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fiere_resoconti Artissima fa 13
fiere e mercato
Tendenze, congiunture e calendari: sono poche le fiere che possono permettersi il lusso di mantenere la propria identità, senza rincorrere l’ultima trovata delle concorrenti. In Italia c’è quella di Torino. La tredicesima edizione di Artissima...
Quest’anno mancava il carico della Triennale, e le carte giocate nelle mostre a latere (gli assoli delle 3 M, Mezzaqui, Mollino, Migliora) somigliavano più a un moto d’orgoglio nazionale che a un vero programma di richiamo international. Mostra della Sandretto a parte, che però, nonostante l’interesse dello screening esotico, non poteva certo sopperire alla mancanza di almeno un progetto curatoriale di respiro.
Con buona pace del prima, dopo e durante di Bonami e del doppio sguardo di Sgarbi (cfr. lo scontro su Exibart.tv), la risposta all’interrogativo di cosa sia contemporaneo, nel bene e nel male, la si cerca pertanto in fiera.
S’è sentito: troppo modaiola. Ebbene se c’è qualcuno che non sia consapevole del fatto che, in una congiuntura di mercato favorevole come quella attuale, l’arte contemporanea sia sempre di più moda, che inevitabilmente il sistema stia producendo il massimo sforzo nel compensare la domanda crescente con un’offerta adeguata, magari a discapito della qualità e della ricerca, alzi la mano.
È il tempo del raccolto e si raccoglie.
Sono pochi, pochissimi gli stand ariosi e gli allestimenti di respiro. Si cerca al contrario di intasare gli spazi, di invaderli con proposte per tutte le tasche. L’horror vacui sta per la paura di tornarsene a mani vuote. Un tempo sarebbe contata anche l’immagine, la visibilità, l’attività di relazione, oggi l’obiettivo è quagliare ad ogni costo. Non basta esserci, bisogna anche restarci e fare. La sensazione diffusa è che, in un momento storico in cui la vera creatività che fa notizia è quella delle strategie di mercato, si stiano giocando le eliminatorie: se una galleria non ce la fa a sopravvivere in un periodo così positivo sul fronte del contemporaneo è assai difficile immaginarla a resistere ad una probabile, inevitabile, contrazione.
Dunque, tutti a remare. Difficile dire come sia andata. Generalmente i riscontri di vendite sembrano positivi, ma certo nessun operatore ambisce a guadagnarsi la patente di sfigato.
IL GIRO DELLE GALLERIE
Questioni di moda si diceva. E neanche a farlo apposta ecco subito il bravo Simon Linke che dipinge i loghi di Gucci e Ralph Lauren per Zonca & Zonca. E pare quasi fuori luogo la piccola nuvola impressionista che galleggia sul fondo oro di De Dominicis.
L’emergente spagnola Vacio 9 si permette il lusso di un candidato al Turner Prize come Mark Titchner, con un suo tipico stendardo. Un’emergente di casa nostra, invece, la Luger di Milano, lascia spazio ad suggestiva foto di Bruna Esposito, una bandiera affondata in un mare azzurrino. E ci sono un nuovo scatto del croato Igor Eskinja, tanti disegni dell’outsider Adriana Cifuentes e i ritratti delle gallerie di Chelsea di Louis Molina Pantin (male allestite), presto in trasferta a Torino da Glance, a confermare un’interessante sinergia tra giovani gallerie che vede in lizza anche AMT di Como.
Da Peola ampio spazio al danese naturalizzato romano Thorsten Kirkhhoff ma nel suo piccolo si fa notare la piccola cibachrome su alluminio di Louise Lawler, l’americana che ritrae le opere degli altri.
La veronese Artericambi se ne esce con uno stand di spessore internazionale. Grazie soprattutto alle opere di Steven Pippin, foto e due stampanti olivetti che si copiano a vicenda (Anyway, 2003) e alla partecipazione di Congost nella sezione Present Future.
