Ci siamo. Nel sito de-costruito, de-pauperato, dis-idratato
di Fiera Milano City torna
MiArt, con il suo carrozzone di merci e mercanti, curiosi e
curiosità. E curiosa è senza dubbio la cadenza temporale, con l’evento che si
apre ufficialmente nel giorno dello spegnimento della campagna elettorale per
le furibonde regionali delle liste dopate. E già scatta il toto-politico, si
accettano scommesse sulla quantità di candidati al Pirellone che fingeranno la poesia
per incassare un passaggio fuor di par condicio sui media locali.
C’est la
vie.
Ma come ormai a Milano accade per i grandi eventi che
frullano cultura, danari e mondanità, dal Salone del Mobile alla Settimana
della Moda, più che il fatto in sé si carica di aspettative il suo contorno, il
contesto che sfarfalla intorno alla luce accesa dal weekend fieristico.
Abbandonata la fortunata, anticonformista
ri-polarizzazione della zona degli eventi paralleli e collaterali, lo scorso
anno caduta in Zona Ventura – negli ultimi tempi casa per gallerie più o meno
giovani, spesso coraggiose o quantomeno divertenti – si torna all’antico.
E a
Zona Tortona, premiata area da Fuori Salone che, tra Supertudio Più e dintorni,
accoglie quest’anno
(con)Temporary Art, cartellone di appuntamenti nel formato simpatico bollito
misto con salse varie, di tutto un po’, tra la selva di esposizioni, le
presentazioni di testi e performance, gli omaggi (occhio a quello a
Gillo
Dorfles), perfino
la prova attoriale di un Abo
formato Heath Ledger nel
Don’t forget the Joker pensato da
Adrian Tranquilli, cortometraggio con il quale
l’artista integra la propria riflessione su Batman e dintorni.
Tra le curiosità, lo sguardo è rivolto oltremanica, chissà quanto
coscientemente alla ricerca di nuovi Young British Artist: considerato che la
prima ondata, qualche anno fa, di soldi ne ha mossi non pochi, vuoi mai il
giochino funzioni di nuovo. E allora preparatevi alla personale di
Banksy, lo sfuggente J.T.LeRoy della guerrilla
art inglese – speriamo per lui più profondo e meno truffaldino del finto
romanziere americano – che arriva a Milano con le sue provocazioni Street Art,
le virali dissacranti grafiche molto
riot, la capacità di creare un’atmosfera dove la
traduzione del vissuto segue davvero nuovi linguaggi espressivi. Eh sì, visto
che pure lui, come i papà del trip-hop, giunge da Bristol, viene da chiedere
cosa gli diano da mangiare ai ragazzini, da quelle parti.
Oltre a Banksy (e alla miriade di proposte offerte dal doppio circuito di Twister e StarMilano, con aperture straordinarie fino alle 22 nella serata di sabato), attenzione all’infornata di albionici da
Assab One, dove in
Wonderland si raccoglie il lavoro di 14 nuove proposte in arrivo da
Londra. Si passa dalle “acconciature” di
Alice Anderson, che porta avanti un lavoro
decennale centrato sui capelli, attraversando i grafismi di
Boo Saville, per arrivare agli
object
trouvé di
Bridget
Hugo, già di
passaggio all’ultima Biennale.
Chiudiamo il cerchio là dove l’avevamo aperto: dici
politica e provi a dimenticarti gli analcolici figuri locali immergendoti
nell’immaginario di
Shepard Fairey, eternato nell’immortalità che ha donato all’immagine di
Barack Obama, e anche lui in mostra in zona Tortona. Arte e comunicazione, arte
è comunicazione. Arte e politica, arte è – anche – politica. Tutto questo sarà,
forse, MiArt.