti del mio lavoro. Il mio interesse si focalizza non solo su edifici emblematici, che hanno fatto la storia dell’architettura, ma anche su architetture meno referenziali, quelle che si incontrano mentre si cammina e ci si perde nello spazio urbano, soprattutto se si ha la fortuna di vivere in una città come Roma, una sorta di archivio a cielo aperto. Quelle che vediamo nei miei lavori sono sempre porzioni di architetture trasposte sulla tela. Di ogni soggetto si vede raffigurata solo una parte che, a ogni modo, pur negando alla vista la totalità dell’immagine, non impedisce di ricondurre al riconoscimento della struttura originale. Lo studio compositivo dell’opera si sviluppa attorno all’idea di un’inquadratura personale dove il bilanciamento tra pieni e vuoti, tra zone chiare e scure diventa fondamentale per affidare autonomia espressiva e ruolo da protagonista al particolare scelto e dove non c’è spazio per quelli che io definisco elementi di distrazione.

 

Come pensi che il contesto culturale e sociale in cui vivi influenzi il tuo lavoro artistico?

Mi piace definire il mio lavoro artistico come una sorta di viaggio urbano dove l’iconografia architettonica diventa il centro del mio interesse. Sicuramente questo viaggio, dove cerco di indagare la città e il suo costruito, diventa una esperienza formativa solo se condiviso con gli altri. In una società così frenetica, dove tutti sembrano andare di corsa e non trovare tempo, mi piace scegliere, per il mio lavoro pittorico, inquadrature prospettiche dal basso verso l’alto. Il richiamo è sicuramente al bisogno dell’uomo di rivolgere gli occhi al cielo per contemplarne l’immensità, ma anche un invito ad alzare lo sguardo e a essere più attenti. Quello che mi sorprende è vedere persone sempre più attratte da smartphone, videogiochi e sempre meno da ciò che ci circonda. Sollecitata da questo frenetico contesto sociale, mi è sembrato importante il concetto di riconoscibilità dell’architettura scelta. Il titolo attribuito all’opera riconduce direttamente al soggetto ritratto. Questo bisogno di riconoscibilità dell’architettura dipinta lo considero un elemento utile a chi osserva il mio lavoro, ne facilita la documentazione e, all’osservatore più curioso, l’eventuale visione dal vivo. Altra fase molto importante nel mio lavoro è quella del disegno. Oggi si usa molto il computer e, anche nelle facoltà di architettura, si è quasi smesso di disegnare. Mi piace allora pensare al disegno manuale, con sanguigna o grafite, come tramite di pensieri e parole non solo tra me e l’architettura che tento di interpretare, ma anche tra me e chi si avvicinerà alla mia opera. La traccia del disegno come storia dell’uomo. Spesso le scelte dei miei soggetti architettonici sono frutto del contesto sociale e del momento che viviamo. La serie “Balconies” mi era stata suggerita da ciò che si era verificato durante la pandemia: il balcone, da elemento architettonico, era diventato il luogo dove le persone socializzavano ed evadevano la solitudine della quarantena. Come infatti scriveva Aldo Rossi, «l’architettura è la scena fissa delle vicende dell’uomo, carica dei sentimenti di intere generazioni, di eventi pubblici, di tragedie private, di fatti nuovi e antichi». È con questa convinzione e con la consapevolezza che ogni architettura celi in sé significati simbolici ed emotivi che ho, nella mia ultima serie “Frammenti di sacralità” cercato, nelle vie delle città, non più palazzi ma edifici di culto. Questo viaggio nasce da una esigenza personale ma è evidente che oggi, più che mai, si ha il bisogno di luoghi di spiritualità. Un’architettura in grado di essere patrimonio degli uomini, capace di parlare attraverso un linguaggio universale scoprendo che il sacro rappresenta uno dei fondamenti su cui è radicata la civiltà umana e che molto probabilmente la fine della spiritualità coinciderebbe con il crollo della nostra civiltà. Importante allora avere un riconoscimento collettivo dell’architettura ed educare i cittadini a essere più rispettosi del patrimonio che ci circonda.

 

Puoi raccontarci di un progetto o di un’opera a cui tieni particolarmente e spiegarci il motivo?

Voglio raccontarvi di un’opera recente alla quale tengo particolarmente. Nel mio progetto pittorico parto sempre da una ricerca storica e cerco architetture che, secondo me, celano qualcosa di unico. Ciò che mi colpisce e che determina la scelta, non è solo la forma architettonica, ma quello che il progetto contiene in sé. La prima opera della nuova serie “Frammenti di sacralità” è “Grande Madre di Dio”. Un tributo che ho voluto fare all’opera architettonica di Gio Ponti, costruita a Taranto tra il 1964 e il 1970. Mentre affrontavo la ricerca e leggevo del progetto sono stata catturata dalla poesia con la quale l’architetto affronta l’opera. «Ho pensato: due facciate. Una, la minore, salendo la scalinata, con le porte per accedere alla chiesa. L’altra, la maggiore, accessibile solo allo sguardo e al vento: una facciata per l’aria, con ottanta finestre aperte sull’immenso, che è la dimensione del mistero… Altrimenti dove si dovrebbero sedere gli angeli?» scriveva Gio Ponti. Disegnare un particolare della facciata maggiore è stato per me emozionante e la lettura di questo documento mi ha sicuramente suggerito la porzione di architettura da trasporre e dipingere sulla mia tela. La Concattedrale di Ponti, dove il cemento diventa aria e luce, rappresenta modernità e monumentalità. Qualcosa di unico nel panorama dell’architettura del secondo Novecento. L’edificio, capace di celare in sé un profondo significato storico, sociale e religioso ha sicuramente bisogno di un riconoscimento, una maggiore valorizzazione come molta dell’architettura del XX secolo.

 

In che modo l’interazione con il pubblico influisce sulla tua pratica artistica? Ti capita di modificare il tuo lavoro in risposta ai feedback che ricevi?

No, non mi capita di modificare il mio lavoro in risposta ai feedback. Importante riceverli e farne tesoro, ma direi non determinanti nella mia pratica artistica.

 

Cosa pensi della commercializzazione dell’arte contemporanea? Pensi che possa compromettere l’integrità dell’opera o la sua funzione critica?

Sulla commercializzazione dell’arte contemporanea penso che negli ultimi anni molte cose sono cambiate. Oggi il mercato dell’arte sembra decidere le sorti dell’artista prima di qualsiasi altra cosa. L’approccio all’opera d’arte come bene da collezione è sicuramente accostato al fattore speculativo. L’arte è sicuramente diventata business modificando anche la sua natura. Le opere d’arte spesso vengono viste non come espressioni artistiche ma strumenti finanziari. Sicuramente tutto ciò può compromettere sia l’integrità dell’opera sia la sua funzione critica e di comprensione del valore dell’arte.

 

Grande Madre di Dio

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui