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24
gennaio 2008
exibart_studi Antoni Gaudí
exibart studi
Dal razionalismo esasperato dello Stile Internazionale alla nascita di un mito. Un saggio su Antoni Gaudí che indaga le ripercussioni della sua opera e delle sue idee sul e nel nostro Paese. Passando da Adalberto Libera a Niki de Saint Phalle...
abstract
Dopo il 1945, l’International Style, ovvero quella forma di totale fiducia nel razionalismo e nel progresso architettonico che riteneva possibile una progettazione indifferenziata in ogni area urbanizzata del mondo, subisce una netta battuta d’arresto. Si accusa, in particolare, la cultura che lo ha alimentato di “spersonalizzazione” e riduzione all’elemento meccanico della natura e dei bisogni umani, e la si identifica con quella fede cieca nel progresso e nella macchina che aveva condotto il mondo nell’abisso della guerra.
Contro la standardizzazione razionalista, si guarda con speranza alla creazione di un nuovo linguaggio architettonico, che sia anche espressione di un’umanità capace di recuperare esigenze “sentimentali”: alcuni critici si impegnano così in prima linea nel promuovere e far conoscere stili del passato e del presente che ripropongono tradizioni artigianali e inflessioni “linguistiche” regionali, o edifici fatti di forme complesse e linee curve non inseribili nei processi di riproduzione seriale e industriale.
Nasce così il mito di Antoni Gaudí, che in un brevissimo arco di anni diviene, da sconosciuto, una figura leggendaria dell’architettura del XX secolo. Le rotte di diffusione del suo stile in Europa sono alquanto “eccentriche” rispetto a quelle di altri architetti: inviso o ignorato nelle accademie e nelle scuole di architettura, il suo stile trova inizialmente amplissima diffusione tra gli artisti e gli architetti italiani in tutte quelle forme effimere o “fantastiche” e destinate al tempo libero, come gli zoo, i giardini, i set cinematografici e teatrali, che, in virtù della messa in scena di “altrove” immaginari, permettevano di sperimentare soluzioni inconsuete e innovative. Proprio da questi campi marginali sembra essersi sviluppato un profondo rinnovamento, che ha poi coinvolto anche le architetture stabili.
Il contributo ripercorrerà quindi questo fenomeno passando in rassegna i principali edifici, scenografie cinematografiche, allestimenti teatrali ed effimeri, e spazi ludici nei quali è nato il nuovo linguaggio architettonico, a partire dagli inizi del secolo per giungere fino agli esiti più recenti come il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle a Garavicchio.
Dopo il 1945, l’International Style, ovvero quella forma di totale fiducia nel razionalismo e nel progresso architettonico che riteneva possibile una progettazione indifferenziata in ogni area urbanizzata del mondo, subisce una netta battuta d’arresto. Si accusa, in particolare, la cultura che lo ha alimentato di “spersonalizzazione” e riduzione all’elemento meccanico della natura e dei bisogni umani, e la si identifica con quella fede cieca nel progresso e nella macchina che aveva condotto il mondo nell’abisso della guerra.
Contro la standardizzazione razionalista, si guarda con speranza alla creazione di un nuovo linguaggio architettonico, che sia anche espressione di un’umanità capace di recuperare esigenze “sentimentali”: alcuni critici si impegnano così in prima linea nel promuovere e far conoscere stili del passato e del presente che ripropongono tradizioni artigianali e inflessioni “linguistiche” regionali, o edifici fatti di forme complesse e linee curve non inseribili nei processi di riproduzione seriale e industriale.
Nasce così il mito di Antoni Gaudí, che in un brevissimo arco di anni diviene, da sconosciuto, una figura leggendaria dell’architettura del XX secolo. Le rotte di diffusione del suo stile in Europa sono alquanto “eccentriche” rispetto a quelle di altri architetti: inviso o ignorato nelle accademie e nelle scuole di architettura, il suo stile trova inizialmente amplissima diffusione tra gli artisti e gli architetti italiani in tutte quelle forme effimere o “fantastiche” e destinate al tempo libero, come gli zoo, i giardini, i set cinematografici e teatrali, che, in virtù della messa in scena di “altrove” immaginari, permettevano di sperimentare soluzioni inconsuete e innovative. Proprio da questi campi marginali sembra essersi sviluppato un profondo rinnovamento, che ha poi coinvolto anche le architetture stabili.
Il contributo ripercorrerà quindi questo fenomeno passando in rassegna i principali edifici, scenografie cinematografiche, allestimenti teatrali ed effimeri, e spazi ludici nei quali è nato il nuovo linguaggio architettonico, a partire dagli inizi del secolo per giungere fino agli esiti più recenti come il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle a Garavicchio.
Autrice: Donatella Fratini
Revisori: Giuseppe Bonaccorso, Antonino Caleca
[exibart]