Lo zebrato stand di Pio Monti accoglie lo
spettatore che proviene da Piazza Costituzione. Il richiamo al b/n sottolinea
il progetto dei ritratti d’artista di Elisabetta Catalano, a ognuno dei quali viene
associata una piccola opera. Leziosità anticonformista. Girato l’angolo appare
accampata Conduits di Gea Politi: usa l’esterno di una parete
dell’illustre collega confinante per esporre a rotazione una selezione dei suoi
artisti. Da segnalare i suggestivi, piccoli notturni del 2006-07 di Ann
Craven, nota per
le sue tele di genere, specie quelli con cardellini, pettirossi e pappagallini.
Nel duello per lo stand più vistoso vince la torinese Narciso
con i suoi colori acidi, la quale però presenta un allestimento davvero
originale, associando le opere storiche della ricerca retrospettiva di Graham
Sutherland a
scudi, maschere e prue di piroghe dalla Melanesia. L’effetto è tutt’altro che
stridente.
Il weekend di Art First è stato caratterizzato
dall’abbondante nevicata. Non senza un pizzico d’ironia, Sprovieri mette
sotto i riflettori una grande tela ovattata dei coniugi ucraini Kabakov, della serie Under the Snow. E a proposito di coppie è curiosa
invece l’associazione fatta dalla milanese Galica: dalla parete di fondo
spuntano i libri di Alicia Martin mentre in primo piano emerge dal pavimento il periscopio
arrugginito di Marco di Giovanni. Un’immagine fantastica che sembra richiamare Jules Verne.
Chissà se volontaria, ma vien da pensare che sulle tecniche espositive
dell’arte in fiera qualcuno potrebbe montarci una teoria: meglio l’attrazione
dei grandi nomi o lo specchietto delle allodole del monumentale? Meglio la
carta della teatralità o quella dello scandalo? Galica (e altri) dimostrano che
si possono cercare anche strade più sofisticate.
La londinese Carpenter Workshop si colloca al
confine tra arte e design, con un gusto gotico e ironico: si va dai mobili
invasi da racemi di Vincent Dubourg (Napolen à Trotinette) alla collezione di bastoni con pomello a teschio
di Lionel Scoccimaro.
A Padova va di moda il Sol Levante. Perugi ha ormai
attrezzato un vero avamposto giapponese e allora ecco i nuovi totem di Fumiko
Kobayashi,
squillanti e abnormi stratificazioni sintropiche, e i collage fotografici di Kensuke
Koike, originale
serie di autoritratti declinati nelle forme dei cento demoni descritti nella Parata
notturna scritta
da Toriyama Sekien nel XVIII secolo.
Interessanti le sculture di Vanessa Henn presentate da Sturm e
realizzate rimontando pezzi di corrimano modanati, come pure le foto del
celebre fotografo africano Pieter Hugo (da Extraspazio). Nella nuova serie Nollywood è alle prese con l’industria
cinematografica nigeriana confermando un innegabile talento.
Sempre sul fronte della fotografia, da Guidi &
Schoen si svela il voyeurismo disincantato di Richard Kern mentre attinge alla tecnologia Giacomo
Costa per
immaginare i suoi lussureggianti paesaggi futuribili. Alla tecnologia attinge anche
Tony Oursler
per animare Lincoln sulla proiezione di una banconota da 5 dollari (da Byblos).
Citazione infine per Carasi e per le sculture (?)
dello svedese Michael Johansson, la cui ricerca concettuale, neanche a dirlo, esplora i
territori del design. Qui sono esposte una serie di compatti agglomerati di
oggetti, scelti per affinità cromatiche e logiche ma soprattutto per le
dimensioni compatibili con uno spazio dato.
A Bologna l’arte storica del Novecento è sempre punto di
forza. Anche questa edizione non tradisce le attese.
L’apertura d’obbligo è per Claudia Gianferrari,
mancata alla vigilia della kermesse. Lo stand celebrativo è riservato a tre
sole opere museali di Martini, Sironi e Pirandello e ricorda anche la donazione
fatta al FAI di 44 opere della sua collezione per Villa Necchi Campiglio.
