Categorie: Extra pART

Un artista cherokee, un re francese e la polvere, nell’ex Lanificio Militare

di - 11 Marzo 2016

Parcheggio l’auto nell’ampio cortile
dell’Ex Lanificio Militare, nelle immediate vicinanze di Porta Capuana. Avrei
potuto sfidare la sorte e trovare un posto più vicino ma so che il percorso che
porta al Centro Direzionale, poco meno di due chilometri attraversando piazza
Garibaldi, apre sempre a nuove esperienze visive, per lo più incredibili.

Il cortile è un lungo rettangolo delimitato, lungo tutto il perimetro, da pesanti fabbricati squadrati tipici dell’architettura industriale di fine Ottocento. Nelle arcate riempite, lunghe file di finestre strette e alte sono chiuse da infissi di legno scheggiato e cardini arrugginiti. Nonostante gli importanti interventi di ristrutturazione degli ultimi anni, di cui rimangono le impalcature della messa in sicurezza, le facciate hanno perso intere sezioni di intonaco e sono percorse da profonde irregolarità.

Questo enorme complesso è
chiamato Chiostro Grande perché faceva parte di un monastero domenicano,
collegato alla prospiciente chiesa di Santa Caterina a Formiello, costruita nel
Cinquecento e ricca di apparati decorativi barocchi e tardobarocchi, dagli
affreschi di Luigi Garzi alle tele di Giacomo del Po. Dopo la reggenza di
Gioacchino Murat, gli spazi del monastero furono requisiti e adibiti a lanificio
militare. Quando il lanificio cessò l’attività, vi si instaurarono altre
industrie, dal saponificio al calzaturificio, diversificando la produzione e
incidendo spazi per aprirne nuovi, sovrapponendo elementi. L’ultima fabbrica
chiuse solo pochi di anni fa, mentre la struttura veniva progressivamente parcellizzata
nella vendita a privati e nell’affidamento a enti pubblici. Di quelle pratiche
rimangono tracce da seguire, muri e scale sono incisi dall’usura dei lavori
pesanti, la polvere si deposita negli incavi nervosi, rendendo il
deterioramento cronologicamente indefinibile. Dall’anta rotta di una finestra
si vede uno spazio angusto, totalmente occupato da centinaia di forme di scarpe
accatastate che innalzano beffarde colline ortopediche. Le alte fornaci di
mattoni rossi svettano verso il cielo come un ponte silenzioso. In qualche
tempo passato avrebbero emesso enormi masse gassose e di calore. Ai balconi
sono appesi vestiti e piante curatissime, entrambi segnano i cambi di stagione.
Nel passaggio da complesso religioso a sede industriale fino a nucleo abitativo,
l’aspetto degli edifici sembra aver instaurato una particolare sincronia con le
funzioni. È un conglomerato di spazi che si estroflettono, di architetture che
sconfinano in altre architetture. Ci sono corridoi identificati da lettere e scanditi
da file di porte di ferro chiuse da chissà quanti anni e palloni sgonfi
abbandonati negli angoli, spezie cucinate e sentore di abbandono si uniscono in
un’approssimazione di eternità. C’è un equilibrio stabile che, nella sua storia
di contorsioni e suddivisioni, si è assestato un attimo prima di crollare.

Da qualche anno, alcune
associazioni culturali, come LAN-Laboratorio Architettura Nomade e Made in
Cloister, hanno scelto come sede questo labirinto di superfetazioni, che
affascina anche il mondo dell’arte contemporanea per la sua persistente,
testarda, narratività. Un gruppo di operai sta accatastando decine di rotoloni
di tessuti di vario colore e consistenza davanti alla bianca casa-studio su più
livelli di Jimmie Durham. Chiedo a
cosa servano e mi rispondono in un italiano imperfetto che non lo sanno. Dalla
porta a vetri della sua galleria, vedo Dino Morra impegnato ad allestire la
prossima mostra, una collettiva con Bobby
Dowler
, Girolamo Marri e Antonello Scotti. I ragazzi del
laboratorio di ricerca artistica Giusto il tempo di un tè, stanno portando
sacconi zeppi di gommapiuma all’ultimo piano della Scala A. Nei locali del Lanificio25
un gruppo di musica indie sta facendo il soundcheck per la serata, le note acquistano
una distorsione sinistra inerpicandosi tra pietre e rampe di scale.

Supero il portale
che collega il Lanificio alla città, il tempo riprende il suo flusso
impalpabile.  Gruppi di ragazzi parlano
fittamente tra loro, gesticolano, si guardano intorno ed esplodono in risate,
il Napoli gioca bene e diverte. È una giornata particolarmente
ventosa, dopo settimane di emergenza smog l’aria sembra farsi più leggera. Tra
le strade sibilano raffiche trasparenti, si innalzano vortici di residui, olii
delle pagine scure dei giornali e degli involti di street food.

A presto per la prossima tappa,
da via Poerio a piazza Garibaldi, alle spalle della Duchesca. 

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