Il 2007 è stato l’anno del “grand tour”, col succedersi di eventi come la Biennale di Venezia, Documenta a Kassel e lo Skulpturprojecte di Münster. In mezzo, tassativo, l’appuntamento con una fiera, anzi con la regina delle fiere, che anche quest’anno ha aperto i battenti poco dopo l’inaugurazione della kermesse veneziana: ArtBasel.
Dal 10 al 14 giugno la città svizzera ospita come sempre un numero esorbitante di opere e progetti, e potrebbe essere utile riflettere su come ormai due eventi così diversi, come la Biennale e “la” fiera, spesso condividano strategie, pubblico e artisti. Il programma di ArtBasel 40 parte dalla sezione più prettamente commerciale per offrire al pubblico la possibilità di assistere a iniziative di grande rilevanza e conoscere interessanti progetti curatoriali.
E, su oltre duecento gallerie coinvolte, sono poco più di una ventina le italiane, impegnate nelle sezioni Art Galleries, Art Premiere, Art Statements e Art Unlimited.
Quest’ultima è la più spettacolare: la fiera si libera della griglia di stand che la caratterizza, mettendo “in vetrina” opere che per motivi logistici o concettuali non possono che essere esposte in grandi spazi e che richiedono una partecipazione attiva dello spettatore,
come quello di
Giovanni Anselmo (sotto l’egida di
Tucci Russo),
Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più mentre la terra si orienta, un’installazione simile a quella presentata la scorsa Biennale, orientata da un ago magnetico e i cui blocchi di granito hanno lo scopo di innalzare lo spettatore al cielo.
Il lavoro di
Nedko Solakov (dalla scuderia di
Massimo Minini),
A Beauty, è invece composto da un oggetto oblungo ricoperto di morbido pelo artificiale: lo spettatore sarà invitato ad accucciarsi per poterne scrutare l’interno attraverso un’apertura.
Hans op de Beek (
Galleria Continua) invita a sperimentare il suo teatro di paesaggi senza fine, mentre
Vincenzo Castella (
Studio La Città) propone un viaggio nell’inconscio della città di Milano attraverso la cronaca recente che la riguarda.
Untitled di
Nathalie Djurberg (qui nella scuderia di
Giò Marconi) è invece formata da due strutture lignee i cui rivestimenti, rispettivamente feltro scuro e un materasso bianco, fungono da supporto per la proiezione di due film,
Putting Down the Prey e
The Rhinosaurus and the Whale, che attraverso l’estetica grottesca tipica dell’artista svedese raccontano due storie in cui la ricerca d’amore e protezione si rivela il punto focale. Anche la Biennale ha ospitato quest’anno un suo lavoro: una grande installazione – che le è valsa il Leone d’argento – con tre film che rappresentano un Giardino dell’Eden degenerato.
Gli stand riappaiono nelle sezioni Art Premiere e Art Statements, più incentrate su progetti curatoriali. La prima dà la possibilità al gallerista di concepire una piccola mostra personale, presentare opere di eccezionale rilevanza o dialoghi tra due artisti. Quest’anno, ad esempio,
Tucci Russo accende i riflettori su
La Casa Abbandonata di
Mario Merz, una scultura che si compone dei vari elementi di una stanza, a volte fisicamente presenti altre richiamati dalla pittura, con l’obiettivo di creare “un’opera d’arte totale”.
La grande dame dell’arte
Lia Rumma crea un link con la 53. Biennale portando oltralpe
Violated Bars di
Gino De Dominicis, stella anche del
Making Worlds lagunare firmato Daniel Birnbaum.
Art Statements si terrà in una struttura espositiva progettata dallo studio d’architettura
Steinmann & Schmid, simile a quella degli stand ma con maggiori capacità di adattarsi alle esigenze degli artisti. La sezione ha cambiato negli anni il nome, ma conserva l’obiettivo di promuovere progetti di singoli giovani:
Francesca Kaufmann ospita
Principio di
Gianni Caravaggio, un ideale sistema di sfere elementali colte in uno stato di quiete, ma i cui movimenti sono riconoscibili nelle tracce presenti nel grande blocco di marmo nero,
Testimone, e sui muri.
Vincitrice lo scorso anno del prestigioso Premio Baloise con il progetto di
Tris Vonna-Michell, la partenopea
T293 presenta
A Good Idea is a Good Idea e la “proiezione sonora”
The Art is a Loneley Hunter di
Dan Rees, che divide lo stand in due parti, disseminando nella prima una serie di d’après dei grandi del Novecento, dipinti sulle copertine del
White Album dei Beatles. Nella seconda invece, chiusa e accessibile attraverso una porta, un’installazione composta da due proiettori in 16mm riproduce suoni di strumenti suonati dall’artista. Da Napoli arriva anche
Giangi Fonti con
Seb Patane, catanese di nascita ormai naturalizzato londinese, connotato da una forte matrice politica e da un sapiente uso del vintage e di foto d’archivio.
Biennale e Fiera sembrano inoltre accomunate anche dalla capacità di alimentare un corollario di eventi correlati: i padiglioni esterni della Biennale e le fiere parallele, le conferenze, le mostre e i progetti curatoriali che “assediano” le due città sono innumerevoli.
Oltre ai consueti Public Art Projects, tra i quali è possibile trovare un’opera di
Gabriel Kuri, rappresentato da
Franco Noero, quest’anno l’evento più spettacolare si tiene all’interno del teatro di Basilea: per
Il Tempo del Postino, i curatori Hans Ulrich Obrist e
Philippe Parreno, insieme ad
Anri Sala e
Rirkrit Tiravanija, hanno chiesto a svariati artisti di creare opere individuali della durata massima di quindici minuti. Tra gli altri,
Tacita Dean,
Olafur Eliasson,
Tino Seghal e
Liam Gillick, presente anche nel Padiglione tedesco ai Giardini, partecipano al progetto.
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Un consiglio x tutti..leggetevi Amore a Venezia e Morte a Varanasi di Dyer e forse dei galleristi apriranno una palestra,collezionisti rivenderanno opere per farsi plastiche e lifting e parecchi artisti prenderranno la dissenteria che li prosciughera' della loro immensa vena creativa..magari.