Passando oltre, Tega offre diversi spunti
interessanti. Cronologicamente si parte dalla bella immagine censurata da due
tele sovrapposte di Giulio Paolini (Antologia, 1974) per poi scendere alla splendida Trebbiatrice (1953) di Birolli fino all’onirico Olandese
volante (1945) di
Licini e
addirittura a un Senza titolo (1919) di un Kandinsky nella piena maturità astrattista.
Mazzoleni si attesta sulla linea di metà Novecento
con Dorazio,
Capogrossi e
Hartung. Bello
l’accostamento dei Vedova cubisti con quelli espressionisti di qualche anno più
tardi.
Studio Guastalla e Biasutti duellano con due
splendide opere di Wilfredo Lam del ’69: difficile stabilire un vincitore anche se
Biasutti mette sul piatto un interessante, seppur tardo, Victor Brauner (1957).
Da segnalare, tra le proposte di Antologia, gli
inchiostri e le incisioni di Adolfo Wildt, davvero interessanti, mentre a titolo d’esempio
per l’alta qualità delle opere presentate dalla milanese Blu scegliamo
la Baigneuse
di Braque del
’29. Gustoso siparietto ha avuto qui come protagonista un piccolo Picabia, il cui prezzo ha spinto
l’elegante collezionista di turno a commentare: “Caro signore, lei a questa
cifra il Piacabia se lo porta nella tomba come Tutankhamon”. A pensarci bene, in tempi di
crisi, come incubo del gallerista non è male: restare tumulati nel proprio
stand circondati del proprio prezioso corredo funerario.
CLASSICO CONTEMPORANEO
Anche la contemporaneità ha il suo classicismo. Un esempio
è il bellissimo occhio del sovraesposto Penone del ’73: una sola diapositiva,
proiettata su una sagoma di gesso. Semplice ma efficace la proposta di Di
Meo. Dello stesso artista una bella scelta la proponeva Tucci Russo,
che gli ha avvicinato dei legni dipinti di Richard Long, offrendo un impatto decisamente
all’altezza, giusto complemento per la grande installazione del maestro della Land
Art presentata da Lorcan O’Neill.
esotiche. Tra quelli che certamente resteranno c’è almeno l’indiano Subodh
Gupta. Dal
progetto There is Always cinema del 2008 è la scultura presentata a Bologna da Continua,
moltiplicazione di un apparecchio cinematografico nelle sue copie in nichel e
ottone.
Da Trisorio Lawrence Carroll chiama l’amico post-minimal Steve
Riedell a
dialogare con le sue tipiche opere sulla memoria e Spalletti non disdegna la compagnia.
Tra le opere più recenti di Marina Abramovic c’è The Kitchen V, video ispirato esposto da Lia
Rumma nel quale l’artista tenta faticosamente di sostenere immobile una
pentola colma d’acqua. Lo smalto è il solito, stona un po’ l’eccesso
tecnologico, tv al plasma e blu ray, decisamente troppo Bill Viola.
Classico tra i classici è Jörg Immendorf, probabilmente uno degli artisti
più influenti sulle ultime generazioni europee, per la sua capacità di indagare
con profondità e ironia la nostra storia recente. Cardi Black Box è
riuscita a organizzare recentemente un’intera mostra delle opere recenti del
grande maestro, mancato nel 2007.
MONOGRAFICHE
Alcune segnalazioni meritano i progetti monografici o
tematici. Torbandena ha presentato un omaggio a Music ripercorrendone la carriera, Sapone
esponeva un’ampia selezione di Hartung ma le cose di maggior qualità erano senza dubbio
le carte degli anni ’50.
Davvero completa la personale di Salvo allestita da Depart, che
ne documentava l’intero percorso, dal periodo concettuale e poverista di fine
anni ’60 sino al recupero della pittura degli anni più recenti: evidente la
grande ispirazione degli anni ’80 che via via si trasforma in maniera.
