La Biennale è curata dall’artista e teorico russo, naturalizzato statunitense, Anton Vidokle, fondatore della rivista e-flux e dell’Institute of the Cosmos e da un team curatoriale composto da Zairong Xiang, Hallie Ayres e Lukas Brasiskis. Il tema generale è dato dal rapporto dell’uomo con l’universo, inteso come contemplazione del mistero e dell’insondabile e come registrazione degli inevitabili influssi cui la terra e i suoi abitanti, dall’uomo alle materie organiche e inorganiche, sono sottoposti grazie alle forze celesti. La parola di origine greca cosmos indica l’ordine e – nel riferimento allo spazio – armonia e si collega al termine cinese yuzou che connota l’infinità del tempo e dello spazio ed entrambe vengono messe in rapporto con l’immagine in movimento del cinema.
Le stelle dell’universo come “papiri” sovrascrivibili dove vengono impresse le immagini anche di migliaia di anni fa, sono i riferimenti del saggio (2007) del cineasta e teorico Alexander Kluge presente nella raccolta di saggi che accompagna il catalogo della Biennale. Il libro altresì, viene inaugurato da Vidokle con l’illustrazione della teoria cosmista che si è sviluppata in Russia sullo sfondo degli anni della Rivoluzione Bolscevica e da questa ha ne ha ricevuto, diciamo, l’impulso: credere all’impossibile fa parte infatti di qualsiasi spinta rivoluzionaria. Vidokle si è iniziato a interessare a questa teoria dopo gli incontri con Boris Groys (di cui nel libro appare un saggio) e con l’artista russo Ilya Kabakov, che lo hanno introdotto al lavoro di filosofi cosmisti come Nikolai Fedorov e Alexander Svyatogor, che aspiravano all’immortalità dell’uomo, attraverso pratiche di trasfusione sanguigna e che parlavano di gravità zero per la conservazione dei corpi dei morti. Lo stesso Kazimir Malevich negli anni Venti aveva progettato delle architetture che sono risultate essere dei cimiteri orbitanti fuori dall’atmosfera terrestre. La Biennale quindi è rappresentata con rigore e precisione da opere, e soprattutto immagini in movimento, che si riferiscono alla terra, all’universo, all’esplorazione intergalattica con riferimento agli astronauti, alle distanze cosmiche, alle proiezioni fantascientifiche, alle risonanze psicologiche e sociali che il rapporto con il cosmo implica.
L’immenso spazio in penombra della Power Station of Art (PSA), già fabbrica per la produzione elettrica: Nanshi Power Plant, dedicata all’arte contemporanea dal 2012, si apre con i tre satelliti non funzionali, a metà tra fantascienza e risultato ingegneristico, di Trevor Paglen, che scrive anche un saggio nel libro citato ed accompagna le tre sculture con disegni, grafici, fotografie atte a testimoniare l’intensa ricerca dell’artista. Queste opere inaugurano in maniera forte l’intera kermesse sotto l’egida della prima sezione: Freedom of Interplanetary Movement. L’installazione con richiami all’arte africana, dedicata alla figura dell’astronauta con sculture e allo spazio interstellare con dipinti è opera di Tavares Strachan, appassionato di temi spaziali declinati in senso di giustizia razziale. Una serie di video di artisti anche storici concludono la prima sezione con pulsazioni dall’infinitamente piccolo al cosmico e dall’idea del rapporto critico geografico tra interno e ed esterno (David Lamelas). La seconda sezione, Partial Eclipse, inizia con i video dei Raqs Media Collective e di Saodat Ismailova. Il collettivo indiano presenta un video straniante dedicato alla caduta di un ciclista in un cono temporale condannato all’infinita ripetizione, è una riflessione sul tempo e sul suo contrario con il termine del 1980 come anno di reiscrizione in un flusso immobile del tempo. L’artista kazaka, onnipresente nelle Biennali degli ultimi due anni, ha un video intenso che richiama la notte, la terra, i miti femminili e le risonanze con lo spazio.
La terza sezione (o palazzo), Ten Thousand Things, con l’installazione Moon di Furqat Palvanzade, editore indipendente e film-maker, mostra riferimenti all’astronomia medievale islamica, ai dodici crateri lunari nominati dall’Unione Astronomica Internazionale con riferimento a matematici e poeti antichi e le foto riprese dalla NASA, da ricordare il video di Julieta Aranda (co-fondatrice di e-flux) Stealing one’s own corpse, che richiama direttamente il cosmismo. Anche la performance partecipativa, in spazi di un giallo intenso, di Arseny Zhilayaev richiama il cosmismo russo. Nel palazzo successivo la spettacolare installazione di Jonas Staal racconta di una futura colonizzazione del cosmo da parte dell’uomo e si riferisce ad altre occupazioni del passato. Il quinto, Cinema Cosmos, con la colonna sonora di Carsten Nicolai aka Alva Noto si può leggere come snodo meditativo del percorso. Altro snodo sono 64 esagrammi con I Ching (1986-2023) di Michel Seuphor. Il sesto intenso palazzo dedicato ai Futurismi illustra quelli della Russia anni Venti con la favolosa Collezione Costakis, la sala dedicata a Solaris con video e libri a tema e infine le opere di Ilya e Emilia Kabakov che costituiscono l’orizzonte finale della parte dedicata direttamente alla Russia, infine vi sono video di fantascienza contemporanea, con la coda finale: Space is the Place, dedicato a Sun Ra, che ha combattuto razzismo, ingiustizia sociale, violenza con più di 100 album di musica visionaria ed è riconosciuto antesignano dell’Afrofuturismo. Nell’ottavo palazzo, d’impatto sia la fiabesca ed enorme video installazione di Zhou Xiaohu, sia l’installazione di Nolan Oswald Dennis che nella sua pratica artistica para-disciplinare, esplora “una coscienza nera dello spazio”. Il percorso termina con il nono palazzo Brave Wind and Rain, e con un richiamo, ancora una volta, al cosmismo interpretato come inclusione, ritorno alla natura, ecologia alternativa ed armonia.
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