Il Pordenone Docs Fest, iniziativa di Cinemazero, da ieri al 10 aprile accoglie il pubblico della sua 15ma edizione, “Le voci del documentario”. «Il festival, – hanno spiegato gli organizzatori – dopo due anni di pandemia e nel pieno della terribile guerra in Ucraina, torna nella sua collocazione “abituale” primaverile.
“La forza della realtà che diventa narrazione: anche quest’anno il festival parlerà di noi, cercherà di essere specchio di questi tempi difficili. Molti i film ucraini in programma, ma anche russi, per raccontare la longevità del conflitto e le censure di lungo periodo di Putin, – afferma il curatore Riccardo Costantini, precisando – L’urgenza del racconto dell’attualità non fa abdicare la qualità: la selezione si basa infatti sul valore anche cinematografico dei film in programma”.
Come da tradizione, infatti, il festival porta in città il meglio del cinema del reale per cinque giorni. Le anteprime nazionali saranno valutate da una giuria d’eccezione, presieduta dallo scrittore e sceneggiatore britannico Hanif Kureishi e da due registe e produttrici italiane pluripremiate: Penelope Bortoluzzi e Claudia Tosi».
Durante le giornate del festival, sono inoltre previste due retrospettive, una su Venezia, l’altra sul colonialismo e postcolonialismo italiano in Africa, con cinque documentari per ciascuna sezione. «Ancora, tra i seminari e convegni per addetti ai lavori, sono molte le possibilità di approfondimento: dalle questioni etiche e politiche connesse alla rappresentazione della colpa e del colpevole, legata all’affermazione commerciale delle docu-serie crime, all’utilizzo dei materiali d’archivio per il documentario, alla produzione dei podcast e l’utilizzo della realtà virtuale», hanno proseguito gli organizzatori.
Potete trovare il programma completo qui.
Abbiamo parlato dell’edizione in corso con Riccardo Costantini, curatore del Pordenone Docs Fest.
Pordenone Docs Fest giunge alla sua 15ma edizione. Come è cambiato nel tempo? Come si colloca il festival a livello nazionale e internazionale?
«Il festival è molto cresciuto negli anni ed è diventato una delle principali vetrine a livello nazionale per il documentario. Utilizza lo strumento del cinema del reale per parlare dell’attualità, di noi, dell’oggi, delle contraddizioni del presente. Si offre come strumento per azioni sociali, toccando temi ecologici, temi legati ai diritti civili, cercando anche di dare delle chiavi di lettura sulla più stringente attualità. Portando principalmente film in anteprima nazionale, fa un importante lavoro di selezione tra centinaia di film dai più prestigiosi festival internazionali che poi – ed è questo l’altro grosso impegno che il festival porta avanti al di là dei giorni della manifestazione – spesso, dopo essere stati mostrati a Pordenone, hanno distribuzione nazionale, vengono acquisiti da emittenti televisive. Questo permette ai film di avere vita lunga, in un mercato distributivo complicato per il documentario, allargando così il pubblico».
Quali sono, in estrema sintesi, gli aspetti peculiari di questa 15ma edizione?
«Si parla dell’attualità, quindi ovviamente c’è il conflitto Ucraina/Russia, ma in generale i documentari che vengono presentati sono frutto di una profonda ricerca. Non si tratta di instant movie o di un’infilata di immagini create ad hoc per coprire i temi di maggiore attualità, che colpiscono ma si consumano rapidamente. Al Pordenone Docs Fest lavoriamo su temi soggiacenti che vengono approfonditi ad ogni edizione: le piazze animate del mondo, che manifestano – in particolare con i giovani – per maggiore democrazia, maggiore attenzione all’ambiente. Quest’anno, si va dalla Cina a Hong Kong, per arrivare ai nostri luoghi, con tematiche legate anche alle contraddizioni del nostro Paese, come per esempio il caporalato. Si parla di fine vita; ci si concentra sulla Turchia e sulle contraddizioni dell’amministrazione Erdogan e della società turca rispetto alle imposizioni islamiche più rigide; ma c’è anche una riflessione sul futuro di Venezia; sul post colonialismo italiano: su un Paese che non rinegozia il proprio passato coloniale e che dunque fa fatica a essere multiculturale…».
Come vengono scelti i documentaristi invitati?
«Non c’è un criterio di fondo di selezione dei documentaristi, non ci sono nomi scelti solo perché famosi. Anzi, se ci sono, è perché i loro lavori sono di qualità. Il Festival è prettamente orientato verso il pubblico: i documentari che vengono scelti sono estremamente comunicativi, emozionali, molto densi a livello di contenuti. Molto spesso a realizzarli sono registi e soprattutto registe donna molto giovani, dinamici che decidono di spendere buona parte dei loro ultimi anni di ricerca su un singolo tema e ci consegnano un prodotto estremamente all’avanguardia. Quindi se però dobbiamo sintetizzare un criterio, questo è la qualità cinematografica dell’opera. Abbiamo invitato la regista di Ascension, Jessica Kingdon, che era nella cinquina dei candidati agli ultimi Oscar, ma abbiamo il piacere di avere anche Olmo Parenti con il suo film One Day One Day: un film “vietato ai maggiori”, che ha scelto di mostrare solo nelle scuole e da noi, proprio riconoscendo il tipo di lavoro che portiamo avanti».
Come si colloca il documentario nella contemporaneità?
«Il documentario è uno degli strumenti più importanti per poter comprendere meglio quello che accade intorno a noi. Come punto di forza ha le immagini, che vengono dalla realtà. Inoltre, rispetto per esempio al contesto televisivo o al web, in cui il flusso di immagini è costante, il documentario fa selezione e lavora su più registri e quindi permette di avere uno sguardo critico, che si può aprire a molteplici punti di vista su un singolo tema e soprattutto può essere rielaborato nel tempo perché sedimenta e può essere rivisto, può essere mostrato in contesti di diverso genere, età, tipologie di pubblico. A mio avviso è probabilmente il genere più efficace per raccontare la modernità».
Quali sono i progetti per il futuro di Pordenone Doc Fest?
«Il Festival quest’anno lancia un nuovo progetto di tutoraggio per film/documentari in corso di sviluppo. Il Festival da molto tempo intercetta progetti di documentario di spessore internazionale su cui viene richiesta una consulenza specifica. Ora si vuol far diventare questa pratica sempre più una prassi, organizzata in maniera tale che il Festival diventi un momento cardine all’interno del panorama non solo nazionale, ma europeo, soprattutto per lo sviluppo di progetti particolarmente qualitativi di cinema del reale».
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