Transformative Experience è il titolo della ventinovesima edizione della fiera torinese. Ispirandosi all’omonimo libro della filosofa analitica americana L.A.Paul, la fiera avrà , infatti, come filo conduttore il tema dell’esperienza capace di trasformarci intimamente, al di là di ogni possibile logica predittiva o di calcolo. Una bella scommessa, specialmente quando si parla di mercato, non di certo l’entità più propensa a ripensarsi, specialmente in una fiera. Abbiamo intervistato per l’occasione il direttore Luigi Fassi, alla sua prima Artissima.
Com’è essere il direttore di Artissima? A che punto del tuo percorso personale arriva questa esperienza e come la stai vivendo?
Arrivo alla direzione di Artissima dopo 14 anni di lavoro come curatore e direttore nelle istituzioni, da ultimo al Man di Nuoro in Sardegna, precedentemente al Steirischer Herbst Festival di Graz e prima ancora al Kunstverein ar/ge kunst di Bolzano. Ho cooperato con molte istituzioni in diversi Paesi come curatore ospite per vari progetti e con alcune fiere, su tutte proprio Artissima, per cui ho coordinato e co-curato per sette anni Present Future. Nutrivo un senso di familiarità e di affezione per Artissima, fiera che frequentavo già dagli anni dell’Università e che ho sempre percepito come una piattaforma di aggiornamento e di sviluppo di network. Sto vivendo l’esperienza della direzione come una declinazione del lavoro curatoriale, che mette al centro la collaborazione con le gallerie.
Che cosa conserverai delle esperienze dei tuoi predecessori e che cosa pensi di cambiare?
Occorre registrare i cambiamenti in atto, come la crescente polarizzazione delle fiere d’arte, le diverse esigenze tra gallerie established globali, di ricerca e l’avvento di collezionisti di nuova generazione. Artissima deve mantenere viva la propria identità di fiera con un approccio di mercato non aggressivo, anche in ragione del proprio radicamento nella Fondazione Torino Musei. Puntiamo sulla forza dello scouting ad ampio raggio nei confronti delle gallerie, anche attraverso i curatori coinvolti.
Qualche anno fa Torino era la capitale italiana dell’arte contemporanea. E oggi?
Artissima è stata ed è un potente motore di internazionalizzazione al servizio città , del Piemonte e del Paese. Nei giorni della fiera Torino accoglie un pubblico selezionato di professionisti dell’arte, collezionisti e giornalisti che senza Artissima non avrebbero Torino nella loro agenda. Negli anni la relazione con la città è poi cresciuta, mediante una porosità operativa e un interscambio virtuoso e continuo tra la fiera, le istituzioni e il territorio. Si è sviluppato un network che ha fatto scuola e oggi chi viene ad Artissima la percepisce la fiera come un’esperienza esplorativa su più ambiti, dall’arte al turismo culturale sino alla cultura agroalimentare. Torino ha poi sviluppato la sua rete istituzionale e museale – penso anche all’arrivo quest’anno di Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Credo che in futuro Torino dovrà accrescere la capacità di attrarre artisti di giovane generazione. Ci sono dei buoni segnali in questo senso, con una comunità eterogenea di artisti e una scena significativa di spazi indipendenti.
Hai detto che Artissima “porterà il mondo a Torino”. In che senso e in che modo accadrà ?
Artissima ha una vocazione internazionale forte e precisa. La consapevolezza di radicarsi in una città d’avanguardia, epicentro di trasformazioni politiche, industriali e culturali, ma al contempo non capitale globale, ha innervato la fiera di una spinta propulsiva che ha creato una sintesi tra il patrimonio culturale della città e la necessità di guardare ben oltre i suoi confini. Artissima porta il mondo a Torino perché avremo 174 gallerie da 4 continenti e da 28 Paesi, con 42 gallerie alla loro prima partecipazione in fiera, senza contare i gruppi di patrons museali internazionali.
