Con il diffondersi ramificato e invasivo delle tecnologie informatiche diventiamo testimoni di un processo di connessione continua tra pubblico e privato, di deterritorializzazione e oltrepassamento dell’individualità che sembra tendere alla costituzione di un iper-soggetto atemporale e incorporeo.
Non bisogna pensare però ad una specie di gigante mostro informatico in procinto di divorare l’umanità e tantomeno ad un Grande Fratello che ci osserva di continuo. Infatti, la mutazione psicologica che il mondo sta subendo a contatto con le tecnologie digitali genera spesso reazioni di panico e irragionevoli tentazioni luddiste, ma quel che è peggio, favorisce la circolazione di una serie di nuovi luoghi comuni e clichè irritanti. Uno dei più diffusi e tenaci riguarda i frequentatori assidui della Rete che, secondo statistiche e sondaggi, condurrebbero vite solitarie e alienanti.
“An Anatomy”, progetto telematico dell’artista americana Auriea Harvey (http://ananatomy.walkerart.org), dichiara fin dall’introduzione di voler contrastare quest’affermazione dimostrando che quando si naviga non si è realmente soli e questo perché semplicemente collegandoci diventiamo parte di un’unità organica fatta di miliardi di connessioni. Certo, non si tratta di un contatto fisico, ma è indubitabilmente un esperienza di condivisione; se non dello spazio, sicuramente di idee, pensieri, energie. L’opera della Harvey è interamente volta alla dimostrazione di questo concetto, sia a livello iconico che semantico. Aprendo la finestra di “An Anatomy” ci si trova di fronte l’immagine di una vita pulsante, una specie di ovulo umano programmato per reagire agli stimoli che i visitatori mandano anche solo con la propria permanenza sul sito. Quello che caratterizza in modo sostanziale questo progetto rispetto alla maggioranza delle opere visibili in Rete è la modalità di fruizione predisposta dall’autrice. La forma di vita artificiale della Harvey non reagisce a nessun click, non può essere manipolata tramite interventi diretti, ma si nutre unicamente della nostra presenza, della nostro essere lì, in ultima analisi del tempo. Più a lungo si sosta, più persone si collegano, più mutamenti avvengono sullo schermo. Se si ha la fortuna di visitare il sito contemporaneamente ad altri utenti l’esperienza che ci viene offerta si arricchisce e acquista significato; possiamo sentire suoni, vedere piccoli spermatozooi virtuali attaccare l’ovulo, osservare gli IP degli altri utenti mentre scorrono sul monitor insieme al nostro. An Anatomy si nutre di noi, rendendo visibile attraverso immagini e suoni un’affascinante metafora organica del Web.
Auriea Harvey si occupa da anni di media digitali e ha fondato nel 1995 il sito ENTROPY8
(htpp://www.entropy8.com ) per sperimentare sulle immagini e sull’interattività della Rete. Da allora il progetto è cresciuto diventando una specie di collettivo in continua evoluzione, uno spazio dedicato all’indagine sulle modificazioni che le nuove tecnologie provocano sull’umano. Il lavoro della Harvey ha come tema centrale l’aspetto comunicativo e comunitario di Internet e le sue opere spesso creano un intreccio inestricabile tra la vita privata e l’esistenza pubblica dell’artista sulla Rete, non solo tramite webprojects, ma anche con la realizzazione di toccanti performance(ovviamente trasmesse su Internet).
Nel suo illuminante “La pelle della cultura” , il profeta canadese dei media Derrick De Kerchove, parla di Internet come di “…uno spazio ‘vivo’, di una presenza collettiva, vibrante, attiva ed umana”. Il progetto di Auriea Harvey è un tentativo di renderci coscienti di questo attraverso il potere immaginifico dell’arte. Sempre secondo De Kerchove, l’arte è “l’aspetto metaforico di quella stessa tecnologia che utilizza e critica”, è “la forza contraria che bilancia gli effetti dirompenti delle nuove tecnologie nella cultura”.
In tempi come questi, in cui le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche avvengono troppo in fretta, senza lasciarci il tempo di metabolizzarle, l’esperienza artistica (dopo la completa abdicazione di questo ruolo da parte di una scienza che non si interroga più sugli obiettivi) sta assumendo un importante ruolo di forza riflessiva diventando una fabbrica di metafore che favoriscono la comprensione e l’adattamento a nuove situazioni psicosociali.
Valentina Tanni
[exibart]
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