La fiera in sé sarebbe stata piuttosto indolore, non fosse stato per un appuntamento molto atteso, attorno al quale, nel bene e nel male, ha finito per girare un po’ tutta la kermesse: la pubblicazione del Dizionario della giovane arte italiana 1 del collaudato duo Politi-Beatrice.
Fiera Milano International e la multinazionale inglese Reed Exhibitions, leader mondiale dell’organizzazione fieristica; i risultati per ora sono la qualifica di internazionale da parte del Ministero delle Attività Produttive, cosa della quale nessuno s’è accorto, la drastica riduzione, nonostante i depistaggi dei comunicati stampa, proprio del numero delle già poche gallerie internazionali (da 38 a 28, con l’assenza del colosso Gladstone che fa per 5) e un sacco di promesse sulla crescita negli anni a venire. Ma tant’è, visto che l’internazionalità delle fiere d’arte è considerata elemento caratterizzante, numeri alla mano Bologna ha circa il 22% di espositori stranieri, Milano solo il 13%, Torino ben il 55%. Si dirà che Artefiera e Miart hanno una sezione d’arte moderna che privilegia le gallerie italiane, salvo poi fare proclami e puntare su un programma politcally correct di iniziative e premiazioni per la promozione dell’arte giovane. L’anomalìa sta qui: il ricco collezionismo dell’arte storica è piatto troppo ghiotto per potervi rinunciare, ma nessuno vuole rischiare di trascurare il mercato in forte crescita delle nuove generazioni. Perché non fare 2 fiere distinte allora? Forse che la città che vanta (si dice) il maggior numero di gallerie d’arte in Europa, quella stessa che riesce a mettere in piedi l’Esposizione Internazionale degli Ascensori, manca di coraggio? Discorso analogo potrebbe essere fatto per le troppe fiere d’antiquariato che ci sono in Italia: chi per primo metterà in piedi una seria fiera internazionale del solo modernariato, farà probabilmente bingo, ma questa è un’altra storia.
Detto ciò, si sa che alle fiere ci va un sacco di gente, ma è invalsa l’abitudine che si critichi sempre e comunque, a sproposito o per certe attese tradite: su queste ultime gli organizzatori dovrebbero forse porre maggior riflessione, magari assecondando quella vocazione delle fiere a trasformarsi in importanti appuntamenti culturali: dove li trovate tanti artisti, tanti critici, giornalisti, collezionisti e, soprattutto opere d’arte, tutti in un posto? Forse solo al vernissage della Biennale.
A Milano storicamente si lamenta il tortuoso percorso espositivo e tuttavia la formula collaudata nello scorso anno è stata confermata, con ingresso nel padiglione Anteprima (giovani under 35 fino ai 5.500 euro), due padiglioni per il Contemporaneo ed uno per il Moderno. Fatto sta che per essere qua e là, alcune gallerie hanno scelto di scindersi: mezza in un padiglione e mezza nell’altro (es.: B&D, Antonio Colombo, Spazia, Spaziotemporaneo). Gli stand sono troppo piccoli e ammassati e capita spesso di incappare in pareti che non si sa bene di chi siano.
La notizia dell’ennesimo ritorno alla pittura conforta una fiera che già, per vocazione, dalla pittura non si era mai troppo distaccata, neppure quando sembrava che contasse solo la fotografia.
passeggiata per i padiglioni
Anteprima
Mitiche le fiere: capita subito di incontrare il bravo net-artista Mauro Ceolin, da Fabio Paris, che ti tiene un breve corso d’aggiornamento sui compositori delle musiche per giochi elettronici, tema dei suoi nuovi ritratti in flash. L’effetto pittorico di questi lavori dimostra perché un pittore come Roger Kelly, da De March svolga la sua ricerca riproducendo, con effetti zonali della grafica computerizzata, paesaggi montuosi; simili, ma più acidi, a quelli che produceva Paolo Gonzato nel 2001, cucendo sacchetti di plastica su morbidi telai (Studio Legale) ed oggi sostituiti dai lavori nuovi con le matrioske (Gariboldi).
Più convincenti i lavori nuovi di Dany Vescovi da Artesegno, con gli spettri geometrici che scandiscono i forti cromatismi dei suoi noti fiori. Greche e racemi incorniciano i decadenti lavori simbolici di Gianluigi Antonelli, lo stand troppo piccolo e affollato della 10.2! è penalizzante, e non solo per lui. La galleria Perugi ha vinto il premio per il miglior allestimento: giusto e meritato, soprattutto per la grande installazione plastica di Stefano Calligaro, che ha mostrato un dinamismo ed
Lineare e composto l’allestimento di Minini, con il bravo Simeti, un bel lavoro su cuoio della Torelli e poi una carrellata di video d.o.c., uno solo in loop, un vecchio lavoro di Chiasera passato anche a Viafarini , la cui musica ipnotica si sentiva in ogni angolo del padiglione. E se Chiasera si sentiva, la luce segnaletica verde di Carone campeggiava alta, montata su una lunga canna da pesca fissa, da Isabella Brancolini, dove però sono le foto di Larry Sultan fatte sui set dei film porno la vera rivelazione.
