Il fenomeno della “sorveglianza”, inteso come controllo più o meno sistematico dei cittadini attraverso telecamere a circuito chiuso, intercettazioni e verifiche incrociate dei dati personali archiviati nei database, è da anni un tema scottante e dibattuto. La rivoluzione digitale poi, aumentando in maniera esponenziale le possibilità di raccolta, scambio e reperimento delle informazioni, ha moltiplicato il fenomeno, sollevando prepotentemente la questione della privacy ed evidenziando le implicazioni politiche e sociali di questo “monitoraggio” cui tutti siamo quotidianamente sottoposti. Nel 1988 lo studioso australiano Roger Clarke, per indicare il nuovo tipo di sorveglianza, coniò il termine dataveillance (data surveillance)definendo un controllo non più visivo ma basato sulle tracce lasciate dall’uso di strumenti come carte di credito, telefoni cellulari e reti telematiche.
Una questione sociale dalle implicazioni così vaste e problematiche ha ovviamente stimolato l’immaginazione, la curiosità e la coscienza civile di intellettuali e artisti di tutto il mondo, coinvolgendo la comunità internettiana forse più di qualunque altra. Progetti web, installazioni e performance dedicate a questo tema si moltiplicano, testimoniando l’attenzione crescente per il problema.
Lo scorso 13 ottobre il noto centro di new media art tedesco ZKM ha inaugurato Ctrl Space. Rhetorics of surveillance from Bentham to BigBrother, la prima grande mostra su questo tema. A Karlsruhe sono esposte le opere di oltre 60 artisti -per lo più foto e video, ma anche installazioni e progetti web- che in vario modo riflettono sulla filosofia del controllo, a partire dai metodi di supervisione più tradizionali fino alle tecnologie più sofisticate e invisibili. Nel testo introduttivo, il curatore Thomas Y. Levin ricostruisce un percorso storico che parte dal famoso Panopticon, un progetto di prigione super-controllata eleborato dal filosofo inglese Jeremy Bentham nel 1785 (foto a sinistra), per arrivare al Grande Fratello orwelliano e agli studi di Michel Focault sulla “società della disciplina”.
Tra le opere più significative ci sono le immagini girate in “real time” di Andy Warhol, i “video corridors” di Bruce Naumann e le installazioni con le webcam di Diller&Scofidio, senza dimenticare i progetti web di Julia Scher (Securityland, foto in alto) e dei Surveillance Camera Players, un collettivo di performers che dal 1996 interagisce con le telecamere a circuito chiuso installate negli spazi pubblici, realizzando spettacoli e azioni (foto a destra).
D’altra parte i progetti di net.art che affrontano il delicato tema del controllo e quello conseguente della privacy sono molti. La rivista inglese Metamute ha di recente lanciato un concorso letterario dedicato al mega sistema di intercettazione globale Echelon, ma si può citare anche il “life_sharing” di 0100101110101101.ORG, un sovvertimento dell’inviolabile dimensione privata che permette a tutti gli utenti della Rete di accedere all’intero contenuto del computer degli autori, corrispondenza compresa. Oppure, andando più indietro nel tempo, possiamo ricordare “CCTV” (closed circuit television) dell’inglese Heath Bunting che invitava i visitatori del suo sito ad inviare un fax ad una centrale della polizia nel caso avessero individuato dei reati spiando sulle quattro webcams presenti nella pagina.(foto in basso)
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Metamute
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Valentina Tanni
[exibart]
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