Questi tempi interessanti e drammatici stanno mischiando le carte del sistema dell’arte. Con le biennali, le fiere e i megaeventi in bilico, come abbiamo già scritto in diverse occasioni è diventato necessario ingegnarsi per trovare nuove strategie di organizzazione e di diffusione. E la necessità non solo aguzza l’ingegno ma, trasformando la realtà, può anche far apparire obsolete quelle che, una volta, consideravamo certezze. Per esempio, Hauser & Wirth, una delle gallerie più influenti del mondo, di quelle che orientano e veicolano gusti, stili e relazioni, ospiterà sulla sua piattaforma online la June Art Fair, una fiera d’arte contemporanea la cui prima edizione si è svolta l’anno scorso, durante la Basel Art Week.
La June Art Fair avrebbe dovuto tenersi quest’anno, sempre a Basilea ma poi, come sappiamo, l’edizione 2020 di Art Basel è stata annullata. Dunque, non è più la galleria a entrare nella fiera ma l’opposto e si tratta di una significativa inversione di ruoli, se non di una vera rivoluzione copernicana. Certo, in questo caso è ancora il pesce piccolo che è stato “mangiato” dal pesce grande ma, una volta avviato il flusso, nulla vieta di pensare che l’acquario possa diventare un oceano.
«Ci siamo concentrati su come raggiungere il pubblico più vasto possibile e sostituire in qualche modo l’esperienza di Basilea», ha spiegato Esperanza Rosales, della galleria VI, VII di Oslo, co-fondatrice della June Art Fair insieme alla galleria danese di Christian Andersen. «Questa alleanza nasce dal desiderio di trascendere queste sfide, di collaborare e sperimentare con diversi format e punti di vista e di aprire un dialogo su come poter essere utili al pubblico dell’arte, in questo clima attuale», ha continuato Rosales.
Non è la prima volta che i diversi attori dell’arte contemporanea si vengono incontro per darsi una mano. Per esempio, Sotheby’s ha lanciato la sua Gallery Network, una vetrina online che riunisce le opere d’arte di una rete di gallerie partner di livello altissimo, tra cui Gavin Brown’s Enterprise, Lehmann Maupin, Jack Shainman Gallery, Luhring Augustine, Kasmin Gallery, Petzel Gallery, Sperone Westwater e Van Doren Waxter. C’è poi l’onnipresente e onnipotente David Zwirner, con la sua Platform, una viewing room aperta alle gallerie più giovani di New York e, quindi, maggiormente colpite da questa emergenza.
Esempi simili li ritroviamo anche in Italia, con la galleria Massimo De Carlo che ha deciso di condividere il suo spazio virtuale con altre cinque realtà milanesi dell’arte contemporanea: Fanta MLN, ICA Milano, Galleria Francesca Minini, Galleria Federica Schiavo e Galleria Federico Vavassori. Tutte gallerie giovani e mid-career che potranno usufruire della tecnologia e dei canali di De Carlo per poter proporre le proprie mostre online.
Strategie di mutuo soccorso e non solo online, come nel caso di Reston Unis, il progetto lanciato da Emmanuel Perrotin nel suo nuovo, piccolo spazio aperto a Parigi. L’idea è quella dare visibilità ad altre 26 gallerie parigine che avranno modo di esporre a rotazione una selezione di lavori dei loro artisti. Dunque, una mano lava l’altra ma, in questo circolo le grandi fiere sembrano essere rimaste qualche passo in secondo piano.
«Ospitando la fiera sulla nostra piattaforma digitale, miriamo ad aumentare il pubblico per le gallerie partecipanti. I nuovi tentativi digitali stanno sfidando il panorama artistico e ridefinendo il modo in cui tutti possiamo connetterci», ha dichiarato Neil Wenman, partner di Hauser & Wirth. Cosa leggiamo tra le righe? Che il tessuto di relazioni che, nell’arte, coincide con la filiera dal creatore al consumatore, cioè dall’artista al collezionista, si sta adattando per trovare una forma sostenibile. La questione, allora, è chi rimarrà fuori dalla coperta o anche chi riuscirà a entrarci.
«Dovremo aspettare e vedere se le fiere saranno realisticamente in grado di aprire in autunno. Tuttavia, le perdite saranno evidenti per tutti se le fiere e le grandi folle che attraggono non saranno considerate sicure entro la fine dell’anno. Altrimenti potrebbe essere necessario ridefinire un nuovo modello», ci raccontavano da Hauser & Wirth, in questa nostra recente intervista, nell’ambito dell’ampia rubrica che abbiamo dedicato futuro delle gallerie post Covid-19 (qui trovate tutte le interviste).
In ogni caso, senza i rischi dell’esperienza hic et nunc, la June Art Fair si terrà online dal 20 al 31 agosto, sul sito di Hauser & Wirth. Ogni galleria presenterà le opere di un singolo artista e le trattative si svolgeranno direttamente tra galleria e collezionista. La fiera, inoltre, sarà presentata in collaborazione con Art Review, che offrirà contenuti aggiuntivi su ciascun rivenditore sul proprio sito. Queste le gallerie partecipanti: VI, VII, da Oslo, The Breeder, da Atene, Christian Andersen, da Copenhagen, Croy Nielsen, da Vienna, Document, da Chicago, Embajada, da San Juan, Empty Gallery, da Hong Kong, Green Art Gallery, da Dubai, The Green Gallery, da Milwaukee, Galerie Meyer Kainer, da Vienna, Misako & Rosen, da Tokyo, Neue Alte Brücke, da Francoforte, Stigter van Doesburg, da Amsterdam, XYZ collective, da Tokyo.
La domanda è lecita: cosa ci guadagna Hauser & Wirth in tutto questo? A parte il buon nome, ovviamente. Qualcuno dice informazioni, il petrolio del nuovo mondo. Dati, notizie, aggiornamenti e gusti della clientela insomma, un po’ come succede per le cronologie di navigazione sui motori di ricerca e sui social network. Ma possiamo immaginare che certi dettagli saranno coperti da privacy, al contrario delle voci ascoltate e pronunciate durante cene e opening.
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