A Bologna il caldo si fa ben sentire, come del resto il freddo. Eh sì, l’Emilia Romagna come tutta la pianura padana non ha più le mezze stagioni, ammesso che tra afa e gelo ci sia mai stato un tempo intermedio. Eppure gli art lovers, con certezza, amano il caldo.
“Ma vuoi mettere Bologna in maniche di camicia piuttosto che col cappotto e il rischio continuo di scivolare sotto i portici?” è stata senza dubbio una delle frasi più ripetute in questo prima giorno di Arte Fiera, edizione posticipata, dopo oltre due anni senza presenza. Per cui, facciamo immediatamente un appello ai vertici di Bologna Fiere e non solo: per chi di dovere – ovvero i galleristi e gli artisti – l’Arte Fiera del futuro deve essere in primavera! D’accordo?
Dopo questa premessa è d’obbligo iniziare dallo scalino più duro, ovvero dall’affanno dei galleristi che per motivi tecnici – non ben specificati, ma riconducibili alla concomitanza di ben tre manifestazioni nello stesso polo, nello stesso week end – si sono trovati a dover allestire con un solo giorno di anticipo con tutti i problemi annessi a connessi, dal dover tappare buchi a cartongessi non proprio di prima mano, fino a concludere il montaggio a notte inoltrata e a riprendere quasi all’alba del giorno della preview. Risultato? Oltre allo sconto del 20 per cento dovuto agli slittamenti per il Covid, la fiera sconterà un ulteriore 40 per cento ai galleristi per il costo degli stand.
Ma nonostante il tentativo di lenire l’errore è chiaro che a monte si è notata una mancanza di attenzione istituzionale che rammarica, specialmente nei confronti di una fiera che ha quasi cinquant’anni di età, madrina di centinaia di altre fiere d’arte nel mondo, fiore all’occhiello della città di Bologna e traino di tutta una settimana dell’arte che riempie alberghi, Airbnb, ristoranti e taxi. Provate a prenotare una stanza “cheap” in città, in questo momento: auguri!
Ma veniamo ora alla fiera vera e propria: “ripresa” è la parola d’ordine che usa il direttore, Simone Menegoi, in un bel messaggio lasciato alla stampa. “Riprendiamo a guardare le opere dal vero e non sullo schermo di un computer; riprendiamo a percorrere fisicamente i padiglioni; riprendiamo a disputare con i galleristi, gli artisti, i curatori, i tanti appassionati d’arte che affollano una delle manifestazioni d’arte contemporanea più popolari e inclusive del nostro Paese”.
L’energia, in effetti, è tanta. Così come la prudenza tra gli stand. Il “dove eravamo rimasti?” che Menegoi invoca come riflessione obbligata è anche lo spartiacque che ci fa capire che eravamo rimasti ad un punto che oggi sembra lontano anni luce, impossibile da rimettere a fuoco nonostante gli entusiasmi e l’idea che sì, le opere d’arte sullo schermo potranno funzionare “sulla carta” – per fare un gioco di parole – ma la presenza è un’altra cosa. Però, appunto, presenza fa anche rima con prudenza, e anche se le norme covid che ci hanno tormentato per oltre due anni sembrano essere state archiviate è forte l’idea di continuare a muoverci in uno strano limbo in cui tutto è tornato “come prima” senza però obiettivamente esserlo.
La qualità della fiera nel complesso è molto buona, ma non è nemmeno facile incontrare stand che facciano urlare di eccitazione (ammesso che sia il dovere di una fiera). C’è chi parla di un andamento lento, ma è necessario dare fiducia. Ribadiamo: due anni e passa di buio non sono pochi: un allegro ma non troppo. Confidiamo nel fine settimana, dove Arte Fiera ha sempre fatto il pienone.
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