11 settembre 2009

fiere_resoconti India Art Summit

 
Viaggio nella Delhi che vende sacro e profano. Un giro nel contemporaneo della Capitale attraverso la seconda edizione dell’India Art Summit. All’ombra del Regno Unito...

di

Con un sostegno (fin troppo prezioso) firmato Uk, anche il
Subcontinente, che a quanto pare ancora una volta si trova in stretti rapporti
con l’Inghilterra, ha potuto garantire una vetrina internazionale alla propria arte
contemporanea. La seconda edizione dell’<i>India Art Summit</i> (19-22
agosto), finanziata da Sotheby’s, ha visto infatti la collaborazione tra l’Asia
Art Archive, l’Asia Society, la Lalit Kala Academy, la Devi Foundation e, last
but not least
, il
British Council.
La fiera, che l’anno scorso era stata quasi esclusivamente
nazionale, gode quest’anno di un aumento delle presenze dall’estero (da 3 a 17)
e, anche se il 68% delle gallerie presenti è ancora indiano, in Occidente c’è
chi s’è già assicurato un posto d’onore, come Aanant & Zoo e Christian
Hosp
di Berlino, Beck & Eggeling di Düsseldorf e Aicon di
New York.
Tra le gallerie inglesi c’è chi ha scelto di lanciare in
patria il contemporaneo indiano, come la Serpentine con la mostra Indian
High Way
, e chi invece
ha cercato nuovi canali di vendita nel Subcontinente, come 18/21, Artquest,
Rob Dean Art, W.H. Patterson e chiaramente la Lisson, che
non si è fatta scappare l’occasione di portare (e vendere) due opere di Anish
Kapoor
.
Con i 250 lavori venduti, l’India Art Summit, a detta del
direttore associato Neha Kirpal, non solo è la più grande fiera d’arte
contemporanea indiana del Paese, ma anche la più importante occasione di
contatto con l’arte internazionale orientale e occidentale.
Un’opera di Anish Kapoor venduta dalla Lisson Gallery - courtesy India Art Summit
La qualità delle opere esposte e delle iniziative
parallele (forum, sculpture park, video lounge, eventi collaterali in città e visite guidate fra gli
stand) testimoniano l’ambizione e l’entusiasmo di un Paese che sta emergendo,
nonostante mille contraddizioni. New Delhi, Mumbai e Kolkata sono infatti i
principali centri propulsori del contemporaneo, ma anche le città in cui si
concentra il tasso più alto di disagio sociale.
Fatta eccezione per la Galleria Samanvai di Jaipur,
i centri minori come Udaipur e la stessa Jaipur nel Rajastan stentano ancora a stabilire
una differenza fra l’arte e l’artigianato indiano, così orgogliosamente promosso
dal rinascimento bengalese d’inizio secolo (scorso).
A Delhi, se nel pubblico ancora si zoppica e la sezione
contemporanea della nuova ala della National Gallery of Modern Art necessita di
un allestimento più moderno e selettivo, che metta in risalto le opere di
artisti come Raghu Rai, Rekha Rodwitta, Subodh Gupta, Balkrishana Arts e Atul Dodiya, nel privato non si bada a spese.
Le gallerie di New Delhi – da Anant a Threshold,
da Espace a Konsult – vantano grandi spazi espositivi e un vasto range di proposte, adatte per tutte le
tasche. Al di là dei nomi noti, non sono mancate nuove proposte, come nel caso di
Palette, galleria glamour degli stilisti Rohit Gandhi e Rahul Khanna, che ha puntato su sei giovani
artisti indiani, tra cui si segnala Om Soorya e Binoy Varghese.
Jagannath Panda - The Being-II - 2009 - acrilico, stoffa, colla su fibra di vetro - cm 152x264x139 - courtesy Nature Morte, New Dehli
La famosa Nature Morte si è distinta ancora una
volta per gusto nella scelta delle proposte e non ha mancato di ribadire la propria
affermazione a livello internazionale. A differenza delle altre gallerie
indiane, che lavorano principalmente con artisti locali, Nature Morte ha
presentato locali come Thukral & Tagra e Manisha Parekh, ma anche occidentali come Ray
Meeker
.
Anche nella sede di Neeti Bagh (New Delhi), dove durante
l’Art Summit era in corso The action of nowhere, personale dell’artista Jagannath
Panda
, Nature
Morte ha confermato la sua professionalità. Panda vanta un Master al Royal
College di Londra e la galleria ha iniziato a dargli fiducia dal 2005, ma anche
se con questa mostra ha dato una sferzata positiva alla sua produzione precedente
un po’ sciapa, la prudenza di un buon gallerista non è mai abbastanza: niente
catalogo e niente fiera. Panda viene premiato (ma con riserva) per la sua nuova
capacità di tradurre gli equilibri assurdi che in India sopravvivono ancora in
dimensione iperbolica: sacro e profano, innovazione e tradizione, jungla e
città, animale e uomo.
Particolare dell’opera Gandhi’s Three Monkeys di Subodh Gupta
La rivista “Art & Deal” della Konsult è uno degli
strumenti migliori per tenersi aggiornati su come l’arte indiana contemporanea
viene vista nel Paese. Che inizia ad accogliere con interesse la fotografia ma
stenta ancora ad apprezzare il video, nonostante gli sforzi dell’Apeejay
Media Gallery
, che si promuove come la prima galleria indiana per la New
Media Art. Anche se, viste le tendenze del mercato ad Art Basel, è ormai un po’
tardi.

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L’India
e il mercato

federica forti


dal 19 al 22 agosto 2009
India Art Summit 2009
Pragati Maidan (Itpo) – New Delhi
Info:
neha@indiaartsummit.com; www.indiaartsummit.com

[exibart]


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