Accogliente, luminosa, conviviale. Arte Fiera di Bologna è una “signora di mezza età” che si avvia a compiere i 50 anni, come dice il direttore Simone Menegoi in un’intervista diffusa sui social. In corso fino al 5 febbraio 2023, la più longeva fiera d’Italia dedicata al moderno e al contemporaneo accoglie i visitatori in un percorso di 141 gallerie partecipanti, quasi totalmente di carattere nazionale. Nella 46esima edizione si parla di tradizione e rinnovamento, due binari che corrono paralleli, anche se le abitudini consolidate paiono vincenti. Innanzitutto il ritorno, molto gradito dai visitatori di lunga data, dell’ingresso da parte di Piazza della Concordia: negli ultimi anni era stato infatti abbandonato per lo spazio retrostante del complesso, causando non pochi disorientamenti e polemiche. Poco gradita dai galleristi, invece, era stato anche l’operazione che vedeva un limite massimo al numero di opere in esposizione degli stand, tentativo della prima direzione di Simone Menegoi di dare maggiore “respiro” alla fiera e una selezione più accurata.
Quest’anno, invece, tutto è tradizionale e rassicurante, come si conviene a una fiera da sempre popolata e vivace, in cui il piacere dell’incontro supera talvolta quello della fruizione stessa delle opere. Il rinnovamento vero è innanzitutto al vertice, con l’entrata nel ruolo di Managing Director del collezionista Enea Righi, preposto alla gestione dell’anima più “commerciale” della fiera, all’accoglienza degli ospiti e non solo, sostenendo fortemente la sezione Multipli per la possibilità di vendite più accessibili (a questo proposito, maggiori dettagli li trovate nel focus Bologna del nuovo numero 119 di exibart, in distribuzione nello stand dedicato in fiera).
A rinnovarsi in modo brillante, invece, è tutto ciò che trascende l’impianto fieristico più consueto: ci riferiamo ai cosiddetti progetti speciali, a partire dal grande schermo con l’opera di Yuri Ancarani che accoglie i visitatori all’ingresso esterno, uno spin off della grande mostra ospitata in contemporanea al museo MAMBo, e proseguendo con la struggente poetica di Che cosa succede nelle stanze quando le persone se ne vanno? di Alberto Garutti: le panche e gli arredi su cui si siedono ogni giorno i visitatori sono ricoperti da uno strato di vernice fluorescente, che si illumina al buio quando tutti se ne sono andati. Un’opera anti-spettacolare, appunto, invisibile e silenziosa, qualità nelle quali risiede la sua forza. Non sono da meno le performance orchestrate dal programma di Fondazione Furla con la direzione di Bruna Roccasalva, oltre all’installazione Connecting Green Hub di MCA – Mario Cucinella Architectsc che accoglie il pubblico all’ingresso facendo convivere in una struttura organica e sinuosa bookshop, vip desk e spazio talk.
Lo spazio dedicato alla performance prosegue anche all’interno degli stand, con il progetto collettivo di Evelyn Loschy, Marko Markovic, Giovanni Morbin e Slaven Tolj alla galleria viennese di Michaela Stock. Tra le proposte più affascinanti, la selezione delle opere di Ettore Spalletti, Mimmo Jodice, Giulio Paolini, Mario Airò, Joana Escoval e Joseph Kosuth alla sempre elegante Galleria Vistamare, mentre la “bolognesissima” (quanto internazionale) P420 raccoglie opere di Shafei Xia, Riccardo Baruzzi, Rodrigo Hernandez e, in una sezione a parte, la pittura in grande formato di Pieter Vermeersch, che dialoga con le tinte della parete su cui è affisso. Tra le poche gallerie straniere, nel padiglione 26 troviamo Richard Saltoun, che alterna un grande dipinto di Sandro Chia, con quelli in scala minore di Carol Rama, con la pittura pastosa e sessuale di Florence Peake, le grandi stampe Imponderabilia di Marina Abramovic e Ulay e alcuni collage di Marinella Senatore (presente in maniera più massiccia con grandi installazioni luminose da Mazzoleni, poco più avanti).
Alcune voci di corridoio criticano invece la divisione, considerata troppo “ottocentesca”, tra pittura e fotografia, rappresentate dalle sezioni Pittura XXI, a cura di Davide Ferri e Fotografia e immagini in movimento, a cura di Giangavino Pazzola. Categorie che alcuni galleristi hanno deciso di eludere, come nel caso di MC2Gallery che porta ad Arte Fiera un grande wallpaper in cui i dipinti allucinati di Giuliano Sale si fondono con le fotografie crude di Antoine d’Agata, usando come fronte comune un corpo frammentato e a tratti sofferente. Al di là dell’instancabile sperimentazione, talvolta tornare alle origini paga, e lo dimostrano i bollini rossi che fioccano sulle targhette delle opere spargendosi progressivamente a macchia di leopardo, oltre all’inconfondibile clima caloroso percepibile tra i corridoi della fiera che di questi tempi rappresenta un elemento di buon auspicio.
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