Sull’astrazione geometrica degli anni ’50 si è concentrata
Cardelli e Fontana, offrendo una panoramica tra Mario Radice e Attanasio Soldati, Crippa e Korompay, operazione non solo didattica ma
anche un propositiva per un collezionismo intelligente.
Venendo al contemporaneo stretto il miglior solo show è
stato senza dubbio quello proposto da Bortolami. Lo stand era invaso
dalle transenne placcate oro 24k e matasse di filo spinato in vetro di Murano
di Aaron Young.
L’artista di San Francisco traduce qui in materiali preziosi elementi urbani
normalmente impiegati come strumenti di divisione e isolamento.
PICCOLO È BELLO
C’è chi sostiene che troppo spesso in fiera finiscono
opere minori o scarti di magazzino. Invece può essere divertente scovare tra
gli stand piccoli gioielli. Da Anna d’Ascanio, ad esempio, erano esposti
un piccolo totem di Mirko Basaldella e un cammeo di De Dominicis.
Di ridotte dimensioni, rispetto alla vocazione monumentale
consueta, sono i cubi di cemento armati di punte di Staccioli, opere degli anni ’70 esposte da Niccoli.
Da Studio Gariboldi incuriosiva una semplicissima
sovrapposizione di carte trasparenti realizzata da Lo Savio (Luce ’60) mentre Fumagalli
presentava in anteprima un interessante progetto dedicato a Uncini: solo opere su carta del principe
dei cementi. Allo stand si vedevano alcune splendide e inedite tecniche miste
con terre applicate, di epoca storica.
Ma il premio di questa sezione va senza dubbio al minuscolo
ma ispiratissimo Merzbild assemblato da Schwitters nel ’24-’25 ed esposto da Blu.
SCOPERTE E RISCOPERTE
Tra le possibile riscoperte mettiamo la pittura alchemica
di Marco Gastini.
All’artista piemontese, mezzo secolo di intensa carriera internazionale alle
spalle, Lo Scudo ha da poco dedicato una personale, di cui in fiera ha
esposto una selezione.
Interessanti e ancora attuali sono pure le sculture di Ettore
Colla, mostrate
da De Crescenzo e realizzate con ferri di recupero e dall’afflato
organico e ibrido. Proposte da Gariboldi, Repetto e Visconti
erano le opere di Vincenzo Agnetti, uno dei maggiori artisti concettuali del nostro paese;
in particolare ricordiamo Interspazio 70, un feltro inciso a fuoco e dipinto dal testo
particolarmente pregnante: cascato / di proposito / abbandonato / a / luoghi
primitivi / caduto / e / divorato / dalle circostanze.
Un immaginario suggestivo ed evocativo emerge dagli scatti
di Davide Tranchina. Le sue navi fantasma e i buchi neri geometrici in cieli stellati
visti da Nicoletta Rusconi dimostrano una grande ispirazione.
origine antropologica di Louise Nevelson mentre Otto di Bologna ha rilanciato la
pittura smaterializzata di Tirelli e allo stand de L’Elefante spuntava un trittico di
Gina Pane dal
titolo Psiche
(1974). Passando per il bronzo di Somaini del ’51 visto a Il Chiostro, sul fronte
delle generazioni più recenti si segnalano il grande successo di Rashid
Johnson, artista
americano sponsorizzato Rubell Family e presentato da Annarumma404, e lo
splendido bronzo di Alex Pinna proposto da Ronchini. La vena ironica e fiabesca
dell’artista ligure sembra assumere nella maturità una disincantata deriva
metafisica, tra Beckett e Pirandello.
EQUILIBRIO
Nonostante il contesto commerciale della fiera, in alcuni
casi le gallerie si impegnano a ricercare equilibri estetici o concettuali
negli allestimenti che meritano di essere segnalati.
Decisamente riuscito, ad esempio, è stato lo stand di Rizziero,
che alternava foto storiche e di qualità di Ghirri o Giacomelli con una dosata proposta di
artisti transavanguardisti, riequilibrati con i toni minimal di Spalletti o Castellani, nei quali si incastonavano camei
di Francis Alys e
Domenico Bianchi.
Un ampio spettro di proposte ma giocato in punta di fioretto.
