Categorie: fiere e mercato

resoconto fiac 2003 | Fiac 2003 – Qualcosa si salva…

di - 16 Ottobre 2003

Ricordiamo innanzitutto due eventi per festeggiare degnamente i trent’anni della parigina FIAC (Foire internationale d’art contemporain), ospitata in un immenso capannone-vasca di 18000 metri quadri a Porte de Versailles. Nel 1975 Hermann Nitsch allestisce alla Bastille una mise en scène con sangue e viscere di bue. Dopo circa un’ora, e in seguito alle contestazioni del pubblico che interpretavano l’azionismo viennese come una nuova forma di fascismo, l’artista risponde rabbioso rovesciando sul pubblico alcuni secchi di sangue. Nel 1977 la giovane Orlan -il suo periodo più interessante che ricalca in modo più o meno consapevole la strategia dell’expanded movie utilizzata da Valie Export a partire dal 1968- crea Baiser de l’artiste, performance in cui, raggirandosi fra la folla del Grand Palais, mette in vendita un “vero bacio d’artista” a soli cinque franchi.
Con 175 gallerie (metà francesi e metà straniere, cospicua la partecipazione italiana) e un allestimento dignitoso grazie ad una suddivisione degli stand che evita l’effetto suk, la trentesima edizione della FIAC diretta da Yvon Lambert prova a raccogliere la gloriosa eredità degli anni settanta e ottanta (legati, per intenderci, al già citato spazio del Grand Palais) e a guardare avanti. Difficile fare un resoconto, operare delle scelte. Più facile rilevare il basso continuo: la pittura -nella sua versione europea- resta la regina indiscussa della fiera, visto che la sezione video resta ben nascosta e la fotografia è poco presente. Due tuttavia le eccezioni, per inciso quanto di meglio ci è capitato di vedere: Erwin Olaf con una serie di foto prese da un video suggestivo e ipnotizzante e le inedite Machines di Thomas Ruff. Tornando alla pittura, quella italiana da esportazione (quindici le gallerie fra Napoli e Milano) non ama i rischi: Fontana e Boetti, Arte Povera e tanta Transavanguardia, Kounellis e Pizzi Cannella, ma anche Sabrina Mezzaqui, Loris Cecchini, Mimmo Jodice o l’immancabile Vanessa Beecroft.
L’attenzione dei galleristi e dei visitatori è però rivolta soprattutto agli artisti e al mercato cinesi, secondo una tendenza oramai consolidatasi il cui ultimo evento è Alors la Chine?, la confusa collettiva organizzata dal Centre Pompidou. Nel mucchio spicca, senza dubbio, Yan Pei Ming, di cui conosciamo bene il cadrage fotografico, il tratto corposo, le tonalità di grigio; a seguire gli oggetti quotidiani in spazi metafisici di Zeng Hao e il più francese dei cinesi, Zao Wou Ki.
Da segnalare infine le rassegne monografiche che sarebbero da gustare isolatamente e non sommerse nel mare magnum, considerato che la visita della fiera richiede almeno quattro defatiganti ore di visita: la tachicardia in Victor Brauner, Télémaque (attualissime le sue opere del ’61), Bruno Gironcoli (per la lectio maior si rimanda al padiglione austriaco dell’ultima Biennale veneziana), la bradicardia in J. Arp e J.-B. Huynh.
Quello che non convince è invece il presente-futuro: Perspectives, sezione dedicata ai più giovani, è confusa, senza rigore né propositi critici, incapace insomma di mettere in prospettiva alcunché. Un problema da ritenere, se diamo adito alle voci insistenti che pensano alla FIAC del futuro come a una piattaforma per il contemporaneo, come una vetrina per gli artisti emergenti. C’è un anno di tempo e, ci auguriamo, di lavoro alacre.

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riccardo venturi

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