Per Carla Sozzani c’è una bella selezione dei lavori storici di Francesca Woodman, la cui fama postuma sembra crescere di anno in anno, un sulfureo scatto della svedese Année Olofsson, invece, per Changin Role (Evil Eye). BnD condivide con Reflex le nuove e belle stampe lambda, ritratti dal sapore pittorico, di Erwin Olaf (per fare i pignoli forse troppo prossimi a certi interni di Crewdson).
L’olandese Metis gioca a scopa con la video installazione The Fair Show set up n° 01 del giovane Femke Schaap; Guidi & Schoen si affida ai sempre più imponenti paesaggi da Blade Runner di Giacomo Costa, diventati quasi un biglietto da visita.
Per chi fosse abituato alle fragili composizioni vegetali di Christiane Löhr potrà facilmente immaginare l’estetica degli inediti pastelli esposti da Salvatore + Caroline Ala.
La giovanissima svizzera AP4-Art si presenta con Jelena Tomasevic e le foto di Donatella Spaziani, giunte direttamente dalla personale in corso.
Efficace lo stand di Franco Soffiantino con Rebecca Belmore, Gareth James, Ryan Johnson, già Greater NY, e Kateřina Šedá. La berlinese Isabella Bortolozzi presenta i collage di Christian Frosi, la newyorkese Marvelli non si risparmia le foto di Angela Strasseheim, tra i più ammirati all’ultima biennale al Whitney, mentre Art Concept si gioca i lavori di Jeremy Deller, Turner Prize 2004, qui con una bella installazione per produrre vortici di foglie secche. Azzeccato il tema autunnale.
Nota a margine: a Torino ha imperato la fotografia e si punta pesante sugli artisti emergenti che, intorno alla trentina, hanno saputo calcare prestigiosi palcoscenici internazionali candidandosi a diventare i big di domani. Vale anche per la quasi metà degli espositori stranieri, un segno positivo che in questa fiera (e nel pubblico italiano) credono, risparmiandole gli scarti.
Colombo non retrocede di un passo nel suo impegno per i giovani italiani e qui schiera, tra gli altri, Presicce, Mastrovito, Salvino e Calignano.
La napoletana T293 lascia una parete al croato Nemanja Cvijanovic e al suo finto testamento hitleriano, venduto quasi subito. In uno spazio diviso in due, forse un po’ monotono, spiccano però le opere postproduzioniste del collettivo francese Claire Fontaine. Una prova generale per festeggiare la, solo sussurrata per ora, partecipazione ad Art Basel, in compagnia dell’altra napoletana Fonti e di Francesca Minini, entrambe New Entries anche qui. Che Artissima stia diventando un’anticamera per la prestigiosa kermesse?
Newman Popiashvili squaderna cinque nuovi video di Italo Zuffi, Motive i lavori di Lucy e Jorge Orta, la tedesca Reinhard Hauff dà la ribalta ad un pittore, Frank Ahlgrimm, perfettamente allineato alla nuovelle vague teutonica.
La bolognese Otto torna a Torino dopo anni di assenza: i suoi artisti non sono proprio di primo pelo ma se la carriera conta qualcosa, gente come Marco Tirelli (due Biennali di Venezia, una di San Paolo e un paio di Quadriennali romane, tanto per gradire), nel rapporto qualità/prezzo vince a man bassa su molti giovani che hanno più zeri sul cartellino che righe nel curriculum.
Una delle gallerie più scapigliate di Milano, la Pack, propone un buon video di Jason Middlebrook, piegatori di cucchiai col pensiero, alla maniera dei bambini superdotati di Matrix. C’è anche la scultura con le posate piegate, dall’effetto un po’ didascalico. Molto azzeccata invece la grande foto della nuova installazione di Gianni Colosimo: la galleria tappezzata di biglietti verdi suggerisce quanto certe pareti di gallerie griffate valgano di più di ciò che vi si appende.
Foto di Seydou Keita e lavori classici di Delvoye da Corsoveneziaotto, un grande dipinto ispirato di Manfredi Beninati da Lorcan O’Neill, Tracey Emin a parte.
