Il Whitney Museum ha sempre dimostrato interesse per le nuove forme d’arte “tecnologiche”. Ha aperto le porte alla videoarte negli anni Settanta, è stata la prima istituzione ad acquistare per la propria collezione un’opera di Net Art e ha realizzato, in occasione della Biennale 2000, una sezione dedicata all’arte in rete, con ben dieci progetti.
Bitstreams comprenderà le opere di quarantanove artisti che si confrontano in modi differenti con i nuovi media. I curatori, Larry Rinder e Debra Singer, hanno dichiarato che l’obiettivo della mostra è quello di dimostrare al grande pubblico che l’arte digitale non è, come si dice spesso, un’arte fredda e asettica, che punta tutto sull’uso di tecnologie all’avanguardia.
Le opere selezionate, che utilizzano le tecniche più differenti (fotografie, film, video, installazioni, sculture), lavorano infatti su un piano emozionale, utilizzando la tecnologia in modo poetico e personale. Tra gli artisti troviamo nomi noti come Jeremy Blake, Leah Gilliam, LOT/EK, Paul D. Miller (DJ Spooky That Subliminal Kid), Jim O’Rourke, Paul Pfeiffer, Marina Rosenfeld, Elliott Sharp, Diana Thater e Pamela Z.
Insieme a Bitstreams il museo statunitense presenta una mostra di Internet Art intitolata Data Dynamics che comprende cinque progetti, visibili sia nel museo che da casa tramite il sito Internet del Whitney.
Christiane Paul, curatore della sezione nuovi media del Whitney, ha dichiarato il suo entusiasmo per le sperimentazioni d’artista in Rete: “Nonostante producano lavori di frontiera ed esplorino un medium che sta avendo un enorme impatto sulla nostra cultura, i net artisti sono ancora conosciuti principalmente all’interno della comunità artistica della Rete e non trovano molto spazio all’interno dei musei. Questi progetti rappresentano un contributo importante per la diffusione dell’arte mediale nel nostro paese.”
I cinque lavori selezionati ruotano attorno al tema della comunicazione digitale via Internet. L’ininterrotto flusso di dati che attraversa la Rete e la malleabilità dell’informazione codificata in formato binario sono i punti caldi della riflessione di questi artisti, che offrono diversi modi di “organizzazione” e visualizzazione dei dati. Ogni progetto mette a fuoco in modo singolare le differenti “dinamiche” che il flusso di dati subisce, innescando stimolanti riflessioni sul linguaggio, il racconto, la memoria e perfino il traffico, mettendo a confronto quello nello spazio reale e quello virtuale.
I progetti, che saranno esposti anche nel Museo fino al 10 giugno sotto forma di installazioni, sono:
Apartment di Marek Walczak and Martin Wattenberg, Point to Pointdi Mark Napier, Netomat di Maciej Wisniewski, DissemiNET di Beth Stryker e Sawad Brooks ,Camouflage Town di Adrianne Wortzel.
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Valentina Tanni
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bellissime immagini stranianti !!!!
libidinose ste opere.A parte gli scherzi, mi pare tutto molto bello!
Fantastico il primo quadro in alto a sinistra!
Ehi... quando dico "testo" mi riferisco all'opera in questione... non al tuo articolo. Scusa... Ciao!
Non è semplice, però, comprendere lo statuto della Net Art; le tre immagini che riproduci sono ricche di suggestioni, d'accordo... per chi legge l'articolo, però, sono fruibili in un solo modo. NON da un solo punto di vista... il problema riguarda il testo; posso solo intuirlo, e definire con difficoltà dove inizia la Videoarte. Com'è organizzata la "rappresentazione" del linguaggio - i parametri principali del Web, ad esempio? Com'è organizzato il tempo? E' tutto davvero interessante... Ciao
della prima foto in alto non ho trovato didascalie (la trovate grande sul sito del whitney) ma le successive sono:
John Klima, Still from ecosystm, 2000
Carl Fudge, Rhapsody Spray 1, 2000
Marek Walczak and Martin Wattenberg, Apartment, 2001
3-D modeling environment
Una cosa è usare la rete come mezzo, un'altra come fine. La differenza non è però questa, secondo me. Infatti... molti lavori Video (realizzati con supporti più o meno collaudati - anche il digitale) indagano dimensioni finora nascoste, lontane... sollevano il velo su dimensioni nelle quali non sembra esistere un "passato", un background -sì... c'è la cultura dell'artista, ovviamente, ma... non so come dirti... la "realtà" resta sospesa, non perchè il Videoartista è epigono di cineasti che già si sono mossi in questa direzione, ma perchè sembrano finalmente rivelarsi luoghi dei quali, fino ad ora, mancava la "chiave" per accedervi. In questo senso la Videoarte mi sembra comparabile alla Net Art. E dunque: può essere la Net Art un'ulteriore strumento (o "chiave") per fare luce sui "luoghi" sospesi della nostra interiorità? Infatti penso che sia essa, la nostra interiorità, che viene indagata... e secondo me Man Ray, Leger, Murnau, nelle loro esperienze cinematografiche, erano consapevoli di ciò, e già andavano in questa direzione. Mi piace molto parlare di queste cose... dimmi quello che pensi. Ciao!
Caro Costantino,
non sono sicura di aver compreso bene il tuo intervento. Però sulla difficoltà di definire uno statuto della net.art siamo d'accordo.
Dove finisce la net art e dove comincia la videoarte? bella domanda! Molti artisti si servono della rete per rendere accessibili worldwide video e animazioni, ma ci sono anche molti lavori di net art che non sono per niente incentrati sull'immagine.Come puoi capire la questione non è semplicissima.
Le immagini dell'articolo sono di sicuro affascinanti e incuriosiscono, ma è ovvio che sono parziali, piccoli campionamenti...
L'arte digitale, come la performance o il cinema, difficilmente si può fruire tramite qualche istantanea.
La questione del tempo sul web è molto interessante...ne parliamo?
ciao Costantino, e grazie per i tuoi acuti interventi! Valentina