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La città che risale e la città che decade
Extra pART
Ampie campiture di rosso
pompeiano si distendono sulle pareti del chiostro dell’Ex OPG. «Veniamo da
lontano e andiamo lontano» – scrivono sulla pagina Facebook i ragazzi del
collettivo Je so’ pazzo che, da poco più di un anno, hanno riaperto e reso
fruibile l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario Sant’Eframo, ospitato nel cinquecentesco
Monastero della Concezione – «avevamo ripristinato la funzionalità, non la
bellezza! Ora ci siamo ripresi anche quella».
L’imponente struttura si trova in
salita San Raffaele, a Materdei, e venne eretta nel 1572, come insediamento
dell’Ordine Francescano. Nel 1865 fu abbandonato dai religiosi, quindi adibito
a caserma e poi, dal 1925, trasformato in manicomio giudiziario. Dichiarato
inagibile nel 2000, è stato definitivamente chiuso nel 2008, quando gli ultimi
100 internati sono stati trasferiti, e lasciato a se stesso. Nel 2015 è stato
riaperto dal collettivo Je so’ pazzo, composto in gran parte da studenti e,
oggi, è sede di varie attività, dal teatro popolare al laboratorio di scrittura
creativa, dalla boxe allo hatha yoga. «Le leggi considerano l’occupazione un
fatto illegale e se è così allora contribuisco anche io. Come amministrazione,
ci opporremo a ogni operazione di sgombero militare», affermava il sindaco di
Napoli Luigi De Magistris durante una visita all’Ex OPG, all’indomani
dell’occupazione, sancendo, con l’ufficialità e il simbolo della sua presenza,
un decisivo slittamento dei codici, espressione di una globale messa in
discussione dei parametri, degli ambiti e delle pertinenze che sta coinvolgendo
Napoli in maniera, forse, più incisiva rispetto alle altre città italiane. De
Magistris, fresco di rielezione, sarà di nuovo ospite dell’Ex OPG, insieme a
Peppe Servillo, Pietra Montecorvino e ai rappresentanti di associazioni,
comitati e collettivi, in occasione di una tre giorni di dibattiti, workshop e
concerti, dal 9 all’11 settembre.
«Le lamentele perpetue che
tendono a caratterizzare la discussione politico-culturale a Napoli sono più
sintomi di un linguaggio critico esaurito che di un’analisi vera e propria»,
scrive Iain Chambers in un articolo pubblicato su Euronomade pochi giorni fa.
Tale afasia coinvolge anche l’elaborazione estetica, attualmente in difficoltà
nella sperimentazione e nella diffusione di un linguaggio strutturato sulla
realtà e sulla finzione delle cose che accadono in città. A parte le decine di
operazioni culturali e artistiche socialmente orientate che si sono succedute
in quest’ultima stagione, facendo perno su una semantica di prossimità alla
cittadinanza attiva e tutte ugualmente destinate a perdersi negli echi di
qualche salotto ben climatizzato, tentativi di sperimentazione del linguaggio
sono da ricercare in altri spazi più fertili. L’Ex Opg, l’Ex Asilo Filangieri,
lo Scugnizzo Liberato e decine di luoghi senza più funzione, stanno
faticosamente tentando la via di una nuova narrazione, costruendo altre
immagini di sé, lontane sia dallo stereotipo del centro sociale che della
decadenza tardoromantica dell’abbandono, in una lenta messa a punto delle
estetiche e delle relazioni. Da queste storie stratificate su tutto il
territorio cittadino, dalle pareti di un chiostro cinquecentesco ridipinte in
rosso pompeiano, qualcosa sta risalendo e non ha ancora un alfabeto con cui
esprimersi compiutamente, mentre altre cose cristallizzate cadono a pezzi.
La Casa del Mutilato, in piazza
Matteotti, eretta tra il 1938 e il 1940 su progetto di Camillo Guerra, è un
fulgido esempio di architettura razionalista intrisa di Ventennio, con gli
apparati decorativi che richiamano la conquista della Libia, le effigi dell’Impero
e dell’incubo coloniale in bella mostra. Le lettere della scritta sulla
facciata dell’edificio si frantumano sul marciapiede, le schegge sorpassano le
transenne di sicurezza disposte dai vigili del fuoco e si disperdono nella
polvere della strada.