Portò a un livello più complesso
il ragionamento platonico sulla consistenza evanescente delle cose, anticipando
largamente la volontà di rappresentazione di Schopenhauer e le sfumature tra
coscienza e realtà teorizzate da certe frange della fisica quantistica. Qualcuno
addirittura sostiene che Calderón de La Barca si sia ispirato alla sua figura
per caratterizzare Sigismondo, protagonista de La vida es sueño, dramma filosofico-teologico e manifesto esistenziale
dell’epoca barocca. Benino, il pastore comodamente sdraiato su un giaciglio di
paglia o su una panchetta, ronfa alla grande, l’espressione beata del giusto e
del puro, il cappello poggiato sulla fronte o inclinato sul ginocchio, le mani incrociate
dietro la testa o sul grembo, supino o di lato, mai a bocconi, come da
prescrizioni mediche. Di solito al suo fianco c’è una brocca, se sia piena o
vuota, di vino o di acqua, non è dato saperlo. Di pecore nemmeno l’ombra. Rispetto
all’imponente incedere dei Magi, alle chiassose strutture dei mercanti e degli
osti, Benino occupa uno spazio appartato e a buona ragione. Gli altri personaggi
sanno che la loro esistenza dipende dalla fervida immaginazione onirica del pastore,
tutto il presepe è l’estensione di un suo sogno, e preferiscono non
disturbarlo. Per evitare qualunque tipo di problema, nel mio presepe, ridotto a
una singola unità abitativa a forma di capanna molto rustica, ci sono solo i
parenti più stretti, giusto la Sacra famiglia. Anche quest’anno, come accennato
nel precedente
post, non sono riuscito ad allestire un presepe degno di tal nobile nome.
Invece al Madre fanno le cose per
bene e, in pieno clima di festa, presenteranno, come recentissima acquisizione
nella collezione permanente, il Presepio
di Jimmie Durham. L’artista nato in
Arkansas nel 1940, attivista nell’American Indian Movement, è da sempre impegnato in una ricerca sulla
stratificazione dei linguaggi identitari e delle culture collettive nelle
profondità della realtà quotidiana, nella forma che le cose assumono nell’uso
comune, usando, per le sue opere, un giocoso intreccio di materiali ritrovati e
nobili, accuratamente assemblati in forme ancestrali, come totem dall’aspetto
sereno e portatori di una saggezza condivisa. «Stavo cercando di dare un
senso a qualcosa. Stavo cercando di vedere se riuscivo a studiare certe cose
con gli oggetti, con il fare le cose con i materiali. Non sapevo fosse un
progetto artistico, era solo un mio progetto personale», scrive nel catalogo dedicato
alla sua pratica artistica, edito da Phaidon nel 1995.
Così, attraversando la
scenografia della natività, Durham ne ha conosciuto le coincidenze storiche,
dalle origini precristiane del Natale, legate al ciclo delle feste
propiziatorie e al culto delle divinità solari e pagane, fino agli aspetti
emblematici e palesemente anacronistici entrati nella tradizione napoletana,
disposti sulla scena secondo una disposizione codificata e non sempre
tranquillizzante. Il musicologo e regista Roberto De Simone, in un nel saggio
pubblicato da Einaudi, racconta tutti i retroscena, con un occhio particolare
per le curiosità. Per esempio, il pozzo e la fontana, tra gli elementi più
ricorrenti, rappresentano il collegamento tra i mondi, il ciclo della
rinascita, cui è associata la figura della Madonna, tanto che in Campania molte
chiese sono dedicate alla Madonna del pozzo. Di solito, vicino a una fonte
d’acqua, vi è una lavandaia con una zampa di capra, allusione demoniaca, mentre
la donna con le galline o con altri animali domestici, in realtà, è Demetra,
dea della fertilità. Il mugnaio, vestito di bianco, impersona la morte, come i
due giocatori di carte, chiamati anche i due San Giovanni perché collegati ai
giorni del solstizio d’estate e del solstizio d’inverno, spesso sbracati nella
taverna, legata al mito di Dioniso-Bacco e posta sempre sullo stesso livello
della grotta della natività. I numerosissimi mercanti, invece, simboleggiano i
mesi dell’anno, il salumiere è gennaio, la coppia di sposi che porta un cesto
di frutta è maggio, il vinaio e il cacciatore sono ottobre.
Una scena misteriosa e suggestiva
come il presepe, talmente ricca di deviazioni di significato e influenze religiose
e mitologiche da essere oggetto di specifici studi, dall’iconologia
all’antropologia, non poteva non rientrare nel modus dell’artista che da
qualche anno vive a Napoli, in un bellissimo studio-appartamento all’interno
dell’ex complesso industriale dell’Ex Lanificio (ve ne parlo in questo
articolo), non distante da San Gregorio Armeno, la strada dei presepi per
antonomasia. Bisogna anche dire che certi scorci di città, soprattutto nella
zona dell’Ex Lanificio, di Porta Capuana e della Duchesca, rimandano
all’impostazione visiva del presepe, con un affastellamento architettonico e
umano che, per qualche motivo ancora non chiaro, esprime un’armonia estetica
unica. Seguendo la tradizione delle sacre rappresentazioni, Durham ambienta la
natività in uno scenario contemporaneo, animato da un complesso codice di
significati. Luoghi e figurine, come il pescatore, l’angelo e, ovviamente,
Benino, sono resi con elementi di pietra, corno, bronzo, marmo e legno d’ulivo
appena sbozzati, con tocchi di pigmento e tessuto, in funzione antimonumentale,
per evidenziarne la porosità popolare e storica.
Tanti auguri a tutti e occhio a
non svegliare il pastore che dorme.
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