Dall’11 marzo al 31 maggio 2024, l’arcipelago di isole che costituisce lo stato di Malta si trasformerà in una manifestazione diffusa dedicata all’arte contemporanea. Organizzata da MUŻA – Museo d’Arte della Comunità Nazionale di Malta, per conto di Heritage Malta e Arts Council Malta, la Biennale maltese è diretta dalla giovane curatrice italiana Sofia Baldi Pighi, coadiuvata da Elisa Carollo, art advisor, ed Emma Mattei, giornalista maltese. Il titolo di questa prima edizione è baħar abjad imsaġar taż-żebbuġ, un’espressione maltese che significa “gli ulivi del Mar Bianco”. Centro e periferia, isola e decolonizzazione. Tanti i temi di stampo politico su cui si fonderanno i lavori esposti e le pratiche artistiche degli artisti partecipanti, selezionati tra maltesi e internazionali. Qualche esempio? A partecipare saranno la cubana Tania Bruguera, il messicano Andrea Ferrero, il francese Jean-Marie Appriou, l’austriaca Barbra Kapusta. E poi Dew Kim della Corea del Sud, Edson Chagas dell’Angola, Amy Bravo dagli Stati Uniti, il collettivo Post Disaster e Agnes Questionmark dall’Italia. Ne abbiamo parlato con la direttrice Sofia Baldi Pighi in questa intervista.
Malta è un luogo di estremo fascino e grande complessità: al centro del Mediterraneo, quest’isola è stata base strategica per flotte e colonizzatori e tutt’oggi porta su di sé evidenti tracce di questo crocevia culturale. Ma, ci domandiamo, è possibile ricostruire una tradizione autoctona dell’isola? E questo aspetto è stato di interesse nell’ambito delle ricerche della biennale?
Malta è stata un rifugio, un nascondiglio, un porto e una “coraggiosa fortezza”: il significato geopolitico dell’isola è indelebilmente legato alla sua identità. I porti naturali di Malta hanno fornito riparo, rifugio e avamposti commerciali a tutti coloro che hanno cercato di insediarsi, conquistare e regnare: i fenici, i romani, i bizantini, gli arabi, i normanni, l’Ordine di San Giovanni, i francesi e infine gli inglesi. Come ci ha insegnato Michael Taussig in Mimesis e Alterità, le tecniche di assimilazione, stravolgimento e rovesciamento tra dominanti e dominati non consentono una lettura univoca. Il colonialismo è stato e continua a essere una malattia del mondo moderno e contemporaneo, ma allo stesso tempo è un luogo di elaborazione di nuove identità, un sapere indigeno che può cannibalizzare lo straniero e assimilarlo al proprio futuro. Nella prospettiva decoloniale Malta rappresenta un riferimento obbligato che è diventato centrale nella nostra ricerca curatoriale sviluppata insieme alle colleghe Elisa Carollo e Emma Mattei. Oggi Malta cerca di recuperare la propria centralità, liberando la propria storia dalla subordinazione, dall’umiliazione, dalla strumentalizzazione esterna, e proponendo invece un’identità unica sulla scena globale. Allo stesso tempo, le voci contemporanee reclamano la fusione linguistica e culturale, essendo stato un luogo in cui i ruoli tra colonizzatori e colonizzati si sono spesso invertiti, come in uno specchio.
Uno dei termini lanciati durante la presentazione di questa biennale è “Insulafilia”: da dove nasce e quale significato assume in questo contesto?
Insulafilia, letteralmente “amore per le isole”, è un’idea che ho maturato in seguito al mio trasferimento a Malta. Ho iniziato la mia ricerca curatoriale sull’isola con gli occhi della pianura (padana), la terra da cui provengo. Essere circondati dal mare altera drasticamente il punto di vista. Lungi dall’essere qualcosa di puro, l’isola è sempre un principio di composizione e di invenzione. Un’isola è il luogo ideale per la creazione di relazioni: si parte e si arriva. Invita ad attraversare il mare circostante, a toccare altre terre. Attraverso il pensiero insulare, diventa evidente che il bacino del Mediterraneo ha due sponde: Europa meridionale e Africa settentrionale, una confluenza di Oriente e Occidente. Setacciando il rapporto malsano che l’Europa intrattiene con le isole è lampante che questi territori liminali non sono un cuscinetto tra l’intruso e i suoi abitanti, ma sono intimamente intrecciati con la presenza dei cosiddetti outsider. Insulafilia è l’importanza di riconoscere l’ibridazione all’interno della cultura. Malta non è una, ma molte: multiculturale, multirazziale, multilingue. L’isola si presenta come l’origine di una nuova concezione politica e se di utopia si può ancora parlare oggi, questo è il desiderio: centralizzare la posizione delle isole per trasformare il discorso politico europeo.