Anche lo scorcio può essere indovinato: da Amedeo Porro,
ad esempio, il nudo bronzeo di Viani si stagliava sul fondo dell’Homme assis del ’66 di Gnoli: due opere stupende, ma anche un
felice dialogo.
Allo stand di Pack si poteva osservare la piccola e
provocatoria installazione di Andrej Molodkin a patto di sottostare al giudizio
degli sguardi di una schiera di scimmie impagliate fotografate da Kulik.
Selezione di opere felice è stata anche quella della
veneziana Michela Rizzo, quasi millenaristica a pensarci: qua il
progetto filologico di Franco Vaccari sulle opere di Man Ray e Duchamp, là i lapidari The End di Fabio Mauri e in mezzo il virtuosismo in
disfacimento delle maschere marmoree di Barry X Ball.
Ultimo cenno per Studio la Città e per il gioco dei
contrasti innescato dai piccoli e minimali cubi di cera di Stuart Arends fiancheggiati dalle accumulazioni
pop di Nick Cave
e dal teatrale mostro di stracci di Anna Galtarossa.
GIOVANI
le gallerie della sezione dedicata. The Gallery Apart presentava una
recente serie di foto rovesciate di Gea Casolaro. Non fosse per le dimensioni,
ricorderebbero un po’ le foto trovate e ribaltate da Monk. Della torinese Glance
incuriosivano soprattutto le opere di Paula Wilson, artista con alle spalle un
passaggio da Suzy Shammah e che propone un’originale pittura di sapore
quasi rococò, mentre da AMT compariva, tra la piccola installazione nera
di Michele Lombardelli e i collage di Lucia Leuci, un disegno di Presicce che prelude forse a un nuovo
ingresso nella scuderia della galleria milanese.
Due segnalazioni per l’altra milanese Luger: le
riuscite foto di Nikola Uzunovsky, parte del progetto My Sunshine presentato in Biennale, e l’interessante
immaginario epico di Michael Aerts.
Stand concettualmente complesso quello di Federico
Bianchi, che mescolava l’impegno sociale di Paola di Bello nel documentare le condizioni dei
senza fissa dimora alla rimessa in scena del pubblico di Klein fatta da Bert Theis. Non c’è niente di sbagliato ma
continuiamo a credere che nel dna di questa galleria ci sia soprattutto la
ricerca sulla nuova astrazione (Wolff, Rodzielski e Prina, tanto per non far nomi).
Davvero intense le foto dell’israeliano David Kassman proposte da For Gallery,
mentre da SpazioA di Pistoia si assisteva alla staffetta tra la bella
personale appena conclusa di Chiara Camoni e la prossima di Margherita Moscardini. La trentina Paolo Deanesi
si conferma in crescita anche con le recenti scelte di Ulrich Vogl e Jacopo Mazzonelli mentre un discorso a parte merita
il progetto G.L.O.W., nuovo network tra gallerie di ricerca nato a
Milano e che comprende, tra gli altri, Allegra Ravizza, Nina Lumer
e Jarach Gallery. La mission è sostanzialmente la cooperazione
nell’ambito di obiettivi condivisi (progetti, partecipazione a fiere,
condivisione della promozione). In una città dove già è presente Start, un
segnale chiaro della necessità di una sempre maggiore ricerca di sinergie
contro il tradizionale individualismo delle gallerie d’arte.
CONCLUSIONE
Un’edizione nella quale non sono mancati gli spunti, ma
che ha costretto il pubblico a una ricerca faticosa. Della lacunosa segnaletica
si sono lamentati un po’ tutti. Aggiungeremmo che il mischione classico e
contemporaneo, al di là dei buoni intenti, ha finito per aumentare lo
spaeamento e ha acuito la frustrazione di alcuni, finiti fuori contesto. Una
doverosa bocciatura per la zona delle giovani gallerie, anche quest’anno
relegate in una sorta di labirinto claustrofobico, con appendice nel
padiglione. Non l’ha ordinato il dottore che in una fiera deve starci per forza
la sezione giovani. Men che meno in una fiera tendenzialmente tradizionalista e
generalista come Bologna, che vanta di rappresentare l’eccellenza del mercato
italiano. Ma sarà proprio vero? Lo è certamente sul fronte dell’arte
contemporanea storicizzata. Lo è molto poco, almeno quest’anno, sul fronte
delle nuove generazioni. Bastano i nomi delle assenze eccellenti a dimostrarlo:
Massimo De Carlo, Kaufmann, Guenzani, Noero e, tra
i giovani, Zero…, T293 o Monitor… Insomma, una buona
fetta dei nostri portabandiera all’estero, forse reduci da una presenza
dispendiosa e non entusiasmante a Miami.
