Categorie: fiere e mercato

Artefiera 2001: Art has a point a luci spente

di - 12 Febbraio 2001

…e cioè che la fiera bolognese, pur essendo la maggiore d’Italia, resta soprattutto un evento di casa nostra e dunque rivolto al mercato italiano, a smentire certi proclami un po’ troppo trionfalistici degli organizzatori. Insomma di strada ce n’è ancora da percorrere per giungere ad avere in Italia un evento internazionale; si dirà che le gallerie internazionali c’erano (un paio di dozzine), ma ciò che continuano a mancare sono i collezionisti.
Ma non sarà che a Bologna si chiede un po’ troppo? Si vuole che presenti l’arte del ‘900 storico e insieme le nuove tendenze, italiane e straniere; di essere, in tutto ciò, ad un tempo la vetrina delle gallerie italiane e internazionali. E così accade che Bologna non assomiglia a Basilea né ne avrà mai la vocazione. E’ inutile girarci intorno: l’arte contemporanea comprende un periodo storico ormai troppo vasto per pensare di risolvere la questione distinguendo i padiglioni in un’unica occasione fieristica. Se una fiera è soprattutto un evento commerciale, allora si considerino i possibili clienti: il collezionismo dell’arte storica e quello dell’arte contemporanea seguono strade diverse, strategie di marketing autonome e frequentano luoghi diversi. Basilea ha fatto la sua scelta puntando decisamente sugli ultimi decenni, Bologna no. Si decida perciò che Bologna si deve occupare dell’arte storica ed in questo campo sollecitare nuove indagini. Già, perché è ben più che una sensazione quella che la presentazione dell’arte del ‘900 si risolva ad Artefiera in una parata di grosse gallerie che mettono in mostra le proprie insegne: qualcosa che assomiglia ad una giostra. Quante volte abbiamo la sensazione di déja-vu di fronte ai Music di Contini, dei Campigli e dei De Chirico di Marescalchi, dei Sironi di Bigai, ecc. (tutti capolavori ben inteso)? Dalle gallerie storiche ci aspettiamo un impegno maggiore profuso nell’opera di riscoperta del ‘900 sconosciuto o, per meglio dire, dimenticato, specie ora che critica, editoria ed istituzioni museali, sembrano impegnate, con alterni successi, nella sistemazione del secolo appena trascorso.
C’è stato poi tutto il resto, l’altra fiera, quella delle correnti artistiche più recenti e delle gallerie di scoperta alle quali forse varrebbe la pena di dedicare definitivamente un appuntamento esclusivo (Torino, Milano?). Un punto di forza quest’anno dovevano essere i due spazi a piano terra, concessi a gallerie selezionate per mostre tematiche. Ciò ha prodotto almeno due conseguenze negative: da un lato ha fatto notizia il polemico ritiro di alcuni espositori per questioni legate ai costi (diversificati) e alla distribuzione logistica degli spazi (la vicenda è già passata agli avvocati), dall’altro ha segnato una marcia indietro rispetto all’anno scorso, per la rinuncia di destinare uno spazio alle opere poco commerciabili, quelle di grandi dimensioni e ambientali.

Ma cosa ha detto di nuovo, globalmente, la sezione dedicata alle nuove tendenze? Poco si dirà; già, e forse la novità sta proprio in questo. Per parlare della giovane arte italiana serve ricordare che la credibilità a livello internazionale è di là da venire e potrei citare di nuovo l’articolo di Le Monde su questo. Tuttavia almeno ora una strada c’è, ed è quella di Cattelan e Beecroft che, imponendosi all’estero, hanno causato in casa nostra un nuovo interesse per i giovani, ivi comprese certe istituzioni museali (dalle Papesse a Rivoli, dal Pac al Centro per le Arti Contemporanee di Roma) e ciò non senza polemiche e scontri, al di là dei quali, come si dice in questi casi, “l’importante è che se ne parli”. Bologna ha confermato questa tendenza e le gallerie, reagendo all’indifferenza internazionale, non hanno esitato a mettere in mostre Basilé, Botto & Bruno, Pusole, Cecchini, Toderi, Marisaldi, Pignatelli, Tesi, Leonardo, per citarne alcuni.
“I soliti nomi” si è sentito dire, eppure credo innanzitutto che le gallerie abbiano il diritto di cercare di consolidare il mercato acerbo che questi artisti muovono, caso mai ci si aspettano ora impegno, promozione ed investimenti sui mercati internazionali. Questa potrebbe essere la prova del nove e servirebbe anche a decidere chi, tra quanti polemizzano, ha ragione. Già, perché non è possibile ritenere già vecchi personaggi che si sono affacciati al grande pubblico (italiano, si badi bene) da qualche anno, né quelli che si presentano ora, leggi Carrocci, Delafon, Ricotta, Pivi, Rabbia, Caira e non ho dubbi che ne verranno altri.
Insomma non mi pare il caso di disperdere tempo e forze in sterili discussioni, piuttosto ci si rimbocchino le maniche e si lavori con rinnovato impegno, almeno finché tutti saranno concordi nel riconoscere la qualità e le potenzialità degli artisti italiani.

