La seconda?
La totale disponibilità di Yasmin Gebel della Media G (organizzatrice della fiera), a farmi letteralmente rivoluzionare tutto, a partire dal nome della fiera che è diventato ArtO’_Art Fair in Open City. Non era una cosa scontata, e personalmente mi sorprende sempre la capacità di rimettersi in gioco. È un segno di grande umiltà e intelligenza. Cose piuttosto rare. Quando la Gebel ha detto di sì a tutte le mie condizioni, come potevo rifiutare?
La prima edizione di ARTEmodernacontemporaneaROMA aveva deluso le attese. Dove stava l’errore e dove, quindi, ritieni che si debba intervenire con più piglio?
Quella partenza risentiva forse di un eccessivo entusiasmo e di un’impostazione generale senza particolari caratterizzazioni. Dare un’identità precisa, o quanto più specifica possibile, all’evento su cui si lavora è oggi un aspetto decisivo del suo successo.
Bene, e quale sarà questa “identità”?
Naturalmente le gallerie invitate corrisponderanno al mio lavoro curatoriale, e quindi alla tipologia di gallerie con cui collaboro e ho rapporti: gallerie giovani, emergenti, in cui ricerca e proposizione sono gli elementi fondamentali.
Cosa state cercando di fare?
Di proporre un modello diverso e innovativo di fiera, in cui le gallerie invitate e le opere esposte siano il risultato di una “tematizzazione” governata da una metodologia esclusivamente di tipo curatoriale.
Esclusivamente curatoriale?
Sì. La fiera come accumulo casuale di opere mi sembra che abbia ormai esaurito il suo ruolo, e la stessa scelta di portare ai timoni di diverse fiere delle figure che hanno agito più in un ambito curatoriale che in quello del mercato, sembra essere un segnale decisivo di questa necessità. Con ArtO’ abbiamo lavorato proprio su queste nuove condizioni, creando una rete di curatori sparsi nel mondo che stanno collaborando alla formazione di una mappa formata da varie aree geografico-tematiche. Ogni curatore ha scelto un’area di propria competenza e sta selezionando le gallerie da invitare, indirizzando la scelta degli artisti e delle opere. Le loro ragioni si leggeranno in catalogo, nei testi critici introduttivi a ogni sezione. Avremo anche una selezione di gallerie dedicata alle nuove sperimentazioni digitali e ai nuovi media, di cui si sta occupando Marco Mancuso e il suo team di Digicul.it.
Gallerie. Quante?
Le gallerie saranno settanta e stiamo cercando un buon punto di equilibrio tra il numero delle gallerie italiane e quello delle internazionali. Un aspetto al quale collaborerà anche la commissione consultiva che si sta formando.
Il menù degli eventi collaterali?
Nessuna mostra collaterale. Nessuna teoria di mega o mini installazioni. Le opere sono negli stand. Quello che invece vogliamo offrire è un ricco e nutriente programma di talk, lecture e incontri. In fiera, al fianco delle gallerie, ci saranno i desk informativi di alcuni dei musei europei più innovativi, e sarà interessante ascoltare, dalla viva voce dei loro direttori e curatori, i programmi e le metodologie espositive alle quali stanno lavorando. Nella stessa area dei musei ci saranno anche i desk delle riviste più impegnate a un’informazione che è anche dibattito, ed editori di saggistica dedicata all’arte a cui chiederemo di contribuire al laboratorio di idee che intendiamo mettere su nei tre giorni della fiera. Un laboratorio in cui si parlerà di modelli espositivi, di crisi, di idee, di collezionismo e fondazioni, ma anche della nuova realtà degli spazi non profit che stanno nascendo in Italia e in Europa.
Una fiera seriosa…
Ci saranno anche diversi festoni, naturalmente, che allieteranno e festeggeranno ArtO’.
ArtO’, come lo scorso anno, si svolgerà in contemporanea a RomaContemporary. Voi nel quartiere dell’Eur, loro nel centro storico: Roma è matura per la presenza di più fiere contemporaneamente? Esiste un pubblico che giustifichi un’offerta diversificata?
Roma è matura per quello che gli si offre. Intendo dire che è una capitale che in questi anni ha dimostrato una reattività straordinaria in seguito alla nascita dei musei, dei festival e dei molti eventi crossing che l’hanno animata, e che speriamo proseguano. Sono nate gallerie, alcune vi si sono trasferite da altre città. Sono state create fondazioni, centri non profit, e anche il collezionismo è aumentato proporzionalmente, e quello già esistente si è meglio indirizzato. La scena artistica e curatoriale è cresciuta in modo straordinario. Roma è una città che ha una realtà internazionale unica in Italia, dovuta alla sua storia, alla sua condizione di centro politico, alla sua disponibilità culturale, dove non a caso gli Istituti di Cultura stranieri svolgono un’attività di livello altissimo. Se Berlino, Parigi e Londra hanno diverse fiere, non vedo quale sia il problema per Roma. I numeri ci sono per sostenere un doppio evento. Io ovviamente non so quali sono i programmi di The Road, ma da quanto si è visto lo scorso anno, mi sembra che la fiera organizzata da Roberto Casiraghi abbia altri obiettivi e strategie rispetto ad ArtO’. Una differenza di cui si gioveranno senza dubbio il pubblico e i collezionisti.
Come riuscirete a portare la gente in fiera? Quali saranno gli stratagemmi che invoglieranno il pubblico a recarsi in una location considerata decentrata?