Sono belli i disegni di Atelier Van Lieshout presentati da Giò Marconi, mentre i lavori di Catherine Sullivan, passati alla Tate e prodotti in collaborazione tra l’Italiana, Metro Pictures e Bastide di Bruxelles, si erano visti nel vernissage collettivo meneghino di Start.
Da Raffaella Cortese Jessica Stockholder, Kim Sooja, Kiki Smith, Rony Horn e T.J. Wilcox girano attorno ai lavori di Marcello Maloberti, sorta di reinvenzione neorealista di oggetti di consumo, cartoline, occhiali, scatole di medicinali, aggregati in forme architettoniche.
Tue Greenfort è la proposta di Zero, uno dei quattro nomi condivisi con König (Assaël, Hein, Sailstorfer), che rilancia lo stesso artista nel Present Future. La potente galleria berlinese, molto Germany oriented, spartisce anche Lisa Lapinski a Guenzani, David Zink Yi a Soffiantino e Jordan Wolfsson a T293. Di italiani però s’è scelto solo quella con il nome meno italiano possibile (Assaël).
Spostandosi ad est, la ceca Jiri Svestka si difende bene con la fotografa Marketa Othova e il giovane pittore Jakub Hosek.
Da Continua la belga Berlinde De Bruyckere: già Biennale di Venezia, l’incombente cavallo ricostruito, presente qui (Corpse, 2006) è reduce dall’ultima Biennale berlinese.
Due segnalazioni per Fabio Paris: i nuovi ritratti dei personaggi da Second Life degli 01.org (tra i vincitori dell’ultimo Premio New York ma soprattutto protagonisti di primissimo piano della net-art) e il gradito ritorno di una vecchia conoscenza, quel Nicola Verlato ormai stabilmente impegnato nella Grande Mela e reduce dalla personale alla galleria Stux con una serie di tornado, non solo di grande qualità tecnica.
Lavori recenti di Santiago Sierra per Prometeo, accanto alla solita Regina Galindo: sorge il dubbio che il presentarla ad ogni fiera sia un test del grado di sopportazione del pubblico.
Ci sono McDonald, Arienti e Marisaldi per S.A.L.E.S. che presente disegni imperdibili di Avery, i nuovi dipinti di Adrian Paci per Kaufmann.
Non mollano l’osso quelli della Leipzig School: la londinese Wilkinson rilancia un nome di peso come Tilo Baumgartel, tra gli eletti di Saatchi.
Traslochi milanesi: Lorenza Boisi passa da Luger a Klerkx. Già pronta la personale in galleria.
Alla pittura Büro Friedrich preferisce il video. C’è quello visto ad Unlimited a Basilea di Jonathan Monk e ci sono le foto dei supereroi della videoartista cinese Cao Fei. Tre dei suoi video sono tra le belle cose della mostra alla Sandretto.
Tutti italiani, vecchi e nuovi, da Astuni: Bertocchi, belli i finti vinili in marmo, Trotta, Kaufmann, Racheli e Calzolari.
Imbottito all’inverosimile lo stand di Marella: peccato per il suggestivo e minimale Gladio di Luca Francesconi (spade di pesce spada che infilzano il muro e rischiano di cavare un occhio all’incauto passante); fanno più scena i cinesi Jiang Zhi (foto) e il motore di ceramica in cassa di Liu Wei (c’entra niente con l’acrobata, quasi omonimo, Li).
Agli stand chiassosi De Carlo ha sempre preferito il tono dimesso: massimo risultato con il minimo sforzo. Qui è con le foto di Elmgreen & Dragset e le pallottole d’oro di Chris Burden; come dire, le briciole delle ultime due mostre in galleria. Minini Massimo, per parte sua, sceglie il poutpourri con Mezzaqui, Kapoor, Mendoza, Arienti, Salvo e Ghirri.
Da Noero spicca Eric Wesley, artista losangeleno attualmente in collettiva al P.S.1 a NY e all’ICA di Londra.
