Mentre tutti festeggiavano il capodanno, sul sito dello SFMOMA veniva lanciata la prima parte della tanto pubblicizzata mostra “01.01.01: Art in Technological Times”, titolo che è allo stesso tempo una data e un’allusione al codice binario, materia prima di ogni opera digitale. (www.sfmoma.org)
La manifestazione si compone di una sezione web e di una mostra nello spazio fisico del museo che sarà visitabile dai primi di marzo. L’esposizione comprenderà, oltre a 5 webprojects, le opere di oltre 35 artisti, architetti e designers di tutto il mondo e occuperà interamente i quattro piani dell’edificio. I lavori presentati sono realizzati attraverso una grande varietà di media (compresi i più tradizionali: pittura e scultura) e si confrontano con l’uso delle nuove tecnologie digitali, ma anche con l’impatto sociale e culturale del progresso tecnologico.
“Art in Technological Times” non è la prima iniziativa di questo tipo, ma è di certo la più ambiziosa realizzata negli Stati Uniti finora. Il Museo di Arte Moderna di San Francisco aveva già lanciato negli scorsi anni lo “Sfmoma Webby Award”, una specie di “oscar della rete”, che comporta tra l’altro un cospicuo premio in denaro offerto da un misterioso mecenate delle arti. La Biennale del 2000 del Whitney Museum ha dedicato una sezione alla “Internet Art” e a marzo inaugurerà “Bitstreams”, un’altra grande mostra dedicata al mondo digitale.
Quello dello Sfmoma è un evento che, per le sue proporzioni, per l’enorme risonanza che sta provocando e soprattutto per il tema proposto, non può che invitare ad una riflessione.
L’arte digitale -per usare un’espressione ampia e onnicomprensiva- è ormai un fenomeno abbastanza diffuso e affermato da destare l’attenzione delle istituzioni museali più prestigiose, che non si accontentano più di un sito web dall’interfaccia all’ultima moda, ma sembrano interessarsi attivamente all’uso creativo di computers e reti.
Il processo di istituzionalizzazione dell’arte digitale era del resto prevedibile. È il destino di ogni nuova forma d’arte il passaggio da uno status di avanguardia e sperimentazione al riconoscimento istituzionale. Lo stesso Sfmoma, il Whitney e altri grandi musei aprirono le porte alla videoarte circa venticinque anni fa. Ma nel caso dell’arte elettronica e ancor più della net.art, questo processo è stato molto più rapido del previsto, basti pensare che le prime sperimentazioni d’artista in rete risalgono ai primi anni Novanta.
Questa precoce attenzione del sistema dell’arte verso l’uso creativo del digitale e di Internet ha varie ragioni. Prima di tutto la rapidità con cui la Rete si estende e la facilità con cui riesce a connettere a distanza milioni di persone e a favorire quindi la comunicazione bidirezionale, da sempre un fattore di alto valore culturale. Si pensi poi alla capacità che la Rete ha di convogliare in sé le potenzialità di tutti gli altri media conosciuti, permettendo un uso simultaneo di testi, suoni, immagini statiche e in movimento. La digitalizzazione dell’informazione ha accelerato drasticamente i processi di produzione, scambio e ricezione della cultura. L’arte non fa eccezione.
“Nulla, dall’invenzione della fotografia, ha avuto un maggior impatto sull’arte delle tecnologie digitali” afferma convinto Lawrence Rider, curatore del Whitney, e molti suoi colleghi gli fanno eco, celebrando entusiasticamente il fenomeno. Primo fra tutti proprio David A.Ross, direttore dello Sfmoma, che con le sue affermazioni sottolinea anche la volontà di essere “updated” e al passo con i tempi: “Il futuro è arrivato! Cosa si può immaginare di meglio per la prima mostra del nuovo millennio che una presentazione on line che comprende alcuni importanti lavori con questo nuovo medium?” A proposito di “01.01.01” ha dichiarato inoltre che si tratterà dell’esposizione più ampia e costosa che il museo abbia mai ospitato.
Ma qual è il ruolo dell’istituzione museale nei confronti dell’arte digitale? Come viene ridefinito il suo status in rapporto ad un’arte che ha definitivamente perso l’aura di benjaminiana memoria; che è manipolabile e riproducibile; che è sempre meno un oggetto e sempre più un insieme di relazioni?
Il museo come “contenitore” di capolavori è di sicuro un’esperienza del passato. Le grandi istituzioni che hanno intenzione di confrontarsi davvero con i nuovi processi creativi dovranno farsi sempre più centri culturali e luoghi di promozione e scambio. Quasi dei moderni mecenati, dovranno essere in grado di sperimentare coraggiosamente e di diventare finalmente degli spazi “vivi”, dove l’arte nasce e prospera, cresce e cambia; non più templi della conservazione sterile, ma anzitutto laboratori attivi.
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Caro Orco, ho idea che sia un processo inevitabile. speriamo piuttosto che non sia solo una cosa modaiola...e che tra tanto sfavillio si veda anche qualcosa di valido. saluti
insolito. l'arte digitale di pixel e calcoli matematici, espressione allarmata (allarmante) di un nuovo modo di intendere comunicazione tramite l'ausilio di tencologie più o meno avanzate, entra nei musei...e allora il vecchio pirata delle arti ora si arresta al capolinea istituzione come ogni forma da'arte riconosciuta, e come tale dovrà sottostare ai criteri di valutazione estetica cui l'arte visiva da sempre è giogo. Complessità di intenti e forse contradizione in atto? Non appena i musei toccano...trasformano...e la cosa è piuttosto preoccupante. Non appena vedrò musei che inglobano anche i graffiti dei writer disseminati in tutto il mondo, avrò ancor più marcata la loro fine. Scusate, ma non lo ritengo un inizio, e a prescindere dall'alta pubblicizzazione cui godrà l'arte digitale, vedremo inesorabilmente le macerie di essa...nata con scopi "teoricamente" diversi, ma che credo dimenticatibili in fretta se si procede per questa via: non il museo ma altro...l'arte digtale pretende altro.