Il sole primaverile si riflette
tiepidamente sulla ghiaia bianca del sentiero che rasenta la facciata allungata
della Reale Tenuta di Carditello. Formata da un corpo centrale intersecato da
due estensioni laterali che comprendono un ampio prato, una volta usato come
galoppatoio, la sua struttura architettonica sembra convogliare la simmetria
delle correnti, temperando il microclima percettivo. Le vibrazioni sonore della
campagna circostante si attenuano, così come la visione pianeggiante delle
coltivazioni si sospende a perdita d’occhio, è addolcita anche la storia di Re,
consorzi e bonifiche – della quale già abbiamo parlato qui
– giunta all’attenzione nazionale per la grave questione degli sversamenti illeciti
di rifiuti tossici. Chi arriva da Napoli, dalla metropoli, dalla frammentazione
degli angoli acuti del disegno urbanistico, esercita lo sguardo a una visione
complessiva, orizzontale, che evoca un senso di arcaico, di abitudini legate
alla ciclicità dei venti e della pioggia. L’occhio dà consistenza alle cose, intesse
un ritmo che le anima, nei volti e nelle rocce riesce a leggere una continuità che,
poi, è quella narrazione della storia. Come raccontare la memoria di questo
luogo, così legata all’eredità criminale, come maneggiare questi ruderi elegantissimi,
sui cui muri sono leggibili i segni lasciati dai soldati americani e dai
progetti di restauro, simboli degli interstizi, a volte insuperabili, tra Stato
e territorio, per renderli in una forma comunicabile, sostenibile, quindi aperta
alla freschezza dei linguaggi contemporanei e progressivamente distante dai
suoi stereotipi. È la missione della Fondazione Real Sito di Carditello,
presieduta da Luigi Nicolais e diretta da Angela Tecce, una lunga crociata che,
però, può avvalersi di forze fresche, come quelle dei ragazzi riuniti sotto il
nome di Agenda 21, l’Associazione che collabora con la Fondazione per le
aperture straordinarie del Sito, in attesa delle ultime fasi di restauro che lo
renderanno definitivamente agibile e ne definiranno la funzione.
In occasione del primo dei “Dialoghi
di Carditello_Le Metamorfosi”, ciclo di incontri ideato da Angela Tecce con la
collaborazione del professore Gennaro Carillo, i finestroni della Sala Monta sono stati
oscurati per permettere la visione di Bella e Perduta (2015), film di Pietro Marcello, che racconta la storia di Tommaso Cestrone e del suo giovane bufalo Sarchiapone, e di L’umile
Italia (2014), cortometraggio, sempre di Marcello e con Sara Fgaier,
realizzato con i filmati storici dell’Istituto Luce, nell’ambito del progetto “9×10
novanta”, un film di nove episodi affidati ad altrettanti registi italiani.
Cestrone sale la scalinata
trionfale della Tenuta Reale, i suoi stivali di gomma verde si mantengono in
equilibrio precario sui marmi sgretolati, grandi lastre mancanti da chissà
quale anno o epoca, usate per qualche altra funzione. Apre i balconi, la luce
illumina le chiazze di umidità, i colori ancora vivaci delle tappezzerie e
degli affreschi. Il pastore, diventato unico custode, autorizzato dall’ufficiale
giudiziario, delle camere del Re Borbone, è seduto sul pavimento, che strofina
con olio di gomito per preservarlo dalla polvere e dalle incursioni della camorra,
che la usava come deposito di rifiuti e miniera di materiali preziosi. Cestrone
è morto nella Tenuta il 24 dicembre del 2013, stroncato da un infarto, a 48
anni, lasciando moglie e figli. E l’eredità di un bufalotto, Sarchiapone, che
nel film di Marcello ci parla delle sue sventure, delle prime cure di quel
pastore dagli occhi azzurri e dal naso importante e poi, dal momento della sua
scomparsa, del lungo viaggio dalla stalla regale al macello, in compagnia di
Pulcinella, il traghettatore di anime tra i regni inferiori e superiori. Una
discesa verso un destino implacabile, che accomuna uomini, animali, pietre.
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