Si apre ufficialmente la Berlin Art Week, chiudono gli spazi dedicati all’arte e alla cultura. Non è un caso che la data d’inaugurazione del 9 settembre coincida con il corteo indetto dal movimento #AlarmstufeRot, che ha riunito tutti gli operatori del settore culturale e artistico nazionale in una dimostrazione volta a sollecitare i politici e ragguagliare l’opinione pubblica circa il reale stato degli eventi e delle manifestazioni culturali: sebbene il mio tedesco non sia perfetto, la parola che sento di più è Katastrophe.
Ci ripenso mentre mi avvio all’inaugurazione della settimana dell’arte berlinese, al vicino Palais Populaire, dove per l’occasione è stata allestita la poco rassicurante scultura di Valie Export (due forbici capovolte). A duellare nella mia mente ora ci sono le parole Katastrophe e “taglio”, che non promette scenari migliori – non fosse che mi trovo a Berlino e, sebbene la giornata sia mite e quasi soleggiata, la proverbiale razionalità degli astanti sembra sufficiente ad avallare questo genere di cupe associazioni e mi infonde, quasi per osmosi, una rapida scarica di fiducia. Mi lascio tutto alle spalle, ed entro nel vivo delle mostre.
Inutile dire che bisogna rispettare le norme vigenti anti-covid, quindi, sia per quelle a pagamento che a libero ingresso, è necessario acquistare un ticket sul sito berlinartweek.de. Con mio grande dispiacere, molte sono già sold out.
In alcuni casi – come il bunker allestito con le opere della fondazione Boros – lo spazio della mostra varrebbe di per sé una visita e un biglietto a parte. Se soffrite di claustrofobia e siete amanti della pace, la Feuerle Collection vi ospita in una sala dove ammirare le opere stesi su un materassino e carezzati dalle onde del gong, a cura della Gongmeisterin Nora Schirmeier.
Se oltre alle vibrazioni zen siete in cerca di suoni sintetizzati, c’è la nostra connazionale Caterina Barbieri che, insieme all’artista multimediale Ruben Spini, presenterà in anteprima Aurora Wounds.
Performance e concerto anche all’immancabile Hamburger Banhof, all’interno del quale troverete, oltre alla musica, la mostra di Katharina Grosse e la retrospettiva di Michael Schmidt. Se siete davvero bravi e riuscite a pronunciare al botteghino «Neue Gesellschaft fuer Bildende Kunst» senza errori fonetici, rischiate di assistere all’ interessante serie di tre performance incentrate sul tema della “carne”.
Numerose sono le proiezioni, che spaziano dall’urbanistica (Akademie der Kunste) alla narrativa trans-europea (Bi’Bak), i cui temi si fondono idealmente nell’opera di Otobong Nikanga (There’s no such thing as solid ground) in scena al Gropius Bau. Beati i “quattro alla volta” che riusciranno a entrare.
Se non altro, questo è il fine settimana migliore (climaticamente parlando) per andare a zonzo a Berlino, regalandosi una piacevole passeggiata lungo i canali di Kreuzberg o nelle vie alberate di Friedrichshain. Se siete stati tagliati fuori, non tutto è perduto.
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