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exiwebart_opinioni | Il retro-futuro dell’arte digitale

di - 12 Ottobre 2005

Quattro gabbie per uccelli allineate contro il muro. Davanti, una linea gialla tiene i visitatori a debita distanza. Il rischio è quello di prendersi una potente scossa. Dentro ogni uccelliera arde infatti una fiamma bluastra, tenuta in vita da un gas. Una membrana, tesa sopra alla fiamma, insieme a dei campi elettrici opportunamente modulati, permette il piccolo miracolo. Il fuoco si trasforma in un amplificatore di suoni, e diffonde nel museo discorsi politici di Mussolini, Roosevelt, Hitler e Stalin, mescolati con soavi cinguettii. Firebirds -questo il titolo dell’opera dello statunitense Paul DeMarinis– è uno dei progetti premiati all’ultima edizione del Festival Ars Electronica di Linz, svoltosi ai primi di settembre. Ed è un esempio, insieme a numerosi altri, dell’interesse crescente, nel campo della tecnoarte, per gli esperimenti scientifici meno noti, per le tecnologie desuete o mai decollate, per i materiali organici e insoliti, per un approccio ingegneristico low tech. “E’ un trucco che qualunque insegnante di scienze conosce” ha commentato DeMarinis a proposito del funzionamento del suo lavoro, ispirato agli esperimenti ottocenteschi di Chichester Bell, “ma non è sfruttabile a livello commerciale, così è rimasta una ‘tecnologia orfana’”.
Un altro lavoro che utilizza la luce per produrre effetti sonori è condemned_bulbes del collettivo canadese Artificiel, installazione premiata –come Firebirds– nella sezione Digital Musics del festival austriaco.

Qui, a funzionare da strumenti musicali sono delle grandi lampadine, e i suoni nascono dalla manipolazione della tensione elettrica. Anche in questo caso, nonostante la presenza di computer addetti al controllo di ogni singolo “bulbo sonoro”, l’aspetto, l’ispirazione e l’atmosfera dell’installazione rimangono inesorabilmente analogici.
Ma il progetto che ha focalizzato, a ragione, l’attenzione di tutti (anche quella della giuria, che gli ha assegnato un premio speciale) è Strandbeest, dell’olandese Theo Jansen. Da oltre dieci anni, Jansen costruisce “bestie da spiaggia”, grandi animali scheletrici creati assemblando tubi di plastica e altri materiali. Ciò che sorprende di queste creature, che vengono battezzate con una tipica nomenclatura zoologica (nomi come Animaris Rhinoceros e Animaris Percipiere), è la loro capacità di muoversi. Esse camminano, corrono e “vivono”, alimentate dalla sola forza motrice del vento, utilizzata in maniera diretta, oppure immagazzinata e rilasciata successivamente in modo graduale grazie ad un sistema di “serbatoi-polmoni” e pistoni. Sono stati in molti a chiedersi, in un primo momento, la ragione della presenza di un lavoro apparentemente tutto analogico in una competizione dedicata all’arte elettronica. In realtà, Strandbeest, pur nel suo look artigianale e arcaico, sottende molta tecnologia. Tutte le creature vengono disegnate da Jansen al computer e poi selezionate tra tutte le possibili varianti secondo un criterio che potremmo definire “evoluzionistico”.

Jansen sta infatti costruendo una nuova e autonoma forme di vita, dotando i suoi animali (che ormai contano oltre 30 specie) di sempre maggiore “intelligenza” e capacità di auto-gestione. Se i primi esemplari, ad esempio, si muovevano solo in presenza di forti correnti eoliche, oggi le creature sono in grado di regolare la propria energia, accumulandola e poi rilasciandola quando la forza motrice è assente; sanno aggirare gli ostacoli e mettersi al riparo dalle tempeste. Il fascino di questo lavoro, così ricco di suggestioni e implicazioni concettuali, sta nell’ardita fusione di preistoria e futuro. Jansen costruisce fossili che si evolvono e sembra di vedere Leonardo da Vinci alle prese con l’intelligenza artificiale.

valentina tanni

link correlati
www.aec.at
www.strandbeest.com

[exibart]

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