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exibart prize incontra Nicola De Luca
exibart.prize
di redazione
Qual è stato il tuo percorso artistico?
Da piccolo, nonostante seguissi le scuole regolarmente, mi piaceva guardare la trasmissione “non è mai troppo tardi”; ero affascinato da quel modo di insegnare di Albero Manzi: la parola comunicata anche con il disegno arrivava direttamente al cervello e non si dimenticava più. È così che ho capito la potenza del linguaggio grafico. Riprodurre ciò che l’occhio vede, attraverso il disegno e la pittura, iniziarono ad essere il mio passatempo preferito. La necessità di approfondire mi portarono a intraprendere gli studi presso il Liceo Artistico di Reggio Calabria, dove ho potuto affinare la mia sensibilità estetica e acquisire consapevolezza delle mie possibilità espressive. Finiti gli studi liceali, mi sono trasferito a Napoli dove ho frequentato la facoltà di Architettura. Durante gli studi nella città partenopea, ho frequentato una piccola compagnia di teatro sperimentale occupandomi di illuminazione di scena. Mi interessava la luce e gli effetti sui corpi e sulle entità architettoniche. Iniziai ad occuparmi di fotografia, ma, principalmente, come strumento di ricerca per i miei studi, che, curando lo sviluppo personalmente, mi ha consentito di approfondire l’arte di controllare la luce, le ombre e le forme. Finiti gli studi universitari, sono rientrato nel mio paese natale, dove da allora esercito la professione di Architetto affiancata ad una intensa produzione grafica e pittorica di carattere figurativa, alternando a questi il ruolo di docente di disegno negli istituti superiori prima e nell’Accademia di Belle Arti dopo. L’insegnamento è stato un altro tassello fondamentale per il mio percorso artistico.
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Credo che le mie opere nascano dalla costante ricerca e analisi dei capolavori dell’arte figurativa italiana. Nonostante abbia sperimentato e lavorato con diversi procedimenti pittorici, ho sempre preferito il disegno come principale tecnica, perché più consono ai contenuti da trasmettere. Il mio interesse si rivolge principalmente sulla figura femminile, non solo come esattezza compositiva, ma per catturare la bellezza imprevista, l’espressività degli occhi, il mistero. Non si tratta assolutamente di ritratti, perché il rappresentato, rinascendo, assume una nuova identità. Non ho nessuna volontà di stupire con il virtuosismo tecnico, ma la pittura e il disegno sono per me strumenti preziosi per indagare e interpretare forme ed espressioni il cui senso profondo è la stessa esistenza. Faccio emergere, quasi sempre, le figure dal buio per dare loro una condizione di isolamento e di purezza, ma anche per indirizzare l’attenzione su ciò che voglio mettere in evidenza. Sono immagini che scaturiscono da un disegno lento e scrupoloso, in un gioco di tessiture e filigrane di monocromi graffiti, generate da linee e gesti, che indagano, attraverso le infinite sfumature di grigio, il divario tra l’apparente e l’intimo.
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
Da docente ho seguito e continuo a seguire molti giovani nella loro attività artistica e devo dire che la maggior parte di loro sono molto attenti ai problemi della società e, in particolare dell’ambiente, più di ogni altra generazione. Vedo l’arte dei giovani sana e ricca di concetti positivi. Viene trattato il tema dell’ambiente, della pace, della differenza di genere, della violenza, ecc. Certo, l’arte in quanto arte è già strumento di riflessione, ma bisogna far sì che tutta la società si avvicini a questo mondo altrimenti è una riflessione negata.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Non faccio mai programmi per il futuro, continuo la mia ricerca artistica e lascio correre. Non organizzo le mie mostre e di solito espongo su invito, ma solo se la cosa può essere interessante.
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Non si può dire che in Italia non c’è attenzione per l’arte visiva in generale, solo che questa attenzione, comprensiva di finanziamenti, è rivolta solamente ai grossi nomi. Per i giovani e gli emergenti non viene speso un centesimo. I curatori spesso sono costretti a farsi finanziare dagli stessi artisti e in questo modo non si potrà mai avere una cernita della qualità. Se le istituzioni aiutassero, anche economicamente, gli artisti e curatori di talento, lo scenario italiano tornerebbe ad essere centrale nel panorama artistico mondiale. Si può e si deve fare di più. Sarebbe importante far partecipare un maggio numero di artisti alle grandi rassegne nazionali. Pensiamo ad esempio alla 54a biennale di Venezia, dove ho partecipato. Con il padiglione Italia, suddiviso per regioni e dove è stata data l’opportunità a molti artisti emergenti di essere protagonisti davanti alle quinte.