Lo Stato di Malta è inoltre segnato da aspetti politici che a primo impatto risultano contraddittori: politiche di respingimento nei confronti dei migranti, ostracismo assoluto nei confronti dell’aborto, apertura – al contrario – nei confronti della comunità LGBTQUIA+. In che modo affronterete i temi politici e quali saranno i confini entro i quali potrete muovervi?
L’arte non è decorazione. È un organismo attivo e vibrante, capace di germogliare all’interno della società e di risvegliare pensiero critico e indipendente. Grazie alla visione degli artisti maltesi e internazionali, raccontiamo una terra di mezzo, che unisce di fronte alle fratture storiche e alle forze che estraggono/sfruttano/strumentalizzano il Mare Nostrum. Il pensiero insulare alla base della prima edizione della maltabiennale.art desidera disinnescare l’immaginario da cartolina del Mediterraneo, opporsi al turismo estrattivo che desidera solo ciò che appartiene all’altro – il suo mare, le sue spiagge e le sue palme (con un biglietto di andata e ritorno in tasca). Malta come osservatorio del presente indaga la conflittualità della pianificazione delle memorie nelle contingenze politiche che hanno attraversato il territorio geografico e sociale euromediterraneo, segnando e marcando confini e territori militarizzati. Anche se gli argomenti che tratteremo saranno delicati e polarizzanti, ci poniamo sempre senza pretesa di formulare risposte univoche. Abitiamo il dubbio e la biennale vuole essere uno spazio sicuro per il pensiero critico. Mentre ci spostiamo dalla terra al mare, dall’aria all’acqua, proponiamo agli artisti e alle voci partecipative della Biennale di esplorare i modi per occupare uno “spazio” senza rivendicarlo, allontanandoci dai confini del discorso territoriale verso una dialettica libera e non vincolata, proprio come il mare è sempre stato.
Hai affrontato lunghi mesi di preparazione di questa manifestazione trasferendoti fisicamente sull’isola. Come hai utilizzato questo tempo e cosa ha significato per te “naturalizzarti” temporaneamente in questo luogo?
Il libro di Anna Rizzo Paesi Invisibili – Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia mi ha insegnato che per raccontare un luogo bisogna prima abitarlo. L’esperienza di trovarsi su un’isola, specialmente dopo sette anni a Milano e un’infanzia in pianura padana, rappresenta una piccola “rivoluzione” personale. Il mio rapporto con il mare era custodito solo dalle ferie, oggi invece prima di andare in ufficio, quando le temperature lo consentono, faccio sempre un salto nel mio “luogo del cuore” a Valletta per fare un bagno. Qui ho imparato che le isole si rivelano rapidamente a chi si sofferma a guardare, con i loro densi spunti visivi e la stratificazione di identità e linguaggi. Stare in ascolto dei luoghi e delle persone che abitano l’arcipelago mi ha permesso di armonizzarmi con la cultura mediterranea.
Quante sono le sedi in cui avverrà la Biennale e cosa ha comportato scegliere luoghi già storicamente connotati, oltre che patrimonio UNESCO?
