Quest’anno la FIAC si svolge al Grand Palais e nella Cour Carrée del Louvre, nel cuore della città, a due passi dagli Champs-Elysées e dalla Senna. Non più quindi, nel periferico quartiere fieristico di Porte de Versailles. E non è un dettaglio, perché la vera novità di quest’edizione risiede, come sostengono gli organizzatori, nel legame strategico tra la FIAC e l’immagine di Parigi. Le sculture installate alle Tuileries, che nessun turista manca di percorrere per riprendersi dalla visita-maratona al Louvre, ne sono una prova. Tra queste ricordiamo Atelier Van Lieshout, Tony Cragg, Richard Long, Frank Scurti e Franz West.
Tuttavia mai come quest’anno la FIAC rischia di trasformarsi in una mera attrazione turistica. Sfiora il ridicolo, ad esempio, la proposta delle Gallerie LaFayette di organizzare, all’interno del loro sfarzoso magazzino, una mostra d’arte contemporanea con artisti di tutto rispetto –tra cui Laurent Grasso e Sâadane Afif– con la scusa che il grande magazzino “si è sempre messo all’ascolto degli artisti del loro tempo”! Del resto, “le ambizioni della FIAC e delle Galeries LaFayette si corrispondono”. In che modo, verrebbe da chiedersi: “mettere in valore l’energia creatrice della Francia” nonché “sedurre l’opinione internazionale”. La mostra in questione si chiama ovviamente Antidote (a cosa esattamente non è dato sapere, forse all’intelligenza).
Sulla stessa frequenza vi è il cosiddetto Comitato Colbert, che raccoglie 69 case di lusso la cui creazione, la citazione è testuale, “rivisita un’arte di vivere emblematica”. Come non impallidire poi davanti l’idea che “esista un’affinità naturale tra il mondo dell’arte contemporanea e il lusso, perché parlano la stessa lingua, quella del processo creativo”?
Il Comitato organizza visite privatissime da Dior, Celine, Chanel, Vitton, Baccarat (che, si puntualizza, “celebra le donne e la luce”) per “scoprire la creazione in azione” e metterla in parallelo con quella artistica. Non è chiaro quale delle due sostenga l’altra. Chi pensa che si tratti di attività collaterali e che il grosso della FIAC si svolga altrove si sbaglia. In questi eventi, ancora marginali nell’economia di una fiera, si testano le nuove dinamiche del mercato neoliberista, che si riverseranno presto sull’arte e sugli artisti come un macete.
Non sorprende quindi che, all’inaugurazione ufficiale, gli studenti e alcuni professori dell’ENSBA –le Belle Arti di Parigi, ovvero la più prestigiosa scuola d’arte pubblica francese– abbiano manifestato davanti all’ingresso, contro i tagli ai fondi della scuola e la mancanza di spazi per svolgere le loro attività. Altro che lusso.
Lo Show off del resto non si tiene in un capannone dimesso, da architettura industriale, nella banlieue messa a fuoco e fiamme lo scorso anno, ma nell’appena ristrutturato Espace Pierre Cardin (RSVP), parallelo agli Champs-Elysées.
La periferia non va più di moda a Parigi, quelle no man’s land dove molti pensano non si faccia altro che bruciare macchine. Lo show off è organizzato inoltre da gallerie come Les Filles du Calvaire e Eric Dupont che, fino all’anno scorso, partecipavano all’edizione ufficiale. Non tira insomma aria da Salon de refusés: nonostante l’intenzione di presentare artisti non storici, i nomi più in vista sono quelli di Claude Viallat (classe 1936), Pierre Buraglio (1939) e Monique Frydman (1943). Largo ai giovani, dunque…
Cosa dire della fiera vera e propria? Al Grand Palais vi sono 98 gallerie, di cui più della metà non francesi. La selezione quest’anno si è irrigidita, per offrire ai visitatori un percorso arioso e finalmente godibile, senza quegli angusti e labirintici corridoi tutti uguali. Al Louvre sono ospitate 71 gallerie più giovani; 12, nel complesso, quelle italiane, lo stesso numero delle presenze americane. Il Prix Marcel Duchamp presenta quest’anno artisti più interessanti rispetto alla scorsa edizione: Adel Abdessemed, Leandro Erlich, Philippe Mayaux e Bruno Peinado; a giorni verrà decretato il vincitore.
Al vernissage si è infine riversata la solita umanità che sembra uscita dalla penna di Arbasino: ninfette e vecchi attempati, collezionisti dal bel portamento e signore scollacciate non più giovanissime. Solo Orlan è al terzo giro: sembra distratta ma guarda tutto e tutti, oppure finge attenzione perché tutti la guardino, oppure lei non fa niente e tutti la guardano perché è Orlan e ha un enorme parruccone bianco e nero. A Porte de Versailles c’era la fiera del cioccolato.
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Appaiono troppo intellettualoidi per i miei gusti queste sculture-installazioni della Fiac. Non solo il bronzo è freddo e distante, spesso usato per commerazioni e sculture in modo obrobrioso.
Stamane da Parigi preferisco di gran lunga una delle sculture nella galleria parigina. Un divertente bronzo dipinto "lifesize" senz'altro più umano! D'altronde anche Degas nella scultura ballerina, per renderla più umana, aggiunse in tutù intessuto.
Purtroppo più si ingrandiscono le fiere e più diventano piccole.Piccole di idee,piccole di coraggio,piccole in tutto tranne che nel bilancio.Anche le fiere cosiddette off sono già grandi prima di nascere,basta vedere chi li ha messe su.Comincia a diventare inutile anche parlarne.
io sinceramente ho trovato la Fiac un po' deludente...non so, intellingente l'idea di separare l'establish dall'emergent, stupendo il restaurato Gran Palais, una delle poche fiere in cui dopo 10 minuti non hai il mal di testa da neon...però ho avuto l'impressione di una scarsa incisività, è una fiera che non mi ha detto un gran chè...