Solo Valentina D’Amaro da Antonio Colombo, verdissimi paesaggi, solo Barbara Nahamad da Nicola Ricci, ma che brutta la tela dell’attentato ceceno al teatro di Mosca!
Francesco Bocchini costruisce oggetti meccanici di latta con materiali di recupero, alla maniera di Tinguely: la sua piccola personale a L’Affiche è divertente.
La galleria di Tokio Iseyoshi presenta almeno 2 ottimi artisti, praticamente agli antipodi: da un lato il raffinato Hiroshi Kobayashi, con i suoi bambolotti galleggianti, vicino alla sensibilità di Nara o Murakami ma più carnale, dall’altro la drammatica, fumettistica e realistica narratività di Tetsuya Ishida. Il vicino stand della nuova galleria di Prato, nata dalla collaborazione di Antonella Nicola ed Enrico Fornello, fa vedere i muscoli con Sara Rossi, Bianco Valente, Benassi e John Duncan e fa rodere d’invidia i giapponesini con lo splendido look all’orientale di Antonella.
Da Kaufmann c’è il solito, bravissimo ma già visto Gianni Caravaggio e Franco Noero sfoggia il duo Muntean-Rosenblum, con i loro ritratti di una giovane generazione annoiata in abiti griffati. Un big della mostra di Gianni Romano a Venezia anche per Antonio Ferrara , Elke Krystufek .
La londinese MW Projects porta una mazza da baseball psicologica e 4 lattine di filosofia, lavori ironici e interessanti di James Hopkins. Studio De Carlo cambia mostra ogni giorno: oggi la Pivi, domani la Galegati, poi la Larsson e via così. Bell’idea per mantenere sgombero lo stand.
Alla Ciocca i video di Luisa Rabbia non sembrano all’altezza dei lavori precedenti. La Estro ha preso in scuderia Andrea Salvatori, ceramista che lavora per Bertozzi
Contemporaneo
La spagnola Adelantado ha il fratello bravo di Coda Zabetta, Santiago Ydanez: è già il secondo, perché c’è anche Yan Pei Ming… spuntano come funghi, praticamente una stirpe.
Bello lo stand di Colombo, grandi tele di Salvino e l’installazione di Scotto di Luzio esposta nella mostra di Senaldi a Piacenza (tempestivo).
Bonelli segue una linea che non ci piace affatto (Beel, Guida, Nido, ecc.), ma Nicky Hoberman, un altro della mostra di Venezia di Romano, lui è bravo, con le sue figure inquietanti prese sbagliando la prospettiva con una tecnica sopraffina. Spazia ha calato l’asso Boetti e pure con opere non consuete (bellissimo il tappetone).
Giò Marconi fa la personale del tedesco Andreas Slominski che è in mostra alla Fondazione Prada, ma queste trappole e questi giocattoli fatti con materiali di recupero non convincono molto. Da B&D nuovi lavori di Erwin Olaf, ma poca novità. Barbieri, Basilico E F. Jodice sono tra i fotografi più in voga in Italia, lo Spazio Erasmus li mette in fila e al resto pensano loro.
41 Artecontemporanea, a parte l’originalità del nome, ha un fiume di cioccolatini di Mondino, un classico che è una bellezza, grandissimo.
L’unico vero big straniero, Lisson, si mette in posa per Santiago Serra (la galleria che vende la propria immagine, fantastico) poi sfodera Kapoor, Casebere, Tony Cragg, Jane & Louise Wilson e un Opie di razza: non servono troppi sforzi quando si hanno tutti gli assi in mano.
Da Continua c’è la nuova e grande installazione molle di Cecchini (Stage evidence) e la nuova e piccola sculturina fusa di Ilya Kabakov, belle entrambe. Lipanjepuntin, per solito tra le migliori per allestimento, finalmente stecca con cose già viste a Bologna e con un eccesso accumulo. Ma c’è la novità del giovane Toffolini, con le sue serre a parete trasparenti e complessi meccanismi sonori: promettente e con la testa sulle spalle.
Marco Noire fa un buon allestimento, Cardi piazza due Halley da togliere il respiro, tecnica collaudata a Bologna, e ti manda via contento.
Moderno
Non è che sei stufo per aver passato gli altri padiglioni ma la compostezza del padiglione moderno sembra nascondere nella moderna c’è veramente poco da segnalare. Allestimenti tradizionali e solita tendenza al supermercato. Balza agli occhi la buona disponibilità di Chia e Rotella, qualcosa anche di qualità: si sapeva del momento favorevole. Sempre sottovalutata la scultura, la fanno da
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alfredo sigolo
[exibart]
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