Come nasce la scelta del tema della trasformazione e delle esperienze trasformative? So che vi siete ispirati alla filosofa americana Laurie Anne Paul.
Il tema che ispira l’edizione 2022 è Transformative Experience. Un’esperienza trasformativa apre nuovi orizzonti ai nostri sensi, pensieri ed emozioni, sino a cambiarci in profondità . Per Paul le esperienze trasformative sono quelle che non possiamo in alcun modo anticipare razionalmente, perché nulla può sostituirne il vivo manifestarsi come rivelazioni di territori sconosciuti. Chi nella vita sceglie l’incontro con l’arte si abitua all’esperienza arricchente dell’ignoto e crede nel potenziale del cambiamento personale. Il calcolo razionale, sostiene Paul, non è in grado da solo di aprirci all’inatteso. Occorre accendere il desiderio, desiderare conoscere cosa diventeremo attraverso le scelte trasformative che faremo. Questo è decisivo nelle nostre vite personali e professionali, e l’arte può essere una via privilegiata di accesso per tutto questo. Abbiamo pensato questa Artissima spinti dal desiderio di riscoprire il valore della relazionalità e della socializzazione come esperienze trasformative associate all’amore per l’arte. La stessa Laurie Ann Paul sarà ad Artissima e terrà una lecture all’Oval sabato 5 novembre. Credo che la filosofia sia come l’arte un modo speciale di pensare. La vicinanza di queste due discipline è da valorizzare.
Ma in che senso l’arte trasforma la vita delle persone, per te?
Credo che l’arte offra l’esperienza dell’incontro con l’ignoto e una diversa possibilità di pensare se stessi e il mondo grazie a rivelazioni esclusive e preziose. Harold Rosenberg definiva l’arte un modo speciale di pensare. Credo che questo sia uno degli stimoli chiave del collezionare arte: aprirsi alla comprensione di una forma di pensiero concretizzata da un’opera, che offre un differente approccio alla vita.
C’è un’esperienza artistica che ti ha cambiato la vita?
Potrei citarne tante, e mi piacerebbe includervi l’esperienza dell’amicizia. Limitandomi però a un episodio specifico, dico la visione di Alibi di Meg Stuart nel 2001 allo Schauspielhaus di Zurigo. Stuart aveva composto la nuova coreografia di Alibi mentre era in residenza in Svizzera, ma durante le prove a Zurigo, lontana dalla sua New York, ebbe la terribile notizia del crollo delle Torri gemelle. Il trauma travasò nello spirito della produzione e ne accentuò la temperatura emotiva. Furono due ore di scene irrequiete e nervose, in una sconcertante riflessione sulla violenza, dove l’autolesionismo manifesto e la perdita di sicurezza erano celebrate con una crudezza tormentata e non arginabile.
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Visione trasformativa: un termine che mi ha sempre affascinato. Siamo al mondo per scoprire ed orientare le nostre passioni, ma soprattutto per creare qualcosa di nuovo. Ecco, Ă© da qui che nasce l'esigenza di trasformare. In altri termini abbiamo la possibilitĂ di sovvertire l'ordine costituito, con gesti piĂą o meno eversivi. Ma sappiamo anche che la violenza non Ă© il canale giusto per agire. Dalla nostra abbiamo il potere della parola a sua volta ereditato dall'evoluzione del Pensiero. La filosofia Ă© la disciplina della quale il Pensiero si avvale per indagare la RealtĂ e per proporre Visioni del Mondo alternative. Pensiamo ad esempio alla rivoluzione che il tema della RelativitĂ di origine einsteniana ha portato nella ricerca scientifica e nel nostro modo di gettare luce sulle leggi del moto e del tempo. La metamorfosi, tema caro agli antichi si ripropone nella nostra Era, e coinvolge il Mondo Naturale come quello Artificiale. Solo avendo il coraggio di comprendere la necessitĂ dei Mutamenti per sopravvivere o comunque vivere meglio, solo assumendo la Visione Trasformativa potremo andare lontano...