Se interagiamo con Bindigirl, icona e simbolo della rinascita mistica nel cyber sex, e clicchiamo con il mouse sul fiore di loto, è come se possedessimo una telecamera portatile, con la quale scrutiamo ossessivamente gli occhi e le labbra della giovane donna. In realtà dopo qualche secondo ci accorgiamo che la nostra telecamera si muove seguendo le intenzioni dell’autrice, che è nuovamente soggetto agente del suo lavoro on line. Non è quindi possibile comandare gli spostamenti dell’occhio -o meglio del cine occhio- e veniamo immessi in un loop di immagini e parole provocatorie che bombardano i nostri sensi.
Nel progetto bindi si alternano anche altri link, e tra performance virtuale, chat e musica sacra è possibile anche acquistare gadget della “sensuale regina”. Ma chi è bindigirl? Si tratta, come afferma la Murthy, dell’archetipo della donna tra esotico ed erotico, la personificazione virtuale della “vera” donna che, come recita il Kama Sutra di Vatsayana, difficilmente viene conosciuta nella sua luce reale: “Le donne sono creature che amano o disprezzano gli uomini o li abbandonano o risucchiano la loro forza dopo averli posseduti.”
Il progetto è il risultato di una miscela tra elementi diversi: nuove tecnologie, religione, porno e India, ormai quest’ultima forse sfruttata sino al midollo, (quello della dea Kundalyni, la dea serpente che dorme arrotolata nella colonna vertebrale?). Il mix però non è casuale, ma gestito con meticolosità al fine di confezionare un “ottimo” prodotto del consumismo occidentale, in un momento nel quale dire India è molto trendy e che trova nell’asian underground un inestinguibile e interessante serbatoio.
L’autrice osserva le relazioni, talvolta borderline, tra il lecito e l’illecito, e indaga il cambiamento della percezione determinato dall’avvento delle tecnologie nei nostri sistemi di comunicazione. Studiando l’identità femminile, teorizza, tra l’altro, una fusione tra le diversità fisico-organiche che arrivi a supere le limitazioni del genere maschile/ femminile.
Bindigirl è una denuncia dello sfruttamento e dell’abuso dell’immagine femminile in rete, dove il corpo meccanizzato e reale/virtuale viene continuamente mercificato, ma allo stesso tempo permette di aprire nuove sensazioni, di sperimentare rivelazioni, di ipotizzare una nuova religione nell’era del net.
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Francesca De Nicolò
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