«Sai che mi è piaciuto quel Flashback?». «Davvero? Quando ci sei stato?». «Stamattina, mi è piaciuto». Questo scambio, tra due signori che si dirigevano all’ingresso dell’Oval Lingotto, ci proietta dritti dritti nell’atmosfera intima e ricercata di Flashback, che giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione e che – in un’epoca in cui l’equilibrio è tanto invocato quanto messo in discussione – sceglie di interrogarsi sul significato profondo dell’equilibrio: è davvero sinonimo di giustizia e correttezza?
Per esplorare una simile questione, che tocca la condizione umana e la vita in tutte le sue forme, è – letteralmente – sbalorditivo ciò che in ingresso ci si offre alla vista: Stefano Di Stasio, pioniere del ritorno alla pittura di cui Gian Enzo Sperone presenta una ricca proposta in dialogo con Paola Gandolfi. Dal Realismo magico al Simbolismo, finanche al Surrealismo, l’artista cortocircuita la tradizionale idea di linearità temporale e trasforma ogni tela in una chimera di immagini da decifrare, come un rebus. Forse che anche l’equilibrio sia un simile rebus? E non è forse l’urgenza di questo equilibrio l’intima materia che la pittura di Di Stasio esprime passando attraverso l’uomo, turbato, a volte cupo, sicuramente alla ricerca di certezze?
Il mondo dell’artista è un mondo familiare, seppure restituito in modo surreale, come familiare è il concetto di tempo – centrale nella proposta di Atipografia e nelle ricerche di Diego Soldà – il tempo, stratificato, e spesso a colori, è protagonista dei suoi minuziosi lavori scultorei dall’anima pittorica, che richiedono al visitatore di fermarsi ad ascoltare la materia, e inciamparci – e di Roman Opalka, che per tutta la vita si è dedicato alla manifesta registrazione della progressione del tempo che ha definito attraverso i numeri, dall’uno all’infinito (Opałka 1965/ 1-∞) chiudendo ogni seduta di pittura con la realizzazione, sempre con la stessa inquadratura, di un autoritratto fotografico del proprio volto.
Sul tempo, passato e presente, sull’equilibrio anzi, sulla composizione, anche la galleria Del Ponte ha una proposta, che porta il nome di Carol Rama. Insieme a una Composizione (Passato e Presente), lo stand offre un’altra Composizione e una tela realizzata in vernice nebulizzata e colla dal titolo Perdonami le congiunzioni n.7. Ricordando che Edmo Fenoglio, la definì una «Religiosa votata al demone dell’arte» per condurci al cuore di di quello sguardo, è umano riflettere sul fatto che propio divino e demoniaco siano proprio i due termini con cui l’uomo per secoli si è interrogato sull’esistenza.
La rappresentazione in scultura di questo equilibrium (?) è proposta da Galleria Dello Scudo e Botticelli Antichità attraverso un crocifisso ligneo dell’Italia settentrionale del XV secolo e di un angelo ribelle caduto di uno scultore napoletano nell’ambito di Luca Giordano, e una selezione di bronzi del contemporaneo di Giuseppe Gallo. Galleria dello Scudo propone anche una serie di 7 tondi di dimensioni diverse di Emilio Vedova, che sfida la supremazia del centro conoscendole ,’inviolabile perfezione, in dialogo frontale con una scultura di Arcangelo Sassolino in cemento e acciaio.
Come l’opera di Sassolino ha origine dalla compenetrazione tra arte e fisica, così l’opera di Cristiano Carotti – presentato da Contemporary Cluster insieme a Vittorio Messina – si muove tra natura e tecnologia: Carotti sempre infatti recupera il valore dicotomico tra Homo Naturalis e Homo Mechanicus, risolvendolo attraverso una pratica che rivolge lo sguardo alla Natura e alla possibilità di ristabilire un ruolo attivo con essa da parte dell’Uomo. Sia nell’approccio scultoreo che in quello pittorico, agisce come un alchimista capace di indagare, con uno sguardo diverso, le dinamiche alla base della perdita di centralità implicita negli ecosistemi universali e umani.
Nella ricca proposta, che connette antico, moderno e contemporaneo, la galleria sarda Mancaspazio propone un intimo e raffinato dialogo tra Maria Lai, con dei disegni a matita che ritraggono le donne di Ulassai e le donne della sua famiglia, ed Emilia Palomba, che in scultura restituisce la rappresentazione di delle donne di Oliena che vedeva da bambina dopo aver sfollato nel piccolo paese del centro Sardegna durante la guerra. Ciacek Gallery invece presenta Wojciech Sadley, con una serie di opere realizzate tra il 1960 e il 1973, quando l’artista partecipò per l’ultima volta alla Lousanne International Textile Biennale. Le opere, scultoree in lana e seta, simbolicamente raffigurano il momento precedente al concepimento, ovvero la mitica creazione di una nuova vita. Spazio anche a Sandro Chia con la ceramica Figure con Albero che si staglia frontalmente sulla tela di Toti Scialoja (Le Viole della Riva) nell’allestimento scelto da OPENART; e a Salvo e Filippo De Pisis proposti da Galleria Gracis; ancora, a Liu Bolin con Photo&Contemporary; e ad Adolfo Wildt e Giacomo Balla alla Galleria Russo; o – last but not least – a Michele Zaza nello stand di Andrea Ingenito.
Come l’equilibrio – dicono Ginevra Pucci e Stefania Poddighe – «Attraversa numerosi ambiti, dalla scienza all’economia, dalla politica alla biologia, fino alla sfera sociale e psicologica. E inevitabilmente anche l’arte», così Flashback ci mantiene, come funamboli, su una corda tesa, e ci spinge a dubitare e a scoprire, lasciandosi sempre sorprendere.
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