23 marzo 2023

exibart prize incontra Michele Ferrari

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Oggi troppo spesso l'idea di ricordo, come quella di archetipo, ci sembra banale e già vista, perché è qualcosa che conosciamo già e fa parte di noi da sempre; non siamo più in grado di riconoscerla tra la quantità che ci scorre davanti.

Michele Ferrari

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Il mio percorso artistico è nato in giovane età grazie agli stimoli creativi che trovavo in casa: mia madre è una modellista di moda, mio padre un attore di teatro e mia sorella una fotografa. Di conseguenza sono cresciuto con l’abitudine di leggere e comprendere linguaggi che vanno oltre ai linguaggi più tradizionali verbali e scritti. Questa sensibilità mi ha spinto ad iscrivermi al Liceo Artistico sperimentale della città, nell’indirizzo di architettura e design. Ai tempi era l’unico indirizzo che offriva un percorso sull’arte astratta, nelle discipline pittoriche e plastiche, cogliendo così la mia attenzione. Già al Liceo ho notato il mio interesse per l’interdisciplinarietà, presentando come elaborato finale una performance.
In questo periodo ero molto coinvolto nell’associazionismo e nel volontariato; in molte occasioni ho avuto la possibilità di esporre i miei lavori durante eventi e manifestazioni. Il mio percorso ha cominciato ad acquisire maggior consistenza quando ho iniziato a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Scegliendo l’indirizzo di comunicazione e didattica dell’arte, perché volevo approfondire l’importanza che l’arte ha nell’educazione dell’individuo. Finito il corso triennale ho approfondito l’argomento nel corso specialistico di mediazione e didattica del patrimonio culturale artistico; presentando una tesi museologica affiancata ad un progetto museografico a favore della comunità. Un altro fattore che sicuramente ritengo essenziale nel mio percorso artistico e non, sono i viaggi. Spinti dal mio interesse nell’antropologia e nella storia delle religioni, i miei viaggi sono sempre stati
incentrati nell’indagine di culture e religioni dimenticate. Per svariate vicissitudini lavorative e di vita, ho dovuto mettere da parte per qualche anno il mio percorso d’artista, ma senza dimenticarlo. Un paio di anni fa mi sono trasferito a Bergamo, dove attualmente vivo e lavoro. In questa città ho ricominciato la mia produzione artistica, presentandola in una mostra personale presso una galleria d’arte, che tutt’oggi mi rappresenta in svariate manifestazioni.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Dato il mio percorso e la mia formazione, mi sento di unire queste due domande perché le risposte parlano tra loro la stessa lingua. Sicuramente nei miei lavori c’è e ci sarà sempre una riflessione offerta al fruitore a scopo didattico. Entrando nel dettaglio la mia ricerca ricorre a molteplici mezzi espressivi per evidenziare l’aspetto poliedrico della memoria e per sottolineare come il ricordo può essere una chiave di lettura per la contemporaneità.
Ritengo che queste manifestazioni siano tra le poche espressioni di vita che mantengono l’essere umano in una dimensione naturale; in netto contrasto con la quotidianità virtuale e retroilluminata nella quale ci troviamo sommersi. In questo contesto post-tecnologico le immagini scorrono in grandi quantità, perdendo ogni significato. Abbiamo l’impressione che tutto venga calibrato erroneamente sulla formula: quantità+velocità=qualità e che oscurando il significato e l’originalità di ciò che vediamo, ci venga negata quella dimensione naturale umana per elaborare queste informazioni. Diviene quindi necessario fornire al nostro sguardo pazienza e calma, per sfoltire questa quantità e riconoscere cosa nella banalità è importante. Oggi troppo spesso l’idea di ricordo, come quella di archetipo, ci sembra banale e già vista, perché è qualcosa che conosciamo già e fa parte di noi da sempre; non siamo più in grado di riconoscerla tra la quantità che ci scorre davanti. Il mio intento è quello di ricordare che ogni tanto una banalità porta con sé un’importanza dimenticata, un piacevole ricordo collettivo che affiora e sempre capace di fornirci nuovi punti di vista sul presente. Dobbiamo fare un passo in dietro, ricordarci di essere parte della biosfera, per comprendere cosa nell’iconosfera è importante: senza lasciare questa umana decisione ad un algoritmo digitale.
Un argomento ampio che restringo analizzando semplici contesti trasformandoli in pretesti di ricordo e di memoria. Cerco un tema o una circostanza che interagisca con il mio messaggio principale, lo sviluppo indagando le tecniche più affini all’argomento e lo concludo in un ciclo di opere; che si pone come pretesto didattico al messaggio principale.
Descrivo il microcosmo per spiegare il macrocosmo.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Nell’immediato futuro sto organizzando una mostra personale, nel mio paese natale, nella quale presenterò una retrospettiva delle mie ricerche. In generale la metodologia che seguo per il mio lavoro mi offre un ventaglio di possibilità per indagare infiniti pretesti. L’intento è di continuare a cercare pretesti, di selezionarli e svilupparli al meglio. Ovviamente come ogni artista emergente mi piacerebbe trovare altre gallerie, esporre in altre città e arrivare ad essere un vero artista che vive della propria arte; lo auguro a tutti e anche a me stesso.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Senza paura di sembrare ripetitivo, la risposta la trovo nella didattica e nell’educazione.
Usare l’arte come pretesto di educazione per la comunità, dà la possibilità di creare contesti favorevoli ad artisti e curatori. Per le istituzioni pubbliche, strettamente legate al budget, proporre circostanze che uniscano più punti dell’ordine del giorno: come la cultura, l’educazione, l’ambiente ecc… potrebbe risultare la scelta migliore. Andando a favorire l’interdisciplinarietà, molti ambiti spesso trascurati, verrebbero rivalutati a vantaggio della comunità stessa e anche a vantaggio del budget. C’è anche da dire che il mondo dell’arte non è un mondo facile, è estremamente elitario, e a scegliere gli invitati sono proprio le istituzioni, i curatori e gli artisti con la A maiuscola. Ci sono molti giovani ed emergenti (quelli veri) tra artisti e curatori che hanno talento ma poco considerati in questo mondo e dalle istituzioni. Pur comprendendo l’importanza di un clima internazionale, poche sono le occasioni in cui gli emergenti vengono coinvolti seriamente. Coinvolgendo più artisti, servono più curatori, e automaticamente cresce la necessità di occasioni di incontro, che potrebbero creare le istituzioni; Ricordando loro che l’interdisciplinarietà e lo scopo didattico non intervengono drasticamente sul budget.

 

 

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