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13
agosto 2022
exibart prize incontra Mikaya Petros
exibart.prize
di redazione
Ho una matrice astratta, spesso policromatica come il mio carattere, gioioso e comunicativo, ma a tratti sguazzo tra i colori freddi dei blu verdi e bianchi per raccontare le ombre della mia interiorità.
- Qual è stato il tuo percorso artistico?
Nasco figlia d’Arte. Mio padre Petros era il più giovane dei surrealisti astratti della scuderia del mitico gallerista Alexander Jolas, già scopritore di Matta e Dalì. Fu Petros a disegnare il manifesto dell’ultima mostra italiana per Andy Warhol con cui passai del tempo in quella occasione. Da sempre colori tele e pennelli hanno fatto parte della quotidianità ed hanno stimolato la mia creatività. Ho cominciato fin da piccolissima a creare con i materiali più disparati, lunghi residui di carta, legni, brandelli di canapa ed ora mi rendo conto di quanto, questi esperimenti primordiali, lasciati a briglia lunga con maestria da mio papà, nella massima libertà espressiva, abbiano inciso come solco indelebile sulla mia Arte.
- Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Gli elementi principali del mio lavoro si basano sulla sperimentazione. Amo la pittura ad olio perché’ è nel mio DNA, ma desidero testare materiali in una sorta di prolungamento spaziale del mio discorso pittorico. Ho una matrice astratta, spesso policromatica come il mio carattere, gioioso e comunicativo, ma a tratti sguazzo tra i colori freddi dei blu verdi e bianchi per raccontare le ombre della mia interiorità. Amo descrivere il mio tempo e tuffarmi in spazi metafisici. Mi affascina l’era digitale e le sue declinazioni, a volte rappresento la clonazione umana del nostro prossimo futuro, come nell’opera intitolata Clonable Identity in permanenza nel Museo Cà Pesaro di Venezia, che ringrazio, essendo stato uno dei primi poli istituzionali a credere in me.
- In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
L’Arte è per definizione da sempre, a mio avviso, uno degli strumenti privilegiati che l’umanità ha a sua disposizione, per esprimersi e riflettere. Nelle mie opere dalle forme sinuose racconto il flusso della vita, ma anche le nostre scelte, le fratture e le conquiste, inserisco elementi figurativi e personaggi che raccontano il cambiamento come nel dipinto intitolato A certain slant of intoxication , ora in permanenza al The Art Center di Dover NH in Usa, dove una donna di colore con un occhio nero, che ho ritratto in uno scatto fotografico a Milano e poi dipinto, narra delle conquiste e delle sconfitte di questa nostra civiltà contemporanea.
- Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Sto lavorando a quadri di grandi dimensioni come The Other Ocean lungo 7 metri entrato da poco nella collezione del Musèe du Mer et Maritime di Bordeaux in Francia. Si tratta di un’opera multimediale musicata dalla compositrice e pianista fiorentina Alessandra Rapisardi. Sto creando anche dipinti musicali con la soprano Silvia Colombini come l’opera Unspoken Word, olio su tela e resina, oggi parte della Collezione Serpone di Roma. Parteciperò a breve alle Biennali di Scopje in Macedonia e ad Amburgo. Collaboro con poli istituzionali asiatici come il Cica Museum in Corea del Sud che ha di recente inserito l’opera multimediale intitolata Living in Surrogate Spaces. Nei miei prossimi progetti ci sono paesi come Inghilterra, dove di recente ho collaborato con la Dante Academy di Londra, Canada e Giappone. E’ questo il bello di essere un artista oggi, utilizzare la interconnessione telematica per far fluire l’Arte senza confini.
- In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Credo che le Istituzioni possano agevolare artisti e curatori innanzitutto colmando la profonda lacuna della presenza di opere di artiste non solo nei musei e nelle collezioni pubbliche o nelle aste, oggi ancora in imbarazzante minoranza, ma anche snellendo la burocrazia per realizzare progetti innovativi e di qualità. Viva l’Arte.