L’Eur è un luogo suggestivo e dalla memoria letteraria e cinematografica a dir poco unica. Certo, Roma è molto grande, ma l’Eue si raggiunge comodamente con la metropolitana e in macchina, tra l’altro ci sono dei grandi parcheggi, un vero e proprio lusso a Roma. Ma per migliorare e rendere più comodo l’afflusso del pubblico abbiamo anche istituito un servizio di navette, che faranno la spola tra piazza Venezia e il Palazzo dei Congressi negli orari d’apertura della fiera. Tra l’altro sulle navette accadranno cose che introdurranno ad ArtO’. Abbiamo poi stabilito una partnership strategica, e in esclusiva in Italia, con la Turon Travel di New York, un’organizzatrice storica dei viaggi dei collezionisti internazionali che vanta collaborazioni con fiere come Art Basel, Frieze, The Armory Show, Paris Photo e molte altre sparse nei quattro continenti. Avremo poi un programma collezionisti italiano e con particolare attenzione a quello romano, curato dalla Wip di Roma di Giuliana Lamanda e Georgia Vitetti Martini. Non ultimi ci sono i nostri media partner, che ci aiuteranno a diffondere le notizie sulla fiera e a stimolare il pubblico a visitarla. Dal canale televisivo satellitare Media Box alla televisione romana Romauno.tv, alla radio Roma Città Futura, che trasmetterà direttamente dalla fiera.
Una crisi economica con pochi precedenti sta lambendo anche i confini del mondo dell’arte. Nell’organizzazione della fiera questo sta influendo in qualche modo? Come?
A causa della crisi ho dovuto sospendere l’edizione 2008 di V_Venice Videoart Fair. Ma come ho già detto V è una fiera che riguarda una nicchia molto specifica di mercato, e non ho voluto creare una situazione di dislivelli vari dentro una fiera così piccola. Tra l’altro era già mia intenzione renderla biennale, e ho quindi colto al volo l’occasione. Per ArtO’ la questione è diversa. Senza dubbio tutti stiamo facendo, e faremo, i conti con la situazione. Ma io vedo anche gli aspetti positivi. Innanzitutto una moderazione dei costi delle fiere, cosa che ArtO’ ha già fatto, e soprattutto una maggiore attenzione ai contenuti e alla tipologia delle proposte. Una selezione naturale delle fiere sarà obbligata, ma forse era anche giunto il momento perché questa cosa avvenisse. Roma è una piazza molto importante e ambita, soprattutto all’estero, e i segnali che infatti mi arrivano sono positivi. A questo aggiungerei che il mercato dell’arte in Italia non ha vissuto degli eccessi e delle speculazioni che per esempio hanno caratterizzato Londra, e io credo che il medio-alto collezionismo italiano, fatto perlopiù di appassionati attenti e cauti, questa volta ci giochi a favore. Fermare le macchine sarebbe un suicidio, dunque avanti piano ma avanti.
Il budget per mandare avanti una macchina come ArtO’?
Alto. Molto più di quello che immaginavo. Un ottimo esercizio di gestione.
Ritieni adeguato per i tuoi scopi di direttore di fiera uno spazio come il Palazzo dei Congressi?
Il Palazzo dei Congressi è ancora oggi un’opera architettonica di grande attualità. Lavorare negli spazi puliti e netti di Adalberto Libera, tra gli affreschi di Funi e i pannelli di Severini, ti dà la misura di come l’arte e l’architettura italiana abbia conosciuto livelli d’eccellenza in tempi bui. Una condizione che forse ci è congeniale, ma con la quale speriamo proprio di non doverci nuovamente confrontare.
Ti sei circondato di una vispa ciurma di giovani professionisti. Chi sono e in che ruoli li hai impiegati?
In effetti è una situazione straordinaria, stimolante e che mi rende particolarmente orgoglioso. Prima di ArtO’ ho sempre pensato che lavorare in team, collaborando con più persone, fosse una metodologia tanto auspicabile quanto poco possibile in Italia. Mi sbagliavo. Parto dal mio staff ristretto, formato da Chiara Vigliotti, responsabile degli inviti ai musei, e da Chiara Nicolini, responsabile degli inviti ai magazine e agli editori, passando per le citate Giuliana Lamanda e Georgia Vitetti Martini, e la preziosa Sibilla Musiani che segue direttamente le gallerie, continuando con Michele Elia e Valeria Crociata dello Studiolow, che hanno ideato logo e immagine di ArtO’ e che collaborano anche ad altri aspetti della fiera. Oltre al team di Digicult.it, c’è il gruppo di curatori (una decina di collaboratori sui cui nomi preferisco ancora mantenere il riserbo), che sta lavorando alla selezione delle gallerie e che rappresenterà anche in catalogo l’aspetto più peculiare della fiera. Per finire con lo Studio Pesci di Federico Palazzoli, con cui collaboro ormai da qualche anno, e con il quale c’è ormai un grande affiatamento.
Work in progress!
Sì, la cosa bella di quello che sta avvenendo è che si tratta di un vero work in progress, con nuove collaborazioni che si vanno aggiungendo giorno per giorno, e quindi nuove idee che stanno arricchendo ArtO’.
Consideri questa edizione già una edizione “a regime” o si tratterà per te di una fiera di assestamento per poi proporre la ‘tua’ idea piena nel 2010?
Vedo sempre margini di miglioramento e qualcosa che avrei potuto fare meglio. È poco un mese che lavoriamo ad ArtO’, e abbiamo lavorato anche quattordici ore al giorno per concepire e realizzare l’impostazione generale. Solo per una questione di tempi, e per il fatto che la crisi finirà, è certo che la prossima edizione sarà migliore, ma sono sicuro che già questa del 2009 restituirà un’identità chiara e precisa.
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a cura di massimiliano tonelli
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Spero che in un contesto così "rappresentativo", possa aumentare esponenzialmente anche la visibilità degli artisti italiani.