Weekend intenso al P3, dove si è tenuta la
Kinetica Art Fair, tra musica e luci colorate, con sculture cinetiche fluttuanti nel vuoto e modelle divertite nei loro abiti mobili a
remote control.
Prima e ben riuscita edizione della fiera, con 1300 metri quadri dedicati a 25 gallerie e ai 150 artisti provenienti da tutto il mondo. E gli 8500 visitatori dimostrano ch’è certamente crescente l’interesse per un’arte che appartiene al passato (con
Marcel Duchamp e
Moholy-Nagy,
Jean Tinguely e
Alexander Calder) ma che ha trovato con le tecnologie digitali una nuova e promettente linfa.
È la mostra
Force Fields del 2000 alla Hayward Gallery che attirò per prima l’attenzione su una fase dell’arte rimasta marginale e un po’ dimenticata, alimentando un rinnovato fascino per opere d’arte ispirate da nuove teorie fisiche, nuovi concetti di tempo e spazio, energie invisibili e dimensione cosmica. Pochi anni dopo, Dianne Harris fondava con Tony Langford il Kinetica Museum, con lo scopo di dare visibilità e sostegno ad artisti impegnati nella convergenza e nella sperimentazione di arte, tecnologia e scienza.
Da allora il Kinetica Museum si è fatto promotore di una serie cospicua di eventi: da mostre interattive a conferenze di arte cinetica, da workshop di robotica alla Kinetica Art Fair. Anche se lo spazio occupato dal museo nel mercato di Spitafield è stato recentemente risucchiato da logiche speculative che un’istituzione del genere non è certo in grado di gestire. Così il Kinetica Museum è oggi una realtà itinerante, in attesa di collocazione.
L’aspetto commerciale è, in effetti, un problema non da poco per l’arte cinetica contemporanea, poiché il collezionismo tende a investire in opere stabili e consolidate, che non rischino di diventare velocemente obsolete e fuori mercato. Tuttavia, anche da questo punto di vista l’esito della fiera è stato positivo, grazie ad alcune vendite significative. Tra queste,
Face of God di
Tim Lewis, uno dei protagonisti della rassegna, rappresentato per l’occasione dalla londinese
Flowers e dallo stesso
Kinetica Museum. I suoi oggetti vagamente retro – per il gusto del meccanismo e dell’ingranaggio – sono automi dotati di poesia. E
Pony, divenuto icona della fiera, fa dubitare sul limite tra animato e inanimato, muovendosi liberamente come una “
scultura indipendente che merita il proprio spazio, condiviso con il nostro”, come dichiara l’artista.
E mentre i robot in materiale riciclato di
Gilles Walker si esibiscono nella loro
pole dance cibernetica, gli elettrodomestici carnivori di
Material Beliefs con
Alex Zivanovic si concentrano per attrarre al loro interno il numero d’insetti necessario per alimentare una batteria biologica che genera corrente e, infine, un’inquietante luce a risparmio energetico.
Gli schermi a effetto tridimensionale di
Holotronica e le luci “stampate” di
Sam Buxton per Kinetica Museum attivano la fantasia su ciò che deve ancora venire, così come ispirano le parole (tra gli altri) di
Martyn Ware del collettivo
The Future of Sound e le esperienze di
body>data>space sul fronte danza.
Infine, la performance delle ombre di
Anak a zero tecnologia dimostra che l’arte cinetica è un’attitudine mentale più che un tecnologico effetto speciale.