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Alfredo Sigolo



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  • Tuttaltro, a me Manetas piace pure. E comunque non è detto, adesso, che chiunque vada in America debba per forza sfondare, per esempio considererei, per es., la sospetta, eccessiva americanità della B. Avevo detto "ne riparleremo oltre", bene, cominciamo ora: è giusto andare a vivere in America per avere successo? A me questo strano allineamento al gusto americano preoccupa un po'.

  • giusto ono che sia andare in America per trovare fortuna rimane il fatto che le possibilità di riuscita sono molteplici. Se poi si pensa che il collezionsimo fotografico americano ha una radice più consolidata rispetto a quello europeo allora forse si comprenderà perchè. Se poi da questo punto si vuole dibattere sull'egemonia estetica imposta dagli USA ci si deve armare di altri concetti:
    non è forse vero che l'attenzione al nuovo è radicalmente più consistente nelle gallerie di Zio Sam piuttosto che in Italia? Non è dimostrata oramai la disponibilità a "rischiare" nel promuovere opere giovani dell'America rispetto a noi europei? Questo non significa che tutto quanto venga in mostra con passaporto statutinitense sia "valido", però non si può negare che vi siano sistemi di diffusione, e forse anche di marketing, così ben strutturati e preparati a tavolino da far invidia?? Che sia il caso che l'europa smetta di vivere del glorioso passato e cerchi di analizzare per bene il presente? Perchè l'arte dell'est non trova il giusto accoglimento presso quei galleristi "italiani" così appiccicati al GRANNOME da respingere le potenzialità poetiche di un dinamismo "dopo muro di Berlino" e infognati nel voler riproporre le solite mummie???

  • Caro Condor,

    le nostre mummie che vengono riproposte sempre a dispetto dell'arte dell'est o di altro sono gente come Luigi Ontani che, guardacaso, inizia in questi giorni una enorme rassegna a lui dedicata al P.S.1....e dove è questo ps1 ? Nella retrograda Vienna? Nella provinciale Berlino? Nella archeologica Roma? Nella inconcludente Milano?

  • E' un momento di confusione. La confusione è il primo segnale di un cambiamento in atto. Stanno cambiando i collezionisti, stanno cambiando le strategie dei galleristi, gli stessi artisti, sfogliando le riviste di settore, credo rimangano, come me, abbastanza stupiti e perplessi delle scelte fatte dalle redazioni . Le immagini patinate rimandano un panorama dell'arte per lo meno confuso ( confondendo e mischiando il buyono con il mediocre con l'incomprensibile). Visitando la fiera d'arte di Bologna la confusione se possibile aumenta, la sensazione è che nessuno sappia che pesci pigliare. Pochi coraggiosi sembrano prevalere forti del fatto che la fortuna aiuta gli audaci,, ma quanto durerà la loro fortuna? Il panorama va dallo sconsolante al dissuadente e a parte le opere di Mimmo Paladino e di pochissimi altri quello che se ne ricava è una leggera delusione.
    Tale delusione non viene mitigata dai gatti sbattuti al muro di Torino o da una rassegna milanese che speriamo si riabbia dal suo temporaneo offuscamento. Chi fa arte tenga i denti stretti e continui a lavorare con convinzione e grande fermezza e se possibile comuniachiamoci i malesseri personali. La terapia del tirar fuori il rospo per guarire funziona sempre!

  • Sono d'accordo con Massimo circa il momento di confusione. D'altro canto di tentare di smuovere un po' le cose anche in Italia si sentiva il bisogno. Al di là però di inevitabili situazioni spiazzanti o deludenti, nel complesso a mio parere bisogna guardare con favore a questo periodo, auspicando che ne nasca qualcosa di buono (e qualcosa di buono a me pare che in giro ci sia). Perciò, come mi sono da lei distaccato per quanto concerne il pessimismo da lei dimostrato nella parte centrale del suo intervento, così a lei mi riavvicino per le conclusioni: continuino a lavorare gli artisti, ma continuiamo a lavorare anche noi che, nel nostro piccolo, tentiamo di fare un po' di critica ed informazione e comunichiamo...ma comunichiamo tutti.

  • Concordo con Condor (quante "C"!) circa l'organizzazione, il marketing, le strutture americane. Fino a qualche anno fa avrei sottoscritto anche il resto; oggi non si può invece negare che ci siano i segnali di un rinnovato interesse per l'arte dei giovani in Europa ed in Italia (si può discutere sulle strategie e le scelte che, nell'ambito di questo panorama si seguono e si fanno). Per quanto riguarda gli artisti dell'est il discorso si fa complesso, preferisco che di questo si tratti nel forum apposito, auspicando che all'epoca della Biennale si trovino stimoli di discussione ancora maggiori (dentro e fuori Ex).
    Io ho il presentimento che ciò accadrà.

  • Estremamente daccordo con il dott. Franchi.
    Stringere i denti e lavorare sodo e senza piagnistei.

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