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Biennale di Lione 2019: la creatività che emerge, tra ex fabbriche e musei
Fiere e manifestazioni
La creatività inedita, giovane e internazionale firma questa Biennale d’Arte Contemporanea di Lione 2019, che accoglie una cinquantina di artisti tra la vecchia fabbrica Fagor-Brandt e il macLyon, sotto il titolo “Là où les eaux se mêlent”, rimando a un poema di Raymond Carver. Arrivata alla 15ma edizione, curata dal team del Palais de Tokyo e con a capo la direzione artistica di Isabelle Bertolotti, la biennale conferma il suo interesse per le proposte emergenti ma c’è di più.
Infatti, oltre il 90% delle opere sono create in situ, nell’immenso volume di 29mila metri quadrati dell’ex fabbrica, in dialogo con la sua storia e il contesto sociale ed economico urbano e rurale. Il collettivo curatoriale, formato da Vittoria Matarrese, Daria de Beauvais, Yoann Gourmel, Hugo Vitrani, Claire Moulène, Adélaïde Blanc e Matthieu Lelièvre, ha scelto per lo più artisti giovani e non sempre noti al grande pubblico, restituendoci così una sorta di mappa sulla creazione emergente, a scala internazionale.
‹‹Avevamo voglia di fare una biennale contestuale, legata al luogo e alla città, e far disegnare un paesaggio economico, politico e sociale a scala larga e con creazioni in situ. Ciascuno ha proposto artisti diversi, abbiamo viaggiato in tutto il mondo per trovarne altri. La scelta di ogni curatore rimane però segreta, perché abbiamo fatto un lavoro di squadra che è coerente nell’insieme››, ha dichiarato Vittoria Matarrese durante il vernissage.
Artisti noti comunque ce ne sono, per esempio, su due piani del macLyon, Daniel Dewar & Grégory Gicquel, vincitori del Prix Marcel Duchamp del 2012. Il duo francese presenta qui Mammalian Fantasies, un progetto scultoreo di corpi frammentati di umani e altri mammiferi, iniziato già tre anni fa e arricchito qui di otto opere. Lungo i quattro magazzini della Fagor, incrociamo i lavori di Nico Vascellari, una serie di sculture e un video girato a Cinecittà, tra mito e industria automobilistica. E poi l’inventore dell’arte distruttiva Gustav Metzger (1926-2017), con Supportive (1966-2011), parte della collezione del macLyon, l’unica opera di artista non vivente alla Biennale di Lione 2019. Questa opera sfrutta la tecnologia a cristalli liquidi e proietta forme autogenerate e casuali su uno schermo lungo 28 metri e alto 4.
Tornando alla scena emergente, ecco l’installazione The sacred springand necessary reservoirs (2019) di Bianca Bondi, che ritroveremo anche ad Artissima, a Torino. L’artista alchimista sudafricana progetta ecosistemi sottoposti al potere purificatore del sale che ricopre qui interamente una cucina componibile di lusso.
Da segnalare anche Ashley Hans Scheirl & Jakob Lena Knebl, con La poupée, le doigt d’or et les dents: fou de rage (2019), un’installazione realizzata in una fossa dell’ex Fagor che rimanda all’economia neoliberale e alle norme sociali, tra glamour rock e design modernista. Il duo austriaco ha realizzato inoltre un video ricco di umorismo sulle orme di Louis de Funès. Ancora video anche per il collettivo fondato nel 2005 da Aliocha Imhoff e Kantuta Quirós, con Le peuple qui manque, opera che accoglie inoltre una sorta di isola felice in plastica di Philippe Quesne, circondata da interviste che chiedono “Cosa accadrebbe se piante, animali, foreste, oggetti entrassero in politica?”.
Le proposte della Biennale di Lione 2019 proseguono con la giovane creazione presso l’IAC-Institut d’art contemporain che accoglie, tra gli altri, i lavori di Giulia Cenci e Théo Massoulier. Al couvent Sainte-Marie de La Tourette, firmato da Le Corbousier, ritroviamo Anselm Kiefer, alla Fondation Bullukian una mostra di Jérémy Gobé e Andrea Mastrovito. Insomma, fino al 5 gennaio, tantissimo da vedere, per un’altra edizione imperdibile.
Per tutte le informazioni sul programma, potete dare un’occhiata qui.