Una sedia di plastica, rotta, riparata alla bell’e meglio (Model Cairo, 2006) è la proposta dello svizzero San Keller per la galleria belga Maes & Matthys. Belga è pure l’artista Gert Robijns, che espone però per la tedesca Art Agents.
Cosmic spartisce Marc Bijl con la greca (Artissima quest’anno era zeppa di gallerie greche) The Breeder, ma spara anche il grosso calibro di Annika Larsson, una sintesi della stagione 2006 per la francese.
Generazioni a confronto: Artiaco mette insieme le Scene di conversazione di Paolini (1982) e i cartoncini del napoletano Raffaele Luongo, dipinti con il proprio sangue.
Fabio Viale è uno dei pochi giovani artisti a difendere le ragioni della scultura nella contemporaneità, quella su marmo di Carrara per giunta. È bravo, nei nuovi Souvenir, finti furti ai danni di celebri sculture del passato, si permette il lusso di fare i dispetti a Michelangelo. Peccato che in fiera si presenti, da GAS, con un lavoro oggettivamente impresentabile, leziosa installazione di aeroplanini su specchio: da pelle d’oca. Genio e sregolatezza, la costanza nel rigore concettuale è il suo limite.
Tanti lavori di Matt Collishaw da Analix Forever e anche uno recente di Sam Durant da Emi Fontana mentre Vitamin si affretta a cavalcare il nuovo mercato indiano con nomi di spicco come Chitra Ganesh e Mithu Sen (Ex-otica a cura di Luca Vona è la collettiva in galleria).
La romana Monitor si conferma: buon lavoro complessivo, un video nuovo della Senatore in fiera, ma soprattutto due acquisizioni nella collezione della GAM di Torino.
1000 Eventi allestisce una piccola sala per Mastrovito, Perugi riserva lo stand ad una personale dei Royal Art Lodge e Di Maggio realizza uno dei suoi stand più belli di sempre, per qualità e rigore: lavori storici di Yoko Ono e le foto di Francesca Woodman.
Interessante anche la proposta di V.M. 21.: Jules Spinatsch, già I° premio a Paris Photo del 2004, attualmente è nella selezione della New Photography al MoMa.
CONSTELLATIONS
È certamente il punto debole dell’edizione di quest’anno. Alla collocazione defilata e periferica si sono aggiunte proposte non sempre all’altezza. Piacerebbe vedere le gallerie più coinvolte sul fronte dell’allestimento di progetti contigui allo spirito dell’occasione fieristica in generale e della sezione in particolare. Belli e famosi Basilico (V.M. 21) e Simon Starling (21 stampe ai Sali di platino) (Noero) ma qui assumono connotati deboli. Invisibile il progetto di Bruna Esposito (Luger).
Alla conta dei fatti uno dei momenti più suggestivi lo regala Elisabetta Benassi con i suoi Mirages, l’altro il giusto tributo alla carriera di Joan Jonas, Mirror Pieces 1969-2004 (Wilkinson). Curioso annotare che le due artiste si ritrovano qui a distanza di tre anni dall’incontro a due all’American Academy a Roma.
NEW ENTRIES
Non passa inosservata la tedesca Figge Von Rosen; d’altro canto avere in scuderia Ed Templeton dichiara la volontà di uscire dagli schemi. Arriva direttamente da Napoli Fonti che, a quanto si dice, conquista anche Basilea: una carriera fulminante.
La torinese Glance, alla prima fiera, gioca subito la magnetica pittura di André Ethier (l’immagine simbolo scelta dall’ultima Scope di Londra) e i misteriosi e comici ricami rococò del giovane americano (1974) Kent Henricksen, Greater New York 2005. Scuderia Derek Eller il primo, John Connelly il secondo. Niente male come biglietto da visita ma aspettiamo un paio di nomi italiani.
Francesca Minini dà spazio alle foto e all’installazione di Jan de Cock, riprendendo il progetto di Start, l’opening collettivo con cui si è aperta la stagione milanese. New Entry qui ma, soprattutto e stando ai rumors, anche a Basilea. Due motivi sufficienti per eleggere la galleria Minini F., nata per partenogenesi dalla storica del padre, la più odiata d’Italia. Per quelle corsie preferenziali che gli altri devono guadagnarsi con sudore e che di fronte lei, dicono, sembrano spalancarsi di diritto.
