Ogni anno, ad aprile, il Festival Cristallino era solito attivare i suoi cantieri di riflessione intorno alle arti contemporanee in relazione alle dinamiche sociali, storiche e culturali che attraversano il nostro presente. Incontri, mostre, performance aperte al pubblico, per generare momenti di condivisione e di costruzione collettiva delle premesse del Festival: un insieme di atti destinati poi a confluire nella sua edizione autunnale, quest’anno la IX. A causa dell’emergenza sanitaria in atto, Cristallino avrebbe potuto, come ormai gran parte delle manifestazioni culturali, optare per “un arrivederci all’anno prossimo” ma, preferendo restare, ha deciso di attivarsi, come ci racconta il direttore artistico Roberta Bertozzi.
Credo che il tema dell’edizione di quest’anno, triste attualità a parte, calzi con l’idea che in qualche modo l’arte più che una passione sia una vera e propria cronicità , ma vorrei sapere se, a dicembre o gennaio, avevate considerato anche altre opzioni.
«Sì, in effetti poco prima che scoppiasse l’emergenza le prospettive tematiche cui stavamo pensando erano diverse. Ci sarebbe piaciuto in modo particolare continuare quel percorso di ridefinizione dell’idea di paesaggio che avevano portato avanti nelle stagioni precedenti del Festival. Il repentino cambiamento di situazione ha fatto sì che la nostra attenzione fosse dirottata su altro, com’è naturale che sia: un ribaltamento così improvviso della realtà quotidiana porta tutti a farsi domande diverse, magari su aspetti che fino a quel momento erano dati come ovvi, come assodati. Di qui il paragone, impreciso se vuoi e ancora tutto da formulare, tra la dimensione dell’arte contemporanea e la dimensione virale: a mio avviso, entrambe le dimensioni lavorano proprio al fine di mettere in crisi ogni nostra certezza acquisita, in qualche misura ci “ristrutturano”».
Topic di Cristallino 9 sarà in qualche modo la dimensione narrativa della quarantena. Puoi raccontarci meglio in cosa consisterà ?
«Accanto a questi interventi teorici che riflettono su una possibile contiguità fra la dinamica del virus e la dinamica dell’arte, abbiamo deciso di coinvolgere gli artisti chiedendo loro una lettura di questo periodo di quarantena. Gli elaborati che ci hanno inviato sono molto diversificati per linguaggio, e rappresentano una preziosa testimonianza perché ci sono di aiuto per mettere a fuoco con maggiore intensità e precisione tutti quegli input emotivi, percettivi ed esperienziali che ciascuno di noi sta sperimentando durante questa fase di distanziamento sociale. Potrebbe diventare, insomma, una riflessione a tutto tondo sulla condizione umana… Come spesso accade, più forte è la situazione di contrasto più le cose vengono alla loro luce».
Come altri eventi, siete stati “costretti” a ricorrere alle tecnologie digitali, almeno per questa prima parte del festival, per non dover rinunciare a r-esistere. Quali saranno le modalità di partecipazione/fruizione per chi vorrà seguire il vostro work in progress ora e come pensate di portare avanti il progetto il prossimo autunno, nei meandri di questa ingarbugliata Fase 2 che ci accingeremo a vivere?
«Al momento è possibile interagire con il Festival solo attraverso le modalità online, perché non abbiamo alternativa. Un vincolo che tuttavia si è rivelato una potenzialità : ci sta dimostrando la straordinaria attualità dell’arte, la sua capacità di metabolizzare in tempi rapidissimi e istantanei, come possono esserlo appunto quelli dei social media, le istanze del presente. Per quanto riguarda il futuro sarebbe interessante provare a proseguire in una sorta di regime misto, con un percorso svolto contemporaneamente su entrambi i binari, sia quello “fisico”, con tutte le precauzioni del caso, che quello “virtuale” (e anche questo richiede delle precauzioni). A essere sinceri, questo regime misto esisteva ben prima della comparsa del Covid 19, si tratta di prenderne di nuovo atto, di sciogliere alcuni nodi e pregiudizi, di essere più lungimiranti».
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