Malta vanta settemiladuecentoventitré anni di civiltà. Immaginare la prima edizione della Biennale in una terra così antica richiede di lavorare in sintonia con la sua storia. Grazie a Heritage Malta e alla partnership con l’UNESCO – World International Heritage, molti dei tesori culturali dell’isola diverranno le sedi in cui si svolgerà maltabiennale.art. Il Padiglione Centrale e i Padiglioni Nazionali/Tematici prenderanno forma nei luoghi più illustri e suggestivi dell’isola. La capitale La Valletta, i maestosi palazzi della città portuale di Birgu, i templi megalitici di Ħaġar Qim e la cittadella di Gozo tracceranno una Biennale disseminata nel tessuto urbano. I siti selezionati, simboli della storia maltese e della civiltà mediterranea, non sono semplici luoghi di intervento; nessun ambiente urbano, tanto meno un tesoro culturale ricco di storia, è mai neutro e silenzioso. Se il pensiero psicogeografico ci insegna la continua influenza che il paesaggio ha sulla nostra psiche, allora gli artisti contemporanei, chiamati a esporre in queste sedi, devono ricostruire un rapporto intimo con questi luoghi. I beni comuni, compresi i tesori culturali, esistono solo se c’è una comunità di abitanti che esercita i propri diritti fondamentali attraverso di essi.
Uno dei temi scelti dalla Biennale di Malta è la pirateria: come verrà declinato?
A Malta la pirateria durò per quasi trecento anni, creando un commercio lucrativo grazie all’enorme flotta che, attaccando le navi nemiche e razziando i porti. Il mare che circonda l’arcipelago maltese è stato a lungo una rotta di pericoli e opportunità. Il professore Liam Gauci, curatore del Museo Marittimo di Birgu (Malta), afferma che dovremmo considerare i Corsari come un motore dell’economia maltese dell’epoca, proprio come lo sono oggi i freeport e il gioco digitale. Oggi la pirateria ispira i pensatori libertari, che ritengono che essa rappresenti una forma di contropotere che sfugge al controllo dei governi e delle multinazionali. Gli hacker, i sabotatori di reti informatiche, coloro che sono in grado di trasformare il mondo digitale a vantaggio di organizzazioni autonome, si autoidentificano come “pirati”. L’attivismo, la solidarietà, le reti comunitarie, gli asili e i centri sanitari autogestiti si allineano a questa immagine. Svelando il ruolo della pirateria nella storia di Malta e del Mediterraneo, questa sezione curatoriale esplora il contropotere e la controstoria nella società, capace di stabilire uno spazio fluido dei mari e degli oceani, al di là dei confini nazionali e della politica internazionale. La pirateria ci serve per riconsiderare il significato del Mediterraneo, che continua a essere il “confine speculare” tra culture apparentemente disparate e confessioni diverse, nella speranza di un futuro di scambio e coesistenza.
Quale sarà il rapporto tra gli artisti locali rispetto a quelli internazionali? Esiste già una rete di artisti contemporanei a Malta?
La presenza degli artisti maltesi è pari a circa il 25 per cento degli artisti complessivamente selezionati. Malta ha una forte base culturale creativa, composta da residenti maltesi e internazionali e il Padiglione Centrale è un percorso espositivo dislocato sul territorio che fonderà le voci degli artisti maltesi con quelle internazionali. La Biennale di Malta, al centro di un Mediterraneo, suggerisce nuove metodologie di convivenza e di relazione, dove l’arte, per sua natura inevitabilmente “oltre i confini”, propone un’utopia per un mondo che resiste a nuove e vecchie tentazioni distruttive e autodistruttive.
E per finire: era necessaria un’ulteriore biennale da inserire nel già fitto calendario artistico?
La domanda che ci siamo posti fin dall’inizio è per chi stiamo costruendo questa Biennale. Chi è il nostro pubblico? Ci stiamo rivolgendo al ristretto gruppo di persone del mondo dell’arte? Se volessimo, invece, rivolgerci a un pubblico più ampio? La ricerca curatoriale muove dalle opere, considerate non solo come il risultato di un processo creativo, ma anche come un attivatore e un punto di partenza per progetti pedagogici orizzontali e di comunità. Non si tratta di aggiungere un’altra data al calendario, ma di ampliare l’arena internazionale, di includere il liminale e il periferico, di spostare il luogo e di fornire una visione rinfrescante per occhi stanchi, alla ricerca di prospettive alternative, profonde e stimolanti. Speriamo di essere parte di questo cambiamento.
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