08 aprile 2023

exibart prize incontra Rudina Simicija

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Forse ciò che prevale nel mio immaginario è il tema dell’addio forzato alla propria idea di mondo, in altre parole il tema del reset esistenziale.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Ricordo che da piccola mi sdraiavo sul pavimento di casa a disegnare all’infinito, disegnavo con gli occhi, proiettavo figure umane e di luoghi unendo le macchie di umidità sui muri di casa… A sei anni m’iscrissero a un corso di disegno, e queste figure cominciai a metterle su carta, non mi stancavo mai di farlo in solitudine, a costo di isolarmi dai miei coetanei… Dopo il Liceo artistico frequentai l’Accademia di Belle Arti di Tirana sotto la guida di Edi Rama, Edi Hila e Najada Hamza…  Feci una collettiva a Scutari insieme ad Adrian Paci e Zef Paci e ad altri professori, nell’ambito dell’associazione culturale Gjergj Fishta. Terminati gli studi universitari, negli anni Novanta mi trasferii in Italia. Le prime mostre le organizzai a Modena, all’interno di piccole Gallerie d’arte gestite dai padri Gesuiti, o nei locali dei circoli culturali, o anche all’interno di alcuni pub del centro città. In quel periodo davo lezioni di disegno nel pomeriggio, mentre di sera facevo la cameriera in una birreria.  In quella fase dipingevo ad acrilico su tele di medio formato, collezionando tutti gli scenari del mondo giovanile: discoteche, pub, feste private, piccoli concerti… Ricordo quello dei Morcheeba nei locali abbandonati delle Ex Fonderie…
Poi nel giro di un paio d’anni partecipai ad alcune esposizioni collettive di rilievo, tra cui quella al Trevi Flash Art Museum, in cui esposi alcune opere accanto a quelle di Jeef Koons, Catelan, Arienti e Pignatelli, Chia, Clemente, Beecroft, Montesano, ecc. Partecipai a un’altra importante collettiva a Roma, per interesse di Pio Monti, e a una mostra ad Innsbruck, tramite un gallerista di Milano, durante la quale vendetti per la prima volta una mia opera a un collezionista.
Solo a partire dagli anni Dieci ripresi a fare alcune mostre collettive di rilievo, principalmente nel Nord Italia… In questa seconda fase le mie opere sono spesso un misto di arte digitale, (in particolar modo disegno digitale, coi cosiddetti ‘filati‘ tracciati e coniugati in mille modi) e fotografia. Spesso utilizzo colori acrilici e talora aggiungo effetti di luce (neon embedded) all’interno della tela…

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Forse ciò che prevale nel mio immaginario è il tema dell’addio forzato alla propria idea di mondo, in altre parole il tema del reset esistenziale, del trauma indotto dal cambiamento epocale, tema che in qualche modo ha sempre riguardato tutte le ultime generazioni, soprattutto per via dei recenti progressi tecnologici, ma che ora con la pandemia e con il ritorno della minaccia atomica ha assunto toni quasi apocalittici… E per chi ha lasciato il suo Paese d’origine, come nel mio caso, per necessità o per altro, lo sradicamento è ancora più accentuato.   Si tratta di una metamorfosi sociale vissuta da molti della mia generazione in modo contrastato e contraddittorio; a volte sembra la recita collettiva di un atto di dolore richiesto dalle nuove ideologie progressiste per la ‘salvezza dell’umanità’, che però talora nasconde autoritarismo, scientismo, disprezzo delle tradizioni, (e della religione cristiana in particolare, ormai totalmente secolarizzata e inadatta a esprimere alcun tipo di ritorsione sul piano sociale), e che incoraggia violazione della privacy, controllo sociale, spinta alla progressiva virtualizzazione di ogni esperienza di vita, come ‘soluzione’ e rimedio ad ogni iniziativa individualista, ritenuta obsoleta e retrograda, al fine di scongiurare ogni superstiziosa opinione antieconomica…
Per altri versi, invece, nelle mie ultime opere cerco di dare completezza a ciò che a volte la realtà mi suggerisce in modo quasi subliminale; per cui accosto a un’immagine reale cioè che mi pare le manchi per diventare l’immagine del mio immaginario … Con la circolarità e l’essenzialità del tratto, quegli oggetti ‘filamentosi’ disegnati accanto alle immagini del mondo reale sono un modo per tornare a dubitare delle nostre comuni percezioni, troppo sobrie e nette, troppo piatte e noiose, e al contempo un mezzo per riconoscere un’origine strabiliante, una possibile presenza inaspettata e inusuale…

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte dovrebbe innanzitutto tornare a farsi intendere e amare dal proprio pubblico, perché l’arte è come il mito, vive d’ispirazione e creazione, ma vive altrettanto, se non di più, di ricezione, cioè della narrazione di chi ne fa esperienza e ne sa cogliere i pregi e la bellezza, diffondendone la leggenda
Per questo non credo bastino i social media o le piattaforme digitali, inclusi gli NFT.  Anzi la tecnologia digitale ha inflazionato in modo clamoroso ogni forma d’arte visiva, a partire dalla fotografia; la stessa pittura ha perso molta della sua esclusività… Oggi più in generale ogni forma di esperienza visiva, se non viene mediata dalla tecnologia digitale, sembra quasi perdere di valore… Se volessimo provare a fare qualcosa di innovativo, oggi dovremmo trovare il modo di ridare importanza a una rappresentazione artistica più esclusiva, magari cercata e ammirata dal vivo…

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Ho appena finito di partecipare alla fiera BOOMing, che quest’anno si è svolta al DumBo, nel contesto di Art City, a Bologna, e ora sto lavorando a un progetto sul tema dell’Esilio che partirà tra un mese in Kosovo e subito dopo farà tappa in Albania, toccando alcune Fiere anche in Italia.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Il mercato dell’arte è un mercato molto complesso ed esclusivo, paradossalmente quasi più esclusivo dell’arte stessa che promuove. Questa esclusività in sé è positiva, ma forse eccessiva. Le istituzioni possono contribuire a superare questa percezione elitaria del mercato dell’arte con iniziative e progetti in cui vengano messi a disposizione di artisti e curatori gli spazi pubblici, magari recuperando aree dismesse, come ad esempio le ex caserme militari, per creare ambienti espositivi e di produzione artistica accessibili a una più ampia platea di persone, magari anche all’interno di spazi all’aperto, come parchi o giardini. Sono iniziative che alcuni Comuni in parte già fanno, soprattutto a favore di altre forme d’arte come la musica, mentre per quanto riguarda le arti visive sono molto più rare…

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