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Il punto di centrale di questo articolo di alfredo sigolo su arte fiera 2010 è la mancanza di riferimenti culturali a cui aggrapparsi per ridefinire valori (di gusto e di mercato) più reali e meno illusori della bolla speculativa passata. Per definire tali riferimenti serve un confronto di contenuti. In italia, ma non solo, la critica e il confronto critico sono elementi assopiti. Di contro la proposta artistica sembra semplicemente affaticata e spuntata. Ultimamente credo che ci sia anche un problema di selezione degli operatori dell'arte in italia. Il settore è socialmente poco appetibile, i cervelli migliori si impegnano in altro, l'arte (sto generalizzando) viene scelta per esclusione.
Guardate e leggete questi pochi riferimenti alla biennale a costo zero:
http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=30484&IDCategoria=1
Mi sembra sempre più evidente una crisi del linguaggio, prefigurata fin dalla partenza di whitehouse. Crisi che investe fatalmente anche il ruolo e il format nell'arte contemporanea. Solo in pochi rilevano il problema perchè la maggior parte degli operatori sentirebbe il proprio ruolo messo profondamente in discussione. E non mi sorprende che quelli più in difficoltà siano i giovani operatori (artisti, curatori, critici, galleristi ecc). Questi giovani sono già abbastanza bombardati dalla precarietà e quindi faticano maggiormente (e paradossalmente) nel mettersi realmente in discussione. Costoro possono stare tranquilli, non si tratta di distruggere la loro identità o il loro ruolo; piuttosto ridefinirli. L'alternativa è una noiosa burocrazia della creatività, che arriva all'autolesionismo delle biennali a costo zero.
Badate bene. La mia operazione non è distruttiva e "critica" fine a se stessa. Mi sembra evidente una proposta alternativa. Alternativa che chiunque potrebbe percorrere. Per molti osservatori è molto più semplice non vedere e continuare a "tenere duro". La cosa risulta veramente poco divertente e sterile, soprattutto per loro. La strada più rassicurante e meno scomoda è destinata ad essere un cerchio. La scomodità è una richezza perchè permette di vedere e sviluppare le urgenze, immuni ad ogni scomodità.
Meraviglioso i tre pezzi di Gina Pane dell'Elefante. Mai visto nemmeno in un museo.
Meritava a mio avviso una citazione anche Mario Mazzoli, che aveva alcuni pezzi di giovani artisti molto belli.
La recensione sembra quella di Artissima! Alfredo vede solo con un occhio e snobba il resto con sdegno. Sigolo crea un manifesto impegnato a negare la realtà artistica. Sperone, Marella, Forni, Voss, Bonelli..., queste erano le gallerie da non perdere.
Non è questo il momento di discutere sull’oggettività dei giudizi e opinioni.
E’ sempre difficile fare dei resoconti su grossi eventi
della portata di Arte Fiera, riuscire a sintetizzare tutto in un articolo
è umanamente impossibile, ma negli interventi di Sigolo
(in questo caso) c’è una costante, quella di dare sembre
il contentino ai più forti. Succede anche nelle sue recensioni su Flash Art.
Sarei curioso di vedere la sua collezione (quella comprata con i suoi soldi)
per capire se veramente si metterebbe a casa, certe opere che nei sui suoi articoli
ritiene degni di nota.
I gentili galleristi di Dep Art ci segnalano per l'appunto che così si chiama lo spazio, e non Depart come abbiamo riportato.