Umano, troppo umano. Senza alcuno sguardo sospetto o condizionato da disprezzo anzi, definito dal coraggio e dall’audacia. Umano, troppo umano, non è soltanto il primo saggio filosofico di Friedrich Nietzsche, di cui con certezza, occhi esperti, potranno trovare qualche preziosa, antica e unica copia nei padiglioni del Mercanteinfiera. Umano, troppo umano, è ciò che resta al termine di un’innocente visita del Salone organizzato da Fiere di Parma. Una sensazione, dunque, felice e durevole nel tempo, proprio come la proposta della manifestazione che è sotto la responsabilità dell’Exhibition Director Ilaria Dazzi.
Dentro a quella che possiamo figurarci come un’unica grande opera al cui interno sono riprodotte intere collezioni, in miniatura, sempre più piccole, tante volte quante la capacità visiva può percepire, convivono economia, contesto sociale ed estetica. Sono ben quattro i secoli di arte che trovano espressione con l’antiquariato, sono Franco Albini, Gaetano Pesce, Sottsass, Caccia Dominioni, Gio Ponti, Colombo, Fornasetti, Arne Jacobsen, Riccardo Giovannetti alcune delle figure di spicco del design storico che si può acquistare, e sono Chanel, Louis Vuitton, Hermès, Versace, Gucci, Manolo Blahnik e Yves Saint Laurent molti dei marchi intramontabili con cui ci si può sbizzarrire. Non mancano eleganti tappeti, gioielli, strumenti musicali, personaggi immortali che ci hanno fatto vivere sogni e avventure fantasticate al cinema e davanti alla tv, libri preziosi e fiabe collettive in edizioni del secolo passato.
Lontani dall’ideologia espositiva narrata da Brian O’Doherty, i più contemporanei booth e hall a Parma sono variopinti microcosmi che danno forma a immensi spaccati di storia e vissuti, evadendo il giudizio accademico nella consapevolezza di potersi mostrare direttamente a un pubblico curioso, imparziale e ancora avvezzo all’incanto. Quell’incanto che troppe volte si dà per scontato e che risiede negli antichi mestieri, da scoprire, riscoprire e conoscere. Perché sì, può accadere, passeggiando per il Mercanteinfiera, di imbattersi in una restauratrice che ripara la doratura di una cornice applicando le foglioline d’oro; in un artigiano che annoda a mano i fili di catena con quelli di trama per realizzare un nuovo tappeto; o in un mobiliere che leviga e lucida un antico cassettone facendo aderire l’impasto di cenere e burro con un panno di cotone passato con movimenti circolari sulla superficie.
Questi piccoli slittamenti di rappresentazione e di senso costituiscono il motore della narrazione del Marcanteinfiera che, dopo aver chiuso l’edizione autunnale con più di 50mila visitatori, sta facendo registrare numeri da record in questo svolgimento primaverile che offre un intreccio di presenze, tra novità e conferme che si rinnovano da più di dieci anni, capaci di trasformare l’esposizione in qualcosa di più di un semplice collezione di pezzi d’autore.
A completare la grande opera Mercanteinfiera, due mostre che restituiscono un’istantanea come ulteriore eredità ai posteri, e che consentono a esperti e amatori di continuare ad arricchirsi in termini di bellezza, ideazione, etica, durabilità e sostenibilità.
“Partivano i bastimenti. Home sweet home America” è la mostra curata da Massimo Cutò per offrire un riflesso del fenomeno dell’emigrazione attraverso un percorso che si articola in poster delle eleganti navi fumiganti, réclame dei prodotti italiani già simbolo di un pionieristico “Made in Italy”, suggestive fotografie di famiglia incorniciate tra le due bandiere a suggello dell’integrazione nel Nuovo Mondo, manuali per diventare “bravi cittadini stranieri” e schede sanitarie di Ellis Island che decretavano l’inizio o la fine del sogno. “Olivetti #StoriadiInnovazione” è la mostra realizzata in collaborazione con l’Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea che ammonisce a riflettere sul concetto di design secondo Adriano Olivetti: non soltanto una cipria da mettere sopra il prodotto per vendere di più, quanto metafora di responsabilità verso l’ambiente, la gente, verso il destino del prodotto e della società. Tra macchine da scrivere, macchine da calcolo, pc stampanti e registratori di cassa, sono esposte anche la Lettera 22, “Leggera come una sillaba, completa come una frase”, disegnata per Olivetti dall’architetto Marcello Nizzoli che conquistò Indro Montanelli, Oriana Fallaci, Enzo Biagi, Gianni Mura ed Ernest Hemingway, e 70 Olivetti Lettera 22, prodotta nel 2020 per celebrare i 70 anni dalla nascita della Lettera 22, dall’Associazione Archivio Storico Olivetti in collaborazione con Rinascente e ‘Olivetti X Tutti’.
Perché umano, troppo umano? Perché una delle caratteristiche principali del risultato di questo eclettico evento sono l’inclusione dell’orizzonte della ricezione, che fa riscoprire mestieri e passioni che ci appartengono, e la partecipazione interpretativa che stimola a mettersi alla prova riconoscendo i livelli, moltiplicati all’infinito, delle realtà esposte e dei personaggi e delle immagini – più o meno esplicite – di volta in volta implicati.
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