Eppure Lei lavora da anni con il padre e gli artisti giovani li trattava anche a Brescia. Ok, la sua strada è in discesa rispetto ai colleghi, ma che dovrebbe fare? Rinunciare alla rendita di posizione? Chi, a parti invertite, non peccherebbe volentieri, scagli la prima pietra. Di certo non potrà concedersi il lusso di sbagliare. Costretta a vincere subito.
Detto ciò, piacerebbe vedere le gallerie emergenti del Bel Paese impegnate in progetti e sinergie più intriganti. Invece pare che l’unica cosa che le unisca veramente sia l’invidia per la di lei suddetta. Fate un po’ voi.
PRESENT FUTURE
La novità è sostanziale: si passa dalla selezione di progetti presentati ad una sezione ad invito diretto agli artisti. Ottima e calzante la finta collettiva di finto curatore We are tomorrow, inscenata da Carles Congost (Artericambi) come operazione critica nei confronti del sistema di mercato. Gli fa il verso l’installazione di aeroplanini fatti con i dollari, infilzati nel muro, di Tom Molloy (Rubicon).
Gardar Eide Einarsson (Nils Staerk) arriva direttamente dallo Statements di Art Basel 37, Thomas Pulsen (Max Wigram) dalla Busan Biennale, John Gerrard (Hilger) da quella di Seoul (belli i suoi 3D).
Dora Garcia (Ellen Brujne Projects e Michel Rein) la sua opera la fa live, descrivendo su un pc quello che succede dentro e attorno allo stand.
Tue Greenfort (König) gioca di sponda su Zero, Jesper Just (Perry Rubenstein) riesce a trattenere i visitatori per la durata, 20’, della sua ultima trilogia It Will End in Tears, affascinante e surreale. Suggestivi anche i collage ipnotici della danese Kirstine Roepstorff (Peres Projects) e convincente anche il lavoro di Piero Golia: i Postcard from Edge sono tappeti intessuti, unica testimonianza di un viaggio clandestino da New York a Copenhagen.
Il premio però se lo aggiudica lo spagnolo Sergio Prego, probabilmente anche per il fatto che la sua rivisitazione della road scene del film Solaris (1972) di Tarkovskij, dal titolo 10° to 0°, appare come la più coerente interpretazione dello spirito che sottende alla sezione, di cui ne costituisce quasi un’inedito spot.
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Ma quest’ anno non mi sono divertito per niente…. mi è mancata quella galleria di Palermo! Ma che fine ha fatto? perchè non c’era?
sempre peggio
ma chi se ne fotte della piccola minini!!
alfredo sigolo descrive il tour di artissima cone se andasse in giro per una fiera alimentare!!
si sorprende dei soliti artisti che di nuovo hanno dato e prodotto ben poco.
lecca il culo in quest’articolo alla signorina minini.
che schifo di articolo!
la fiera e’ stata noiosa, le gallerie italiane ancor di piu’.
quello che piu’ e’ triste….vedere artisti italiani costretti in gallerie limitanti italiane.
dalle piu’ piccole alle storiche gallerie una sola novita’ nessuna spesa ed investimento in idee forti, e di poco mercato.
che tristezza!
perché che differenza c’è tra una fiera ed un supermercato? anched una fiera alla fine è come un grande maggazzino: le gallerie espongono per vendere, mica per fare la beneficenza. si entra per fare degli acquisti e ancor più contenti se si trova il 3×2 … e poi a ridosso delle feste di natale, chissà che non ci scappi anche il regalino per la nonna! non è sigolo che è noioso, o gli artisti italiani in gallerie limitanti … è che sono pochi gli artisti contemporanei che veramente fanno sperimentazione e ricerca, con una vergognosa ignoranza da parte di molti. e altrettanto poche sono le gallerie che vogliono rischiare: la pagnotta